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Diario di un semplice pellegrino
Prima o poi c'è sempre qualcuno che ti chiede: "Perché hai deciso di andare a piedi fino a Santiago de Compostela?". Non è facile rispondere, forse anche perché ogni pellegrino ha un motivo diverso da raccontare: per desiderio di spiritualità, per fare penitenza, per una sfida con sé stessi, per compiere un'impresa sportiva, per una vacanza alternativa a basso costo. Qualunque sia il motivo, tutti però ricordano i giorni di cammino come un'esperienza indimenticabile. Lo ripete sempre la badessa del monastero benedettino di León ai pellegrini raccolti per la Compieta: "A ciascuno il Cammino lascia un dono particolare, unico, che si può scoprire lungo il percorso, o solo alla fine, o addirittura dopo che si è concluso da tempo".

Ma io, perché sono andato a Santiago? Mi ha convinto un mio confratello, don Massimo, ma avevo voglia di staccare la spina dallo stress delle attività quotidiane e, naturalmente, desideravo vivere un'esperienza spirituale intensa.
Eccoci dunque alla partenza del nostro pellegrinaggio. È la sera di sabato 21 luglio 2001. Dalla stazione di Ventimiglia arriviamo col treno a Bayonne, sulla costa atlantica, e di qui a Saint Jean Pied de Port, nel cuore dei Pirenei. Nel pomeriggio troviamo un passaggio per Roncisvalle, in territorio spagnolo, il vero inizio del pellegrinaggio.

Il lungo Cammino era costellato da punti di ristoro e di preghiera, creati per i devoti provenienti da tutta Europa e perfino dall'Oriente.

Ci sistemiamo nel rifugio, dopo aver lasciato le nostre generalità e aver presentato la credenziale, il documento che attesta che siamo pellegrini. Una signora vi ha apposto il sello, il timbro del rifugio, segnando a mano la data. Ci sono cameroni con letti a castello, le docce e i bagni sono pochi, maschi e femmine si adattano alla situazione in un clima di grande rispetto. Tutti ci sentiamo parte di una categoria speciale, quella dei pellegrini. Qui non contano titoli o ruoli. Anche la gente che ci incontra per strada ci riconosce come pellegrini, ci saluta, ci incoraggia; questo succede lungo tutto il percorso.
Alla sera, nella chiesa in stile gotico della Collegiata di Roncisvalle partecipiamo alla Messa con i vespri cantati. È la nostra prima concelebrazione in spagnolo. Riesco a capire abbastanza bene la lingua ed è un conforto: l'inglese infatti serve a ben poco. Ci sono molti pellegrini, provenienti da ogni parte del mondo, che attendono la benedizione finale, un momento tradizionale che ricorda l'antica investitura del pellegrino prima di iniziare il viaggio. La benedizione è in spagnolo e in francese. Le parole, che avremo modo di recitare più volte lungo il cammino, dicono: "O Dio... ti chiediamo di custodirci, noi tuoi servi, che per amore del tuo nome andiamo pellegrini a Santiago de Compostela. Sii per noi compagno nella marcia, guida nelle difficoltà, sollievo nella fatica, difesa nel pericolo, albergo nel cammino, ombra nel calore, luce nell'oscurità, conforto nello scoraggiamento e fermezza nei nostri propositi".

Prima notte al rifugio: la luce, come sempre in seguito, viene spenta alle dieci. Prima di dormire parlo per qualche minuto con un pastore anglicano che già avevo incontrato in chiesa. Mi presenta suo figlio e mi parla di sé, degli amici cattolici che ha in Inghilterra. Ripensandoci, mi accorgo che il pellegrinaggio ha un valore ecumenico, accomuna tutti, cattolici e cristiani di ogni confessione, credenti e no, in questo desiderio di ritrovare sé stessi, in questa sete di infinito e di eterno che ogni persona sente dentro e che qui, lontano da casa e dalle abitudini quotidiane, si fa sentire in modo ancora più forte.

Lunedì mattina, 23 luglio, iniziamo a camminare. La notte non ho dormito molto, avevo caldo. Massimo è stato il primo ad alzarsi, ma ha sbagliato orario: sono appena le cinque e un quarto! In breve, comunque, tutti si alzano. Faremo sempre così, ogni giorno: a letto presto, sveglia prestissimo, quando fuori è ancora buio. Non per nulla abbiamo una piccola pila portatile, che ci sarà utile molte volte, soprattutto per riconoscere nell'oscurità le famose flechas amarillas, le frecce gialle che indicano la via da seguire. Le ha inventate negli anni sessanta don Elías Valiña Sampedro, parroco del Cebreiro, e sono mantenute dai gruppi di Amici del Cammino.
Il nostro primo giorno di marcia è abbastanza tipico. Dopo una colazione ipercalorica a base di dolci (più avanti scopriremo anche il latte aromatizzato al cacao, alla vaniglia o alla fragola), partiamo recitando insieme alcune brevi preghiere. Quando il sole è ormai sorto nel cielo e la strada lo consente, preghiamo con le Lodi mattutine. Il sentiero attraversa boschi di abeti, roveri e pini, sembra di fare una passeggiata in montagna, con il cielo sereno e il sole splendente. Ogni tanto incrociamo minuscoli paesi, ordinati e ben tenuti. Passato l'Alto de Erro, seguiamo il sentiero lungo una ripida discesa che ci conduce al paese di Zubiri e poi a Larrasoaña. Come primo giorno abbiamo forse esagerato: i trenta chilometri li sentiamo tutti nelle gambe, soprattutto Massimo, che quasi non riesce a camminare per il male a un polpaccio. Comprendiamo fin dall'inizio una verità banale ma importante: qualsiasi peso uno si carichi sulle spalle, sono sempre i piedi e le gambe a portarlo.

A Estella, nel 1962, nacque una delle associazioni che rilanciarono il Cammino di dopo una certa decadenza cominciata nel Seicento.

Nel rifugio, che è lo stesso palazzo municipale, è il sindaco a darci il benvenuto; è lui infatti l'hospitalero, colui che accoglie i pellegrini. Il rifugio è piccolo e le persone sono troppe, la maggior parte, noi compresi, dorme su materassi distesi a terra l'uno accanto all'altro. Cominciamo anche con quella che sarà la routine di ogni giorno: fare la doccia, lavare e distendere la biancheria, riposare le gambe stanche per la fatica. Alla sera cena in compagnia in un bar vicino che offre il menu del día. Sperimentiamo ancora una volta il senso di fraternità, di condivisione e di gioia che accompagna i pellegrini: siamo italiani, francesi, tedeschi, scozzesi e ci intendiamo benissimo. Non a caso il Consiglio d'Europa nel 1987 ha dichiarato il Cammino di Santiago "Primo itinerario culturale europeo" e l'Unesco, nel 1993, "Patrimonio dell'umanità".
La tappa dell'indomani è breve, solo 15 chilometri, ma soprattutto per Massimo è una tortura. Arrivati a Pamplona, capitale della Navarra, andiamo al Pronto soccorso. La dottoressa diagnostica a Massimo una tendinite e consiglia alcuni giorni di riposo. Al rifugio, molto grande, scopriamo che non è possibile fermarsi più di una notte. Che fare? Decidiamo di continuare, magari facendo tappe più brevi. Il mattino dopo, mentre Massimo si riposa in uno dei bellissimi parchi di Pamplona, ripercorro con calma la strada del giorno prima, ritorno all'antico ponte della Maddalena, costeggio le mura di cinta e rientro in città dal Portale di Francia. Visito la chiesa di San Cernín (Saturnino), del XIII secolo, dove si venera la Vergine del Cammino, e quella di San Lorenzo, che conserva la reliquia del patrono della città, san Fermín (Firmino): in suo onore a metà luglio si fanno grandi feste, come la famosa feira, con i tori che scorrazzano per la città.

Il tratto navarrese del Cammino subì all'inizio una serie di variazioni, fino ad assestarsi all'epoca del regno di Sancho III (1004-1035).

Ci fermiamo a Cizus Menor, a pochi chilometri da Pamplona, in un rifugio gestito dai Cavalieri di Malta. Massimo sta un po' meglio grazie all'antinfiammatorio (una delle medicine più usate nel Cammino), io ho male dappertutto. A Puente la Reina, il giorno successivo, proviamo la prima delle tante docce con l'acqua fredda. Il paese, nato con il Cammino di Santiago, è costruito attorno alla calle Mayor, una lunga via rettilinea che lo attraversa da cima a fondo. La chiesa ha un imponente portale romanico (c'è molto romanico lungo tutto il Cammino, di squisita fattura); molto bello è il "Cristo renano", un crocifisso ligneo del XIV secolo, con la croce a forma di ypsilon.

Puente La Reina prende il nome dal ponte sul fiume Arga, fatto costruire qui nell'XI secolo appositamente per i pellegrini dalla sovrana Munia, moglie di Sancho III.

Stupendo è il ponte romanico che dà nome alla città: è dell'XI secolo e fu fatto costruire dalla regina Munia per rendere più facile ai pellegrini l'attraversamento del fiume Arga. Alla sera scopriamo che la piazza principale è stata ricoperta di sabbia e trasformata in "arena" e ci troviamo nel bel mezzo della festa in onore di Santiago. Un signore, José, ci mette in salvo dal possibile incontro con le mucche dalle lunghe corna lasciate libere nell'"arena" e lungo la via principale del paese. Gli abitanti, invece, soprattutto i giovani, si divertono ad aizzare i poveri animali e a scansarli all'ultimo momento.
Arriviamo a Estella il giorno dopo, io con poche forze. La cittadina è ricca di monumenti, come il romanico Palazzo dei re di Navarra o la chiesa di San Pedro de la Rúa. Per giungere a Los Arcos dobbiamo affrontare per la prima volta la pioggia e soprattutto il fango che si attacca agli scarponi. Molto bella è la chiesa di Santa María, soprattutto il chiostro gotico; assai simpatico è il giovane parroco, che alla fine della Messa benedice i pellegrini e consegna a ciascuno la preghiera nella sua lingua; manca l'italiano e ci facciamo lasciare l'indirizzo per mandargli appena possibile la traduzione.

Lasciamo la Navarra ed entriamo nella regione detta La Rioja, arrivando fino al capoluogo Logroño. Qui mi devo arrendere anch'io e decido di farmi visitare il ginocchio al Pronto soccorso. Si tratta, manco a dirlo, di una tendinite. Mentre mette la fasciatura, l'infermiera mi spiega che molto dipende dal peso dello zaino; secondo lei dovrebbe essere al massimo un decimo del peso corporeo. Penso proprio che abbia ragione: dovevo accontentarmi di sette chili scarsi. La sera stessa cerco di eliminare tutto quello che non è assolutamente indispensabile. Il Cammino, in questo senso, è un invito alla sobrietà, all'essenziale, a fidarsi della Provvidenza per quello che manca.
La strada è ancora lunga e per ogni giorno c'è qualcosa da raccontare: le rocce particolari di Najera e il monastero di Santa María con il Panteón Real, dove sono sepolti i re di Navarra; la chiesa di Santo Domingo de la Calzada, con i due polli bianchi vivi in una gabbia all'interno della chiesa, in ricordo di un miracolo; i campanili delle chiese dove fanno il nido le cicogne, come a Belorado; il paesaggio solitario e boscoso dei Montes de Oca; il monastero di San Juan de Ortega, con il capitello romanico dell'annunciazione; la città di Burgos, patria del Cid Campeador, con la sua splendida cattedrale gotica.

La zona di Galizia è tra quelle, in Spagna, abitate da epoche più antiche, fin dalla preistoria. Nel VI secolo a.C. venne colonizzata da popolazioni celtiche.

Ma ancora più importanti sono gli incontri con le persone. Una famiglia francese, per esempio, composta da padre, madre, due figlie adolescenti e una bambina di otto anni; ogni anno i giorni delle ferie sono dedicati al Cammino; ne percorrono un tratto e l'anno successivo riprendono da dove sono arrivati; sono partiti quattro anni fa da Mont Saint-Michel, in Normandia. È bello vedere la serenità dei loro volti, l'unità che li lega, la costanza e la determinazione della bambina piccola. Altri esempi: Olimpia, una ragazza mia coetanea con cui sono rimasto a parlare (in spagnolo!) per una parte della serata; il parroco di San Juan de Ortega, che offre a tutti i pellegrini la sopa de ajo, la zuppa d'aglio, come segno di ospitalità; Étienne e Philippe; padre Daniel, un sacerdote di Bayonne, e la simpatica sorella Claire, che parla solo francese ma si fa capire da tutti.
Da Burgos in poi, siamo in Castiglia, iniziano le Mesetas, i grandi altopiani a volte pietrosi, a volte coperti di frumento, di cui restano solo le stoppie bruciate dal sole, che attraversiamo per circa 200 chilometri. Uno dei tratti più difficili del Cammino perché non si incontra anima viva per chilometri ed è difficile trovare l'ombra di un albero. Per noi è però uno dei momenti più suggestivi. Questi spazi immensi e solitari, dove non c'è nulla se non il cielo azzurro e il giallo delle stoppie che si perde nell'orizzonte, aprono il cuore e la mente verso l'infinito.
Anche il silenzio è avvolgente, rotto solo dal sibilo del vento, che ci asciuga il sudore e fa sì che non avvertiamo troppo il calore del sole. Arriviamo a Hontanas verso le due del pomeriggio. Il paese, disteso in una piccola conca, appare all'improvviso, come un miraggio che diventa realtà. Impossibile dimenticare il parroco, anziano, un po' sordo, con una sorella da accudire più anziana di lui; impossibile dimenticare i suoi occhi limpidi, il suo sguardo buono, la sua gentilezza. È il 4 agosto, memoria di san Giovanni Maria Vianney, e per noi quel parroco rimane nella memoria come "il curato d'Ars". Il giorno seguente ci fermiamo, solo per un saluto, all'Ermita San Nicolás, ristrutturata e tenuta dalla confraternita italiana di San Jacopo. Ancora oggi, alla sera, i pellegrini sono accolti, secondo un antico rito, con la lavanda dei piedi. Noi ci accontentiamo del caffè all'italiana, di cui sentivamo molto la mancanza, che ci offrono i due hospitaleri Maurizio e Paola.

La Galizia, con una superficie di 30 mila chilometri quadrati, non è delimitata da veri e propri confini naturali. Attualmente conta circa 2.800.000 abitanti.

Tantissime bellezze ci passano davanti agli occhi, come la chiesa di Santa María la Blanca, costruita dai templari, che guardo quasi con le lacrime per il male ai piedi, ma che mi riempie gli occhi e il cuore. Nuovi incontri si susseguono: quello con don Carlos e con il seminarista Lorenzo, della congregazione di Schönstatt, con i quali facciamo amicizia e ci terremo compagnia fino a Santiago; quello con quattro simpatici ragazzi italiani, Alessandro, Elisabetta, Sara e Simona (ai quali si aggiungerà più avanti Matteo), animati dal vero spirito del pellegrino, che non teme le difficoltà e si adatta a ogni circostanza, anche a dormire sempre "en el suelo", per terra.
A León ci fermiamo nel monastero delle Benedettine: suggestiva la celebrazione della compieta con le suore, terribile la notte passata in una grande palestra adibita a rifugio, con tanti materassi distesi uno accanto all'altro. In città visitiamo la bellissima cattedrale gotica, le cui vetrate, 1.800 metri quadrati di superficie, avvolgono l'interno di luce e colori. Prima di arrivare ad Astorga, con la cattedrale gotica e il Palazzo Episcopale che sembra un castello delle fiabe, opera di Antonio Gaudí, un piccolo avvenimento rinsalda la nostra amicizia con Carlos e Lorenzo. Entrambi hanno un fisico atletico e sono molto più allenati di noi, perciò ci sorpassano ben presto. Dopo pochi chilometri, però, li riacciuffiamo: Lorenzo ha male a un'anca e non riesce più a camminare; cerchiamo di soccorrerli con un antinfiammatorio e offrendo qualcosa da mangiare. Quando ripartiamo non siamo certi di incontrarli ad Astorga. Arrivati al rifugio, però, dopo un'oretta ecco che ci vediamo apparire i due. Lorenzo esclama: "Sant'Antonio!". Era quasi del tutto ristabilito, grazie all'effetto delle medicine. Un amico catalano, David, un tipo allegro e scherzoso, a cena ci dà un'azzeccata descrizione del pellegrino: una persona che prende e ingoia qualsiasi medicina un compagno di viaggio gli suggerisca, cosa che non farebbe mai nella vita normale. In fondo, però, è anche un esempio della solidarietà e del clima di fiducia totale nell'altro che si crea durante il pellegrinaggio.

Il giorno successivo passiamo da Rabanal del Camino, dove incontriamo due monaci benedettini missionari, che hanno scelto di fare una fondazione in questo luogo. La celebrazione dei Vespri, cantati in latino, alla quale partecipano molti pellegrini, è assai suggestiva. Altri luoghi importanti: la Cruz de Hierro, il castello dei Templari a Ponferrada, la chiesa romanica di Santiago a Villafranca del Bierzo, la chiesetta di O Cebreiro, dove è avvenuto un miracolo eucaristico, protagonisti un prete incredulo e un contadino pieno di fede (entrambi sono sepolti lì, uno accanto all'altro). Ormai siamo arrivati in Galizia, regione collinare ricca di boschi ai quali si alternano verdi pascoli; piccoli villaggi in pietra sono disseminati qua e là, mentre la gente si occupa soprattutto di agricoltura e di allevamento: non è difficile veder uscire da dietro una casa il contadino con le sue mucche. Per il clima e il paesaggio, nonché per le tradizioni celtiche, questa regione è chiamata "l'Irlanda di Spagna".

Stando alla tradizione popolare, la Galizia fu evangelizzata da san Giacomo. Secondo gli Atti degli apostoli, invece, Giacomo fu martirizzato da Erode nel 44 d.C.

Arriviamo a Santiago de Compostela il 22 agosto, in una splendida giornata di sole. Davanti all'imponente facciata barocca della cattedrale io e Massimo ci abbracciamo commossi. L'emozione è indescrivibile quando attraversiamo il Portico della gloria, capolavoro del Maestro Mateo, definito "il monumento iconografico più completo della scultura medievale". Ma il momento spiritualmente più forte lo viviamo il giorno dopo: su suggerimento di Carlos abbiamo chiesto di celebrare l'Eucaristia presso la tomba di san Giacomo. È uno spazio angusto, ci stanno a malapena una decina di persone. Un cancello e un piccolo corridoio ci separano dalla gente che in fila visita la tomba dell'apostolo, la meta del pellegrinaggio. Io, Massimo e Carlos celebriamo la Messa, con noi ci sono Lorenzo e i nostri cinque amici italiani.
Siamo tutti commossi. In quest'ora passata in preghiera, nel momento più importante e solenne della liturgia e della vita cristiana, nel quale Cristo si fa dono a noi per mezzo della sua parola e del suo corpo e sangue, riviviamo tutto quello che abbiamo passato per arrivare fin lì: la stanchezza, le tendiniti, le vesciche, la bellezza del paesaggio e dei monumenti, le persone che abbiamo incontrato, la gioia e l'amicizia, la presenza continua del Signore che ci ha accompagnato in ogni istante. E non possiamo far altro che dire: "Grazie!".

Antonio Rizzolo

Il nome Compostela pare derivare da Campus stellae, poiché si tramanda che fu una stella, nell'anno 813, a rivelare qui la presenza del sepolcro di san Giacomo

Due o tre cose che è bene sapere sul Cammino

Il Cammino di Santiago si può percorrere a piedi, in bicicletta o a cavallo. Non presenta eccessive difficoltà, ma è meglio essere fisicamente preparati. Per chi decide di camminare come gli antichi pellegrini il peso dello zaino è fondamentale: non deve superare i 10-11 chili. È consigliabile però arrivare a circa un decimo del peso corporeo. Molto importanti anche le calzature: scarponi da trekking già usati per un certo tempo, sandali leggeri da riposo. Che cosa portare? Ecco un esempio valido per l'estate: due o tre magliette di cotone, due o tre paia di mutande, due o tre paia di calze robuste, un paio di pantaloni lunghi e uno di corti, una maglia o felpa, cerata con cappuccio per la pioggia, cappello per il sole, due asciugamani (piccolo e grande), sacco a pelo, bastone, pila portatile, coltellino multiuso, borraccia, mollette, spille da balia, un pezzo di sapone di Marsiglia, tamponi per le orecchie (se dà fastidio chi russa), carta igienica. Non vanno dimenticati i documenti: carta d'identità, modello E111 e soprattutto la credenziale (si può richiedere al Centro studi compostellani di Perugia, tel. 075/57.36.381; fax 075/58.54.607). I medicinali si trovano facilmente, ma possono servire: un disinfettante, pomata o pastiglie antinfiammatorie, crema per il sole. Lungo tutto il Cammino, in ogni paese o città, si trovano dei rifugi. Si possono così programmare le tappe secondo le proprie forze. In genere viene chiesta una piccola offerta (3-4 euro). Per mangiare c'è in ogni paese, anche nei piccoli bar, la possibilità del menu del día: con 7-8 euro ci si può sfamare abbondantemente, visto che viene offerto un primo, un secondo e un dessert, vino o acqua.

Esistono molte guide del Cammino di Santiago per i pellegrini, con l'indicazione delle tappe, dei rifugi e delle cose da vedere. Le migliori e più complete sono in inglese e spagnolo, ma spesso sono voluminose e pesanti. È consigliabile, per completezza e praticità, il libro in italiano di Alfonso Curatolo e Miriam Giovanzana: Guida al Cammino di Santiago de Compostela, Editrice Berti, euro 13,43.

Il botafumeiro è un enorme incensiere introdotto tra il XIII e il XIV secolo, soprattutto per coprire l'odore causato dai numerosi pellegrini nei giorni di massimo afflusso. Ora è simbolo di purificazione spirituale. Attraverso un gioco di corde e carrucole otto uomini, i tiraboleiros, lo fanno oscillare lungo l'asse del transetto tanto in alto da raggiungere il soffitto della cattedrale, mentre scendendo sfiora le teste dei pellegrini. L'attuale botafumeiro, di ottone argentato, è alto 1,10 metri e pesa 50 chili. È stato realizzato a Santiago nella metà del secolo scorso.

In Italia esiste il Centro di studi compostellani, fondato nel 1982, alle cui attività collaborano studiosi e ricercatori. Ha sede a Perugia, via del Verzaro 49; tel. 075/57.36.381; fax 075/58.54.607; e-mail santiago@unipg.it. Dal 1992 possono associarsi tutti coloro che intendono collaborare alla diffusione della cultura jacopea in Italia.

La Confraternita di San Jacopo di Compostela, fondata nel 1981, è stata riconosciuta canonicamente nel 1989. Ha come finalità promuovere il culto di san Giacomo, il pellegrinaggio, l'assistenza ai pellegrini. La Confraternita ha restaurato e reso funzionale l'Hospital de San Nicolás di Puente Fitero, in provincia di Burgos, per accogliervi e ospitarvi i pellegrini che vanno a Santiago.

La conchiglia è il simbolo del pellegrinaggio a Santiago de Compostela, in particolare quella che noi chiamiamo capasanta (in francese, significativamente, coquille Saint Jacques). Probabilmente perché i primi pellegrini, dopo essere arrivati a Santiago, si spingevano fino al capo Finis terrae, considerato allora la punta estrema dell'Occidente. Sulle spiagge raccoglievano le conchiglie per dimostrare di aver compiuto il pellegrinaggio. Ancora oggi chi si incammina verso Santiago appende fin dall'inizio la conchiglia allo zaino, come segno di riconoscimento.