http://digilander.libero.it/grillonina70/Vacanze/santiago/santiago_index.html
http://digilander.libero.it/grillonina70/Vacanze/santiago/camino_frances/camino_frances.html
Noi abbiamo fatto questo percorso in 28 giorni, quasi tutto a piedi. Abbiamo saltato solo alcune tappe per motivi di tempo.
ore 16
Riviera dei Fiori, treno affollato, boy scout, punk a bestia (bestiolina tranquilla e bellina). Stiamo ripartendo da Voghera. Canticchio mentalmente Baccini. Speriamo che a Genova si liberi un po'. Fa un gran caldo ma per fortuna la carrozza ha l'aria condizionata rotta. Sennò polmonite assicurata, ora che si arriva a Nizza...
Comunicazione del controllore: "Si invitano i signori viaggiatori a limitare il fumo del tabacco, dato l'affollamento del treno. Grazie per la collaborazione". Tutti annuiamo, diligenti. Aggiunta del controllore:"Si ricorda ai signori viaggiatori che oggi è la giornata contro il fumo". Boato dei punk a bestia: "E allora??"
ore 17
Genova. Scende la signora di Milano. Finalmente: non ne potevamo più dei suoi discorsi banali e di tutti i suoi commenti sul matrimonio al quale sta andando. Sale un ragazzo e si siede accanto alla mamma. E' americano ma parla anche spagnolo. Insegna inglese ai bambini per una organizzazione italiana. In questo modo gira un po' per l'Italia. Ora sta andando a S. Sebastian in Spagna a raggiungere un amico per un po' di vacanza al mare. Si son dati appuntamento in una piazza. L'indirizzo preciso non lo conosce, ma spera di ricordarsi bene la piazza. Facciamo un po' di chiacchiere sulla guerra. Lui dice che non era d'accordo con l'amministrazione Bush ma che comunque in Europa si sente molto l'anti-americanismo. Per me, al contrario, la maggior parte degli italiani adora l'America. Comunque, un conto sono gli americani in genere, un conto è Bush, il suo governo, e chi lo appoggia. Vuole studiare medicina, come il padre. Ha passato molti anni in Honduras e così ha imparato lo spagnolo.
ore 20
Arriviamo a Nizza. Accompagno il ragazzo alla biglietteria per aiutarlo con il francese. Deve chiedere se può fare la prenotazione per la cuccetta, con i suoi biglietti a kilometraggio. Niente da fare. Dormirà sul seggiolino. Ci sediamo su una panchina in attesa del treno. Comincio subito a tentare il mio spagnolo: chiedo al ragazzo "Como te llamas?" Jef!
Su una panchina accanto vedo un signore con il bordone. Faccio finta di niente e poi lo dico alla mamma. Lei, che non ha problemi di timidezza va subito a parlare con lui. E' con la moglie ed hanno già fatto il camino l'anno scorso. Erano all'incontro di Genova e si ricordavano di noi. Prendono lo stesso nostro treno, ma loro proseguiranno in treno fino a Burgos, perché hanno poco tempo a disposizione, solo 25 giorno, dopodichè tornano ad occuparsi della loro nipotina. Chiedo loro l'indirizzo.
Torniamo sulla nostra panchina. Accanto a noi c'è un signore di Genova, che va a Lourdes a fare il volontario. Lo fa da oltre 18 anni. Ha fatto il marinario per una vita ed ha girato tutto il mondo. Sa parlare un sacco di lingue. Sua moglie è argentina (era la figlia del suo capitano!).
ore 22
Arriva il treno. Salutiamo Jef che va nel vagone con i posti a sedere. Forse lo rivediamo domattina ma lui proseguirà fino a Irun.
Cominciamo a sistemarci nelle nostre cuccette. La cabina è a 6 posti. Noi siamo nel mezzo. Sopra la mamma c'è un ragazzo francese. Speriamo che non venga nessun altro. Su ogni cuccetta è stato messo a disposizione una bottiglietta d'acqua, una salvietta rinfrescante e dei tappi per le orecchie. Che bella attenzione!
Antibes: sale una signora francese. Entra, non saluta, non guarda nessuno. Prende in mano la nostra borsa del cibo, appoggiata sulla sua cuccetta e la guarda con una espressione del tipo "cosa ci fa 'sta roba qui nel mio letto?. Allungo il braccio e gliela prendo al volo. Nel giro di 5 minuti si sistema a letto e mi chiede di chiudere la porta e spegnere la luce. Agli ordini!
Quando siamo al buio già da un po', arriva l'ultimo signore e si sistema sotto di me. Anche lui in quattro e quattr'otto si infila a letto e ronfa.
ore 8
Dormito abbastanza bene anche se le gambe sono indolenzite. Fuori c'è un timido sole. Siamo a Tarbes, la stazione prima di Lourdes. Il signore di Genova si sta già preparando a scendere.
ore 9
Cambiati pantaloni. Addio ai miei jeans preferiti (sigh!). Erano stati messi apposta per il viaggio e poi il loro destino era quello di essere buttati via. Grande atto di coraggio per una come me che non butterebbe via niente, soprattutto un capo così pieno di ricordi come questi fantastici jeans.
Mentre si chiacchiera arriva un signore italiano che chiede conferma che il treno vada a Bayonne, perché da Dax il treno sta tornando indietro. Giuliano è di Verona e fa il camino da solo. Dice che ha conosciuto una coppia di Bergamo, che infatti incontriamo scese dal treno: Tiziano ed Adleide. Facciamo il biglietto per S. Jean Pied de Port, poi gli altri lasciano gli zaini e vanno a girare Bayonne, dato che il treno è alle 15 ed ora sono solo le 10.30. Telefono a Luciano per un saluto. Il suo umore è ancora basso, ma ci da un buon consiglio: ha sentito dei pellegrini che dicono che è tutto pieno e dice di evitare gli albergue affollati, tipo Puente la Reina. Consiglia di spendere 10 minuti per visitare il castello di S. Jean Pied de Port, in cima al paese, ma la mamma dice che forse non è il caso. Il tempo a nostra disposizione non è tanto. Dovremo farci mettere il sello e partire subito per Huntto.
In attesa del treno, mangiamo.
ore 13
Gli altri son tornati. Andiamo noi a fare un giro per il centro. Vediamo la cattedrale da fuori. Compriamo due cartoline per Dani e Alida. Letterina al nonno. Ci fermiano al cafè du theatre. E' più che altro una scusa per andare in bagno, dato che in stazione sono rotti. Forse i baristi l'hanno capito perché non ci trattano proprio con i guanti...
La città è semideserta. E' domenica, forse sono andati tutti al mare, dato che non siamo lontani. Il tempo però è brutto: è coperto, anche se non fa freddo. Boh?
ore 15
In stazione sono arrivati un sacco di pellegrini. C'è un gruppo di 7 francesi. Ora la mamma sta parlando con due ragazzi di Brescia/Gallarate che hanno fatto un pezzo del camino ad Arles. Chissà se riusciremo a trovare da dormire a S. Jean.
Tra un po' si parte.
ore 16
Il treno è pieno di pellegrini. Confrontiamo le credenziali delle varie nazionalità: italiana, francese, tedesca, irlandese,... Ce ne sono alcune bellissime! Pietro, di Brescia, parla praticamente tutte le lingue. Ci scambiamo l'indirizzo email. Massimo, di Milano, sembra molto più tranquillo, segue per lo più Pietro. Dopo il camino andranno a Lisbona da un amico. Hanno tutto il tempo perché si sono licenziati dalla cooperativa dove lavoravano. Beati loro!
Finalmente arriviamo a S. Jean. Io e la mamma ci dirigiamo dirette al centro del paese per il sello. C'è qualche pellegrino davanti a noi ma la massa è dietro. Facciamo abbastanza in fretta, così ci tocca poca fila. Nella stanza dell'accoglienza ci sono tre tavolini con tre volontari. Il nostro ci timbra le credenziali e ci chiede se dormiamo in paese. Io traduco dal francese, ma si capisce bene. Mamma chiede se a Huntto c'è posto. Lui crede di si ma non è sicuro. Aspettiamo Giuliano e partiamo subito per fare i primi 5 km del camino. Superiamo una coppia di francesi e andiamo su per la salita a buon ritmo. La salita però è faticosa. La borsa nera che ho davanti mi da troppo fastidio, perché mi sbatte contro le gambe. Appoggio lo zaino per terra per trovare al volo una soluzione. Non posso certo fare il camino in queste condizioni! Trovo il modo per attaccare la borsa dietro e riparto, raggiungendo gli altri.
Il volontario ci ha dato un foglio con un dettaglio della prima tappa, fino a Roncisvalle. Per Huntto ci vorrà un'ora e tre quarti. Ogni tanto c'è qualche goccia, ma fa un gran caldo. L'umidità è altissima. Sto grondando dal sudore. I pantaloni si appiccicano di continuo alle gambe.
I francesi intanto son seminati. La mamma è stupita per l'orario indicato dalla mappa perché si ricordava che il percorso fino a Huntto fosse molto più corto. Ora vediamo. Magari son stati larghi coi tempi.
Ad un certo punto vediamo lassù in cima un gruppo di case. Mamma dice che dovrebbe essere quello l'albergue. Per fiducia e speranza, scatto una foto. Ormai dovremmo essere vicini, ma le gocce di pioggia aumentano e il cielo brontola. Tutto ad un tratto arriva lo scroscio d'acqua. Al volo ci infiliamo la mantella e il k-way, anche se un po' ci siamo già bagnate. Io sto scoppiando ancora di più dal caldo perciò tengo giù il cappuccio per respirare meglio.
Per fortuna siamo arrivati. Vedo un cartello che indica un ristoro, ma non sono sicura e aspetto conferma dalla mamma. Lei mi dice di andare dentro. Infilo una gamba nell'atrio coperto da un telone di plastica. Mi trovo di fronte ad un lungo tavolo di legno. Ad un angolo, vicino all'entrata dell'albergue, ci sono due signore che mi guardano senza fare la minima piega. Come se non ci fossi. Gocciolante d'acqua, con la faccia fradicia come un pulcino da strizzare, dico "Bonsoir?".
Niente. Ormai hanno abbassato gli occhi sui loro fogli e hanno ripreso a fare le loro cose. Esco e guardo con aria interrogativa la mamma che sta arrivando. Non è che abbiamo sbagliato posto? Lei dice che questo è l'albergue e mi dice di chiedere se c'è posto per dormire. "Bonsoir, il ya des places pour coucher ce soir?" o qualcosa del genere. Le signore alzano gli occhi su di me e mi riguardano, mute. Eppure ce l'ho messa tutta con il mio accento francese!
Entrano la mamma e Giuliano: a quel punto l'ospitalera risponde: "Siete in tre?". Annuiamo. Con una faccia scocciatissima, dicono "va bene" ed entrano nella casa. Restiamo lì a gocciolare. Riescono, dicendo che qualcuno ha prenotato per 6 italiani. Ci chiedono se siamo noi. "No, pas nous!", anche se il dubbio che qualcuno abbia prenotato per noi ci resta... chissà, magari...
Ci chiedono se ceniamo lì. Si! La signora prende l'ombrello e ci porta nella stalla, dove sono allineati letti singoli e a castello. Finalmente possiamo spogliarci e toglierci le cose bagnate di dosso. Stendiamo le cose sul filo davanti ai letti.
Io e Giuliano ci facciamo la doccia facendo attenzione perché le manopole dell'acqua calda e fredda sono invertite.
Dopo un po' arrivano Massimo e Pietro. Era stato Pietro a prenotare per noi. Era abituato così dalla Francia, perché lì tutti gli albergue si devono prenotare prima telefonicamente. Avevano prenotato per sei non pensando a Giuliano e aggiungendo invece la coppia di Bergamo che invece è rimasta a S. Jean.
Andiamo a cena: io, mamma e Giuliano. C'è una grande tavolata con un gruppo di francesi. Ci sediamo su un secondo tavolo più piccolo con altri francesi. Ci raggiunge Sonia, pellegrina austriaca, che parla un po' di italiano ma soprattutto inglese. La sua amica è invece rimasta nella stalla. Chiacchieriamo in inglese. Mamma, che diceva di non ricordarsi niente, invece parla bene in inglese e si fanno un po' di chiacchiere. Giuliano invece preferisce ascoltare. Ma, si sa, la mamma parla per tutti. La signora francese accanto a me parla anche inglese, perciò traduce i nostri discorsi al suo gruppo. Mamma fa vedere la sua credenziale e la sua Compostela (una fotocopia) dell'anno scorso. Sono tutti a bocca aperta.
Mangiamo una buona zuppa di verdura, bella calda, che con tutta questa umidità viene molto apprezzata. Ci portano poi una frittata con verdure, seguite da arrosto e formaggi. Cerco di mangiare perché l'appetito non manca, ma la stanchezza e probabilmente il freddo, mi costringono a scappare velocemente in bagno, per un attacco di dissenteria. Cerco di non dare troppo nell'occhio, ma quando torno vedo tutti che si preoccupano di sapere come sto. Figura di legno!
A fine cena, dato che l'ambiente si è scaldato, mamma si alza e va di fronte alla grande tavolata di francesi. Alza il bicchiere e dice "A Roncisvalle!" in segno di brindisi.
Alcuni si voltano a guardarla, altri continuano i loro discorsi, poi pian piano gli sguardi si rivolgono tutti verso di lei, ma restano immobili a guardare. Mamma ripete "A Roncisvalle!" e alza il braccio con il bicchiere pieno di vino. Niente, nessuna reazione. Tutti stanno lì fermi a guardarla con aria interrogativa.
Allora la francese accanto a me, capisce che la mamma vuole fare un brindisi e si alza, ripetendo, in francese "A Roncesvaux!". Tutti i francesi si illuminano, prendono il bicchiere in mano e rispondono felici al brindisi.
La mamma si volta, mi guarda incredula e torna a sedersi. Forse la prossima volta ci penserà due volte a proporre un brindisi ai francesi. Bah!
Al momento di pagare, ci facciamo mettere il sello sulla credenziale.
Sonia si arrabbia un po' e commenta in francese il suo dissenso sui 18 euro, dato che quando aveva telefonato per informarsi le avevano detto che costava 15 euro. Non è tanto per i soldi, è questione di correttezza. Le do ragione, ma siamo tutti molti stanchi e che questi francesi non sono il massimo della simpatia l'avevamo già capito.
Ci consoliamo al pensiero che domani saremo già in Spagna.
Torniamo nella nostra stalla. Mamma tira fuori dalla borsa delle fette di pane con dentro dei pezzi di arrosto, tenuti in serbo per Pietro e Massimo, che non erano venuti a cena. Attenzione molto apprezzata dai ragazzi.
Giuliano trova nello zaino una lettera a sorpresa delle figlie.
Ha smesso di piovere e si è alzato il vento. Comincia a far freddo. Ci copriamo bene anche con le coperte di lana a disposizione su ogni letto.
Partenza alle 6. Ci siamo svegliati alle 5.30. Pietro e Massimo partono dieci minuti prima di noi e spariscono. La strada è subito in salita. Poche decine di metri e si devia sullo sterrato, bello ripido e fangoso. Superiamo una coppia. Il ritmo è buono ma il fiato non è ancora rotto. Sono quei momenti in cui maledici tutte le sigarette che hai fumato. Sarà anche l'orario mattutino e l'alta umidità. Sotto di noi si stanno ammassando le nuvole. A stento di vede laggiù in fondo qualche casa, ma forse non è S. Jean, potrebbe essere un altro paese.
Rincontriamo dopo poco l'asfalto. C'è una tavola di marmo con il disegno della tappa fino a Roncisvalle. Si sentono da lontano pecore e mucche al pascolo ma non si vede praticamente niente. Ogni tanto passa una macchina: un pastore che porta su i cani a far da guardia al gregge.
Arrivati al Vierge de Biakorre ci dovrebbe essere una montagnetta da cui si vede un bellissimo panorama. Ahimè la nebbia è proprio fitta. Vedo che Giuliano va comunque lì dietro a dare un'occhiata. Sto per seguirlo, ma mi accorgo che era una scusa per "telefonare". Appoggiamo gli zaini per terra e ne approfittiamo per sgranocchiare qualche biscottino.
Rimaniamo però solo dieci minuti, perché siamo sudati e cominciamo a sentire freddo. Vediamo dei cavalli al pascolo. Io mi emoziono ma non faccio rumore per non disturbarli. E infatti non alzano nemmeno il muso per darci un minimo di considerazione. Troppo intenti a mangiare. Continuiamo a camminare sulla strada asfaltata. Dopo un po' sento una strana presenza alle nostre spalle. Mi volto spaventata pensando che un cavallo ci abbia seguito. E' invece un francese che ci saluta. Io gli dico "très vite!", dato che sta andando ad una velocità incredibile e lui risponde noncurante che è partito alle 6. Rispondiamo "anche noi!". Sì, però lui da S. Jean! Come non detto! Per finire, mentre ci supera vedo che si porta alle labbra la sigaretta e dà una bella aspirata. Resto a bocca aperta per il coraggio! Io ho appena rotto il fiato e sono passate due ore! Ma sembra che il fumo gli dia ancora più energia, perché accelera e sparisce.
Cammina, cammina, i segnali ci confortano sui tempi. Stiamo andando bene, con un buon ritmo. Sembra di essere quasi in cima perché spunta fuori un timido sole e pian piano ci illumina. Mi volto di lato sulla vallata: non si vede niente perchè c'è una nuvola intera che la copre. Sembra di essere in aereo! Arriviamo alla famosa croce dove comincia lo sterrato. Giuliano ci fa una foto. In cima all'ultima collina c'è una casetta stupenda che fotografo, mentre Giuliano e mamma stanno tentando di leggere una targa scritta in francese. Chiedono il mio aiuto. Comincio a tradurre ma capiamo che si tratta di un raccontino che non è proprio corto, perciò lasciamo perdere e proseguiamo. Costeggiamo i boschi di faggi che scendono ripidi fino a valle. Sono abbracciati fin dalla base dalla nuvola che ricopre l'intera vallata. Voltandosi a guardarli, il sole ci picchia sulle spalle e proietta sui tronchi un fascio d'ombra di forma strana, data la nostra attrezzatura pellegrina. Ci fermiamo ad osservarla, divertite e scopriamo la vera magia: tutt'intorno alla sagoma del viso, ecco che appare un'aureola più chiara. Sembra che luccichi! Invitiamo Giuliano a fermarsi anche lui a verificare la sua santità. Cerchiamo di condividere la magia anche con i pellegrini che ci stanno superando, ma forse l'evento è dedicato solo a noi, perché tutti lanciano uno sguardo fuggitivo senza neanche fermarsi e ci fanno un sorrisino di convenienza.
Arriviamo alla fontana di Rolando e ci riposiamo per una mezz'oretta.
ore 13
Arrivati a Roncisvalle, finalmente. Dopo la fontana di Rolando la salita continua ma più dolce. C'è solo l'ultimo tratto, sui sassi, pesantissimo. Sto facendo la sauna, perché sotto i pantaloni lunghi ho i ciclisti.
Finalmente arriviamo alla discesa. La coppia di prima sta parlando con una francese. Loro son molto carini. Lui ha l'aspetto asiatico ma lei è bionda e riccioluta. Sono americani. Sono carini perché sono vestiti uguali e quando si fermano stanno uno accanto all'altro, sempre composti. Fa impressione il fatto che lui abbia nella tasca laterale dello zaino una bottiglia d'acqua da un litro e mezzo. Ed è piena! Chissà quanto pesa!
La discesa è ripida. 15%, ma abbiamo scelto la strada per esperti perché all'inizio c'è un bivio che dà l'alternativa anche per una strada più facile, anche se più lunga. Ci inoltriamo nel bosco e anche lì sono faggi. E' pieno di lumaconi neri. A me stanno molto simpatici ma a Giuliano fanno un po' senso. Ma forse perché lui le lumache le mangia!
La francese che chiacchierava prima con gli americani ci affianca e ci dice che ha cominciato il cammino in Francia e, dato che un po' la capisco, comincia a descrivere la bellezza dei boschi francesi, e dice che i cammini in Francia sono molto più belli di quelli della Spagna. Io le dico che chissà, magari, un giorno, potremo fare dei pezzi di cammino anche in Francia. Finalmente, allunga il passo e se ne va. Non ne potevo più di ascoltarla. Tra l'altro stiamo facendo il camino in Spagna e non mi sembra il caso di venirmi a rompere le scatole sulla bellezza della Francia.
Ad un certo punto la strada sale ed io son disperata. Non ce la faccio più. Non vedo l'ora di arrivare. Mamma dice che anche Luciano nel sito diceva che non si arrivava mai. La fregatura è che all'inizio della discesa si vede da lontano la Collegiata che è il grande palazzo di Roncisvalle. Per il resto non c'è altro. Quindi, vedendolo da lì sembra vicino... macchè.
Il tempo è nuvoloso. Ci cambiamo al volo in bagno, dopo esserci fatte mettere il sello e aver pagato 5 euro per il letto. Quel po' di sole che spunta asciugherà la maglietta fradicia. I letti saranno disponibili solo alle quattro. Nel frattempo alcuni pellegrini si sono sdraiati in terra, all'entrata a riposarsi. Anche Massimo e Pietro. Ma arriva una signora che li fa sloggiare. Da lì passano le persone che vanno al museo. Si mettono dall'altra parte, in fondo in fondo. Ora se magna.
ore 16
Siamo andate a bere una birra e a prenotare la cena per le 20.30, dopo la messa e la benedizione. Sono le 2. Il sole va e viene. Quando va fa freddo, perché le nuvole sono basse, ma il sole picchia quando arriva. Mi tolgo le scarpe. Chiacchieriamo con Tiziano e la moglie che hanno camminato velocissimi, considerando che son partiti da S. Jean. Loro ceneranno alle 7. Vediamo Sonia. E' preoccupata perché ha perso l'amica Annemarie all'altezza della discesa quando si è allontanata per "telefonare". Non sa cosa fare. Il cellulare è staccato. E' un'ora e mezza che la sta aspettando. Cerchiamo di rassicurarla. C'è un ragazzo tedesco che anche lui ha perso l'amico. Si confortano a vicenda. Almeno credo, perché parlano in tedesco. Dopo un po', però, l'amica arriva.
Vado in bagno per togliere un po' di fango dai pantaloni, ma in fretta perchè son le 4 e apre l'albergue. Siamo quasi i primi ad entrare. C'è un ragazzo ed un uomo che ci indicano il nostro letto. Le scarpe infangate dobbiamo lasciarle in un angolo. Faccio la doccia.
ore 17
Nel giro di un'ora lo stanzone, vecchia chiesa, si è riempito. Ci sono 50 letti a castello (100 posti letto). Si è riempito per metà. Stendo le cose bagnate e umide fuori perché c'è vento anche se siam dentro una nuvola.
Decidiamo la tappa di domani: fino a Larrasoana e poi in bus a Trinidad de Arre, per esaudire il desiderio della mamma, che vuole fermarsi a dormire lì.
C'è chi chiacchera, chi riposa, chi sistema lo zaino. Tutti molto composti. Ora un pisolino lo faccio anch'io perché è presto. Devono arrivare le 8.
ore 22
Ho ronfato di brutto, tanto che mi hanno dovuto svegliare alle 19.30. Ero rincoglionita. La faccia bordò. Ho preso il sole senza neanche accorgermene.
Andiamo a messa alle 8 e sta piovendo. Un bello scroscio. La chiesa è stupenda, così pure i canti gregoriani dei preti, con quella loro voce così bassa. E' strano ascoltare messa in spagnolo. Fa una certa impressione. Ad un certo punto, finita la messa, l'officiante chiede ai pellegrini di avvicinarsi. Ci muoviamo praticamente tutti davanti all'altare e lui fa la benedizione prima in spagnolo, poi in francese, italiano, inglese e tedesco (credo). E' stato emozionante e commuovente.
Hanno anche nominato i paesi di provenienza dei pellegrini. Siamo tanti e di tante parti!
Finita la messa andiamo a cena. Si siede con noi Maria, spagnola di Alicante che comincia il camino da qui domani. E' simpatica, capisce l'italiano perché a volte lavora a Milano. Parla bene e lentamente e la capiamo. Serata piacevole ma mi brucia la faccia.
Pappa buona: minestrina e un pesce a testa. Trota. E patate fritte. Budino per dolce che terrò per la colazione di domani. Rientrati in tempo in albergue per lavarsi i denti perché alle 22 hanno spento le luci.
Ho preso un'aspirina per la tosse e la faccia rossa. Notte!
Anche se c'è già chi russa di brutto.
Si parte alle 6. Pietro e Massimo partono spediti. Noi andiamo con Giuliano. Si entra in un boschetto che costeggia la statale. Stupendo. Arriviamo al paesino a pochi chilometri: Burguete. Si prosegue costeggiando inizialmente dei campi pieni di mucche con dei vitellini simpaticissimi. Provo a fotografarne uno ma si nasconde sotto la mamma a bere il latte. Vabbè. Si arriva ad una salita che fa ricordare tutti i muscoli usati ieri sui Pirenei. Devo rompere il fiato! Fa già molto caldo e sono già in maniche corte. Superiamo il secondo paese, Espinal, e prima di inoltrarsi nel bosco c'è un'altra salita dove cerco di distrarre la fatica, osservando un gruppetto di mucche in fila indiana intende a superare un boschetto per arrivare al loro prato. Che belle! Ci si inoltra nel bosco e come previsto c'è fango. Incrociamo pellegrini che ci superano. Ad uno dico"Buon camino!" e la tipica risposta arriva subito: "egualmente!".
Giuliano ci ha distaccato un po', non lo si vede più. Stiamo scendendo verso il paese e la difficoltà è data dal fatto che stiamo camminando sul letto di un ruscello: fango e sassi scivolosi.
Incrociamo la statale e da lì parte un sentiero, asfaltato da poco, con dei sassoni. L'anno scorso non c'era (dice mamma). All'inizio del paese riprendiamo Giuliano e ci fermiamo al bar a far colazione. Siamo a Biscarrete. Mi infilo i pantaloni corti e bevo un caffè. In quel momento arrivano Pietro e Massimo. Che strano! Son partiti prima di noi! Ma si son fermati a raccogliere le fragoline... (dicono). Massimo non riesce a credere che siamo arrivate prima di loro, e dato che in quel momento nella piazzetta si ferma un autobus, lui sostiene che noi abbiamo preso il bus.
Mamma è affascinata da due francesi che fanno colazione con pane e olio. Ripartiamo e c'è subito salita. Io parto in sprint perché vedo che dietro sono un bel gruppo. Supero la coppia di americani e tre francesi. Arrivo in cima e proseguo sul rettilineo. Poi mi rendo conto che sono andata troppo veloce e mi fermo ad aspettare. Riprendo il cammino con la mamma. Gli altri sono passati tutti avanti a noi. Mamma va piano forse perché ha i sandali e c'è molto fango. Ci superano due francesi e la ma chiede alla signora la marca dei sandali perché sembrano molto belli: ASOLO. Passa uno spagnolo e ci urla:"Forza Italia!, Molto bene!, Bravissimi!"... e sparisce.
La giornata è bella, il sole si sta alzando e in mezzo al bosco i colori sono fantastici. Superiamo un ripetitore che mamma ricordava. Una cosa carina di questi boschi fantastici è che ci sono dei cancellini che ogni tanto si incontrano tra un pezzetto di bosco e l'altro. Forse sono i passaggi di proprietà. Ogni pellegrino chiude accuratamente il cancello, come richiesto dai cartelli.
Si arriva a Zubiri. Faccio una foto alla mamma sul ponte.
Sento l'urgenza di togliermi le scarpe perché mi cuociono gli alluci. Ricercando l'albergue per il sello, vediamo spuntare dal ponte gli amici bergamaschi. Nella piazzetta vediamo Maria che sta partendo e Giuliano che ci stava aspettando.
L'albergue è chiuso, anche se sono già le 12, ma all'alimentari mettono il sello. Mamma entra e compra un panino per il pranzo. Mi lavo i piedi alla fontana e li lascio respirare. Poi mi metto i sandali. Si mangia il panino, una birra, e si riparte all'una. I bergamaschi restano lì a riposarsi ancora. Giuliano parte con noi ma ci stacca subito. Vogliamo andare a Larrasoana, riposarci e ripartire per Trinidad de Arre.
Incrociamo la fabbrica descritta dalla guida ed effettivamente i primi chilometri sono brutti, poi si entra in un boschetto aperto che fiancheggia i campi e la vista migliora.
All'inizio schizzo un po' con la mamma. Le dico che non so se ce la faccio perché lei va troppo piano. Mi dice Vai! e allora aumento il passo. Da lontano si vede un paese ma mancano ancora 3/4 km: è impossibile che sia il nostro. Infatti si va oltre. Incrociamo una chiesetta carina e ma mi fa una foto. La strada è dritta, bella, pulita, ma il sole delle due picchia. Per fortuna c'è vento. Arriviamo alle 2,30 a Larrasoana. Il sindaco ci mette il sello, ma ci dice che non c'è posto. "No - diciamo - non c'è problema, perché andiamo oltre".Ci fermiamo a curiosare nei vari libroni con i saluti dei pellegrini. Ricerchiamo quello dell'anno scorso, per rileggere il commento della mamma, ma la ricerca è troppo lunga e desistiamo.
Incontriamo Pietro e Massimo. Mamma mi dà la sua crema per il sole, ma mi impiastriccio la faccia e passo cinque minuti a tirarmela via, inveendo contro di lei, che manco se ne accorge, tanto è impegnata a chiacchierare con Pietro!
Ora si riparte ma sta arrivando un nuvolone. Prenderemo la pioggia?
ore 20
Ce l'abbiamo fatta! Siamo a Trinidad De Arre! Abbiamo fatto 37 km, oggi! Siamo arrivati stanchi morti ma soddisfatti. La compagnia di Massimo e Pietro ha distratto un po' la fatica, almeno all'inizio.
Per arrivare a Trinidad De Arre, stanno costruendo una strada tutta asfaltata che probabilmente andrà a sostituire il camino vero. Comincia dopo il ponte di Irotz. Un tipo ci dice che mancano solo 5 chilometri ma a noi sembra di non arrivare mai. C'è una stradina che fiancheggia un colle a mezza costa. Sulla nostra sinistra, un po' più in là, passa la statale. Da lontano si vede Pamplona ma di Trinidad De Arre nemmeno l'ombra. Il passo è lento: la stanchezza e il caldo ha frenato il ritmo. Io cerco di reagire: parte lo skizzo-sprint e accelero, distaccando un po' il gruppetto, così mi ritrovo sola quando vedo una biscia attraversare il sentiero. Mi stupisco della mia reazione: nonostante il mio terrore per tutto ciò che striscia, mi fermo a guardarla, quasi incuriosita dai suoi movimenti. Sarà stata la stanchezza o forse questo scoperto amore per la natura. Comunque, tanto meglio. Mi raggiungono gli altri, Passiamo un casolare stupendo, tutto coperto di edera. Pensavo fosse quello il rifugio. Peccato. Si arriva alla statale. Si passa sotto in un sotterraneo schifoso e fangoso, dove Massimo ha paura che ci siano topi, dato che ha i sandali. Il tutto per attraversare la statale, dato che il camino riparte dall'altro lato. La strada sale e sembra non finire più. Siamo sfiniti tutti quanti. Pietro si ferma a chiedere informazioni ad un signore. Io vedo un ciclista che ci viene incontro a tutta birra (lui è in discesa!): gli urlo "l'Albergue?" Per rispondermi "Si!", si volta a guardarmi e rischia una brutta caduta, perché sta frenando sulla discesa sassosa. Siamo arrivati in cima alla salita. Ora cominciamo a scendere. Io sono davanti a tutti: accelero perché non vedo l'ora di arrivare, non ho voglia di stare a chiacchierare come fanno Pietro e la mamma. Finalmente il ponte! Siamo arrivati!
All'albergue l'ospitalero ci mette il sello, paghiamo e poi ci accompagna lì vicino dove troviamo Giuliano, Tiziano ed Adleide che sono arrivati un'ora prima di noi. Ci sistemiamo nella stanzetta vuota dei russatori. Tutta per noi. E' stato molto faticoso. Non passava più. Abbiamo fatto la doccia e già stiamo meglio. Facciamo la lavatrice (!) e laviamo un po' di roba. Poi piattone di pasta per tutti (c'è la cucina!).
Notte un po' turbolenta, tra Pietro che russa e starnutisce e la mamma che tira giù le bottigliette vuote dell'acqua col cuscino, senza sentire i miei richiami, causa tappi nelle orecchie.
Pietro mi sveglia nel bel mezzo della notte per dirmi che ha sognato di dirmi che per alleviare gli starnuti devo farmi una croce nella schiena nel punto del nervo sciatico, oppure premere sotto il piede. Mi verrebbe da dirgli che chi sta starnutendo è lui, non io, ma gli rispondo ok e mi rigiro dall'altra parte. Io ho solo un gran bruciore agli occhi, per l'allergia e il vento. Abbiamo fiancheggiato un sacco di campi di grano.
Appena mi sveglio prendo una pasticca di antistaminico. Sono le 6. La mamma è sparita. Non c'è neanche lo zaino. Esco fuori e la trovo nella prima sala, nel salottino, vicino all'entrata. Dice che un po' ha dormito lì per non disturbare. Vado a prendere lo zaino e mi metto lì anch'io perché Pietro e Massimo vogliono dormire fino a tardi. Ci vestiamo, recuperiamo i panni stesi, praticamente asciutti o quasi e facciamo gli zaini. Faccio un po' di andirivieni cercando di non disturbare. Nel frattempo si svegliano Giuliano, Tiziano ed Adleide. Anche loro pensano di fermarsi come noi ad Uterga perché fino a Puente la Reina sono 30 km e sono troppi dopo la fatica di ieri. Alle 7.30 io e mamma partiamo. Usciamo da Trinidad De Arre e comincia uno stradone dove già compare il cartello di benvenuto di Pamplona. Ma non ci sono segnali del camino. Niente frecce. Abbiamo sbagliato strada. Torniamo indietro sui nostri passi e troviamo gli altri che hanno imboccato la strada giusta. Alla rotonda loro avevano seguito la freccia gialla. Il tempo è sereno e sono già in maniche corte. Sono le 8. Incrociamo un vecchietto che ci conferma la strada, dato che ci sono molti lavori in corso e non eravamo sicuri se proseguire in mezzo agli operai. Facciamo la strada con lui. La mamma gli chiede delle cose, ma lui resta dietro, vicino a me. Ogni tanto mi dice qualcosa ma non lo capisco molto. Sbiascica un po' troppo le parole e poi è troppo presto per me per capire lo spagnolo stretto. Sto ancora dormendo. Gli dico che andiamo a Santiago e che ci metteremo un mese. Lui dice che l'ha fatto in 28 giorni. Arrivati al ponte della Maddalena (sulla nostra destra), il vecchino mi dice che lui gira a sinistra; mi da la mano, mi da un bacino sulla guancia e mi dice Adiòs. Gli altri che sono già un po' avanti non li considera proprio. Dico agli altri che il tipo sta andando via. Si voltano tutti e salutano a vuoto. Saliamo sul ponte e Giuliano resta un po' indietro per farci una foto. Entriamo nella città di Pamplona attraverso una porta bellissima. Vicino alla cattedrale posiamo gli zaini davanti ad una pasticceria. Tiziano ed Adleide entrano a far colazione mentre Giuliano ed io con le credenziali di tutti andiamo alla cattedrale a vedere se ci mettono il sello. La cattedrale è ancora chiusa. Apre alle 10, manca un'ora e non è il caso di aspettare. Entro dentro un portone e chiedo alla portineria dove possiamo trovare il sello della cattedrale. Mi dicono che è tutto chiuso e che possiamo andare all'albergue. Me lo indicano sulla cartina che ho preso ierisera in albergue a Trinidad De Arre. Davanti all'albergue ritroviamo i ragazzi spagnoli che stamattina son partiti prima di noi e anche Sonia, la signora austriaca. L'albergue apre alle 13, ma già alle 11 possono mettere il sello. Sonia dice che resta lì perché ha mal di gola. La sua amica è andata avanti. Nel giornalaio lì di fronte compriamo due cartoline e qualche busta e proseguiamo. Attraversiamo praticamente tutta la città. I negozi sono ancora quasi tutti chiusi, ma c'è abbastanza traffico, anche di gente a piedi che va e viene. Allora anche qualche spagnolo va a lavorare!
Purtroppo però non si trovano tabaccai per comprare i francobolli.
Attraversiamo un giardino enorme, bellissimo, dove una signora che ci incrocia ci saluta con un "Hola calientes!" Boh? Avrò capito male io?
Mamma si ferma a comprare un po' di pane e due briosche. Ormai siamo quasi in fondo alla città, dove c'è l'università della Navarra. Qui mettono il sello. Appoggiamo gli zaini e Giuliano, Tiziano ed io andiamo nell'edificio per il timbro. Si riparte. Ormai sono le 10. Uscendo da Pamplona, c'è una bella spianata di campi di grano. Speriamo bene...per la mia allergia. Camminiamo per un tratto sull'asfalto, ma accanto stanno costruendo quello che sicuramente sarà un nuovo tratto del camino. Attraversiamo la statale e stiamo sul marciapiede accanto alla strada. C'è un po' di salita e arriviamo a Cizur Menor, dove c'è l'albergue dell'ordine di Malta. Puntatina per il sello. Due signore stanno facendo le pulizie. Di fronte all'albergue c'è una vecchia chiesa. Dentro ci sono ammassati dei materassi per i pellegrini che arrivano tardi e non trovano più letti. Sull'entrata della chiesa c'è una coppia di pellegrini. Sono francesi, su 50 anni. Lui sembra distrutto. Ha le gambe distese su una sedia. Facciamo due chiacchiere. La signora dice che i sandali che ho ai piedi sono un'ottima idea. "Très confortable"!, annuisco.
Usciamo dal paese e la strada si inoltra in mezzo ai campi di grano. Da lontano si vedono giù i mulini a vento dell'Alto del Perdòn. La strada è faticosa perché il terreno è molto duro ed è piena di noiosi sassolini. Per fortuna con i sandali io ho messo i calzini, mentre la mamma a piedi nudi fa molta più fatica. Le gambe mi fanno molto male. I miei polpacci sembrano due pezzi di legno. La mamma invece ha male alle anche. Tra l'altro ha diverse vesiche e non può cambiare scarpe. Per fortuna, il cielo non è completamente sereno, perché già fa caldo, figurarsi col sole! C'è una bella brezzolina. Io comunque mi metto la crema da sole, chè non si sa mai. E' la volta buona che mi ustiono!
Comincia lo sterrato con un po' di alberelli. I nostri amici ci hanno già distaccato un po'. Decidiamo di fermarci per un riposino. Io non sento più i polpacci. Me li massaggio un po' insieme ai piedi, poi mi cambio i calzini e mi metto le scarpe, mentre mamma tiene i sandali.
Riprendiamo a camminare. Il vento sta aumentando e arrivano giù un po' di gocce d'acqua. Ritiro i pantaloni stesi lungo lo zaino e stendo un pezzo di mantella per coprire i materassini. Incrociamo uno spagnolo che parla a manetta con la mamma. Poi la saluta e quando mi incrocia mi da la mano dicendomi qualcosa. Capito niente! Sono complimenti, dice la mamma. A lei ha detto che non pioverà molto. Sembra del luogo. Il vento man mano che si sale aumenta sempre di più. I mulini in lontananza girano veloci. La salita è abbastanza dolce ma abbiamo le gambe a pezzi e andiamo molto lente. C'è una ragazza con uno zainetto piccolissimo, con una macchina fotografica da professionista. Si ferma di continuo a far foto. La superiamo più volte, quando si ferma, ma lei ci riprende ogni volta, dato che cammina più veloce. Anche gli altri gruppi di pellegrini ci superano tutti, ma noi vogliamo andare con calma. Finalmente siamo in cima. Chiedo alla mamma se mi fa una foto accanto al monumento dei pellegrini. Aspetto che la fotografa si sposti. Sta valutando una inquadratura, ma ci mette un secolo ed io comincio a spazientirmi, perché son sudata e comincio a sentire freddo. Ad un certo punto lei se ne accorge e mi dice "scusa" e si sposta.
Riprendiamo subito perché lassù c'è troppo vento e fa freddo. Cominciamo a scendere. C'è una signora ferma accanto ad un cancello. La mamma la saluta e lei risponde "Buongiorno". Capiamo che è italiana. E' di Torino. Sta aspettando la figlia che sta facendo delle foto per un servizio fotografico in bianco e nero. La signora ha fatto il camino già diverse volte. Ora stanno facendo solo un pezzo fino a Burgos, perché hanno poco tempo.
La discesa è un disastro. Strada piena di enormi sassi. E' difficilissimo non scivolare. C'è tanto vento e piove ancora qualche goccia. Andremo agli 0,5 km all'ora. Ma non importa, andiamo piano, anche se in certi momenti io cerco di accelerare per reagire alla stanchezza e al dolore alle gambe.
Di nuovo ci facciamo superare dai pellegrini che avevano fatto sosta su in cima. Ci fermiamo a riposare e a mangiare qualche fico secco. Ormai non dovrebbe mancare molto. Da lontano si vede qualcosa. Arriviamo in fondo alla discesa e si risale un po' su una strada piena di sassolini, ammazzagambe.
Ecco il paese, Uterga. Lungo la via principale, accanto alla fontana, ci sono Tiziano, Adleide e Giuliano. Sono lì da 3/4 d'ora circa, ma non hanno ancora cercato l'albergue. Mamma lascia lo zaino e va a cercarlo. Torna indietro per indicarcelo e così, zaini in spalla, andiamo dentro a chiedere se c'è posto per dormire. Una ragazza al bar ci mette il sello e ci porta su in camera.
L'albergue è privato, molto ben tenuto. I letti a castello sono tutti in un'unica stanza, è tutto nuovo. Anche i bagni, uno per le donne, uno per gli uomini, sono molto belli.
Al pian terreno c'è un ristorante/bar, dove molti pellegrini stanno pranzando. Loro sicuramente andranno a dormire a Puente la Reina.
Vado di corsa a far la doccia, perché ho il collo in fiamme. Ieri sotto il sole devo essermi bruciata e ieri sera ero troppo stanca per ricordarmi di mettermi la crema.
Scrivo un po' di diario, mentre la mamma riposa, poi vado giù, in veranda a raggiungere Tiziano ed Adleide e a bere una birra.. Poco dopo comincia a piovere.
Mamma mi raggiunge giù e guardiamo le tappe per i prossimi giorni.
Dopo un po' spuntano quei pazzi di Pietro e Massimo. Pietro esordisce dicendo che non si fermano lì perché l'albergue costa troppo. Si siedono al tavolo con noi a bere qualcosa, si fanno mettere il sello e ripartono, sotto il diluvio. Ci diamo appuntamento per domani a Estella.
Alle 19.30 scendiamo a cena. Insieme a noi c'è una signora svizzera che ieri era con noi a Trinidad de Arre, e due ragazzi spagnoli, una coppia. Loro dormono da un0altr parte: i ragazzi proprio di fronte a noi, in una specie di rifugio, mentre la signora dorme in una stanza del Comune, dove non si paga niente e addirittura erano rimasti due posti (dovevamo essere quelli per Pietro e Massimo!). Il Comune è propri odi fronte alla fontana, nel centro del paese.
La cena è molto abbondante. Come primo mamma prende l'insalata russa, io l'insalata di arròs. Mi arriva un'insalata di riso con il pesce. Guardo stupita il piatto. La mamma prende una forchettata di riso e rivolgendosi al ragazzo spagnolo, gli chiede "come si chiama questo?". "Arròs!". Lo mangio comunque con gusto. Poi come secondo un piatto enorme di stufato con patate. Il tutto innaffiato con vino tinto (rosso). Per digerire chiedo alla cameriera se ha un bicchiere di porto. Ma non ce l'ha. Mi offre del vino dolce a 15%. Abbastanza buono, ma troppo leggero.
A fine cena, la signora svizzera ci saluta perhcè vuole andare a letto presto. Guarda il ragazzo spagnolo e lo chiama "Arròs" e allora tutti ci mettiamo a ridere. Lui spiega che si chiama Oscar e che prima la mamma aveva chiesto come si chiamava il riso in spagnolo e non "come ti chiami".
Da allora, decidiamo di chiamare il ragazzo "Arròs".
Andiamo a dormire. Tiziano mi da del gel all'Aloe per il mio collo ustionato. Aspetto un po' che si assorba, poi vado a letto.
Le previsioni per domattina sono pioggia. Ci prepariamo al peggio.
Lezione di spagnolo: russare=roncar, da cui russatori=roncadores.
Mi sveglio e come al solito la mamma è sparita. E' già di là nel salottino. Ha dormito per lo più lì. Comincio a prepararmi anch'io trasportando il tutto di là. Si parte. Non è nuvoloso ma fa freschino. Appena usciti dal paese, imbocchiamo uno sterrato che fiancheggia i campi di grano. C'è un cartello che dice "A Santiago" e lo fotografo. Subito dopo una distesa di papaveri in mezzo al grano. Fotografo la mamma. Arriviamo a Muruzabal e c'è sulla prima casa che incontriamo il disegno di una chiesa con scritto "a 2 km Eunate". Mi sembra strano: è un nome noto ma questo paese non è previsto nella cartina del nostro percorso. Mamma mi spiega che l'anno scorso mi aveva spedito una cartolina di Eunate, ma fa parte del percorso italiano, perciò sarebbe una deviazione. Arriviamo a Obanos e notiamo l'indicazione dell'albergue. C'è lì fuori un ragazzo spagnolo e mamma gli chiede se dentro ci sono due ragazzi italiani. Dice che stanno facendo colazione. Entriamo per andare a salutare Massimo e Pietro. L'albergue è molto carino: rustico e piccolino. In cucina faccio una foto a tutti i pellegrini seduti a tavola. Ci facciamo mettere il sello dal simpatico ospitalero e ripartiamo. Su una targa leggo che Obanos è un paese dedicato a due pellegrini. Maggiori informazioni si possono trovare sul sito www.misteriodeobanos.org . Si continua lungo i campi di grano finchè non si arriva alla statale. Incontriamo sulla sinistra un grosso albergo a tre stelle, davanti al quale si trova il famoso monumento al pellegrino: siamo a Puente la Reina. Proseguiamo sul marciapiede, a fianco della strada. In cima ad un fumarolo alto c'è un nido con due cuccioli di cicogna. Ad un certo punto arriva anche mamma cicogna. Scatto due foto ma al momento sbagliato. Resto ancora un po' ad inquadrare i cuccioli, aspettando che torni la mamma cicogna, ma alla fine rinuncio. Arriviamo all'albergue. Chiedo ad un ciclista che sta uscendo se c'è qualcuno per il sello, ma dice che non c'è nessuno. Rientra dentro e cerca sul tavolo e nei cassetti ma non trova niente e mi dice che gli dispiace. Apprezzo l'intenzione e lo ringrazio. Proseguiamo ed arriviamo al famoso ponte, dove mamma mi scatta una foto. Decidiamo di proseguire. Faremo colazione dopo. Attraversiamo la statale e ci inoltriamo nel percorso ma subito un cartello indica una deviazione. Ci sono dei lavori sulla strada. Seguiamo le indicazioni e ci ritroviamo su un percorso sconnesso di sassi e terra rossa. Il paesaggio è da film western. Forse per questa terra così rossa. Si sale e si fa fatica. Per fortuna non piove, sennò sarebbe veramente difficile. Si va piano ma il ritmo è costante. Scatto una foto ai pellegrini dietro di noi per immortalare il paesaggio. L'ultimo tratto in cima bisogna stare molto attenti a dove si mette i piedi. Raggiungiamo la strada asfaltata e stiamo per seguire lungo un piccolo sentiero che la fiancheggia, ma un signore ci urla che dobbiamo passare per la strada. Passiamo accanto agli operai che stanno scavando il manto stradale.
Superiamo il paesino di Maneru e giungiamo a Ciraqui dove seguiamo alcuni pellegrini al bar. Mi mangio un bel panino al prosciutto e il solito caffè "solo". Al tavolo ci sediamo di fronte ad una coppia. Mamma dice che sono padre e figlia. Io insisto sul fatto che siano una coppia. Sono tedeschi. Parliamo in inglese. Mamma chiede una cosa e vuole rispondere che lei è stata più brava, ma si rivolge a lui dicendo che lei è "more clever", allora io faccio notare alla mamma che "clever" significa intelligente e che senza volere gli stà dando dello scemo. Per cercare di giustificare la gaffe, faccio la faccia da imbecille e il tutto si risolve in una bella risata. Sono le 10.15. Decidiamo di ripartire alle 11, per riposarci un po'. Intanto ci mettiamo in tenuta corta. Il sole va e viene ma fa caldino. Insomma si sta bene. Mamma si mette i sandali.
Ripartiamo e come dice la guida cominciamo a calpestare una vecchia strada romana. Camminiamo coi piedi di velluto. Bellissima. La devo fotografare.
Attraversiamo la statale ed il vecchio sentiero romano prosegue anche se proprio a fianco hanno fatto una strada per le macchine. All'inizio ci confondiamo, anche perché non si capisce quale è il camino. Arriviamo ad un ponte romano ristrutturato.
Incontriamo tre signori che ci vengono incontro. Sembrano pellegrini. Quando ci sono vicino, mamma indica dritto verso di noi e dice "Ma, Santiago è di là!" ed uno di loro risponde sorridendo, "si, si, tranquilla!".
Ritorniamo sulla statale e mamma si ricorda bene una staccionata di legno che protegge i pellegrini dalle macchine. E' abbastanza breve perché di lì a poco si gira a destra verso una strada più piccola. C'è un enorme acquedotto che taglia tutta la vallata da una parte all'altra. Sopra c'è una scritta enorme: EUSKAL HERRIA ASKATU, che probabilmente è lingua locale. Sarà il basco? Boh? Mamma ricorda di averlo visto anche in una foto di Luciano. Camminandoci sotto mi viene da pensare a come mai avranno fatto a scriverla: appesi a testa in giù?
Arriviamo ad un sottopassaggio, fresco di costruzione, che ci immette su una vecchia strada abbandonata. Mamma è affascinata dalle stupende piante di ginestre (gialle, ndr). Ci fermiamo un attimo per un riposino. Sedute a terra, mamma telefona al nonno. Arriviamo al paese di Lorca e alla fontana della piazza incontriamo altri pellegrini. Ci rifocilliamo e dissetiamo e mamma telefona alla Costanza. In quel momento arrivano Tiziano, Adleide, Pietro e Massimo. Giuliano è ancora un po' indietro. Vedo anche la ragazza italiana che ieri fotografava sull'Alto del Perdòn. C'è anche sua madre. Mi avvicino e le chiedo se sua figlia sa già dove pubblicherà quelle foto. Lei resta sul vago. Quando le chiedo se posso darle il mio indirizzo email per eventualmente comunicarmi il nome della rivista, temporeggia e mi dice, dopo, quando arriviamo all'albergue. Capisco che forse mi sto allargando troppo. Intanto la figlia continua a scattare foto, anche a noi pellegrini. Passa un falco bassissimo e siamo tutti con il naso all'insù e a bocca aperta per la meraviglia delle acrobazie. Due signore locali, sedute di fronte a noi sul ciglio della loro casa, ci guardano incuriosite, ignorando il fantastico volo dell'uccello. Decidiamo di ripartire senza aspettare gli altri, dato che abbiamo preso un buon ritmo. Passando davanti alla fontana, vedo Pietro in una posizione strana e gli chiedo se ci ha messo dentro i piedi. Lui mi risponde: "non lo vedi il fumo che esce?"
Fuori dal paese siamo di nuovo lungo i campi di grano. Oggi sto bene. Ho preso una pasticca di antistaminico stamattina ed uso gli occhiali da sole. Niente vento, oggi gli occhi stanno bene. Ad un certo punto c'è una deviazione per la "Cruz de Maurien". Dev'essere famosa. Ma noi proseguiamo sul camino. Scatto una foto ai campi di grano pieni di papaveri e margherite, presa dall'entusiasmo della mamma. Sullo sfondo c'è Villatuerta.
Entrando nel paesino, incrociamo due ragazzi davanti ad una Golf. Li saluto, come d'abitudine, e loro rispondono, commentando qualcosa e sghignazzando. Ci riposiamo 5 minuti nella piazza deserta. Di fronte abbiamo il grande edificio del polideportivo, con un ragazzino che gironzola con una cibi quattro volte più grande di lui. Riprendiamo la strada e noto con stupore che c'è un albergue. Entriamo per farci mettere il sello. Sembra di entrare in un negozio. C'è un tavolo con alcuni depliant e ai lati ceste e scaffali con magliette e gadget del camino. Mamma prende una bottiglietta di aranciata. Chiedo se posso prendere un depliant, dato che quell'albergue non è segnato sulla guida, ma la ragazza, (che non chiamerei ospitalera) molto bruscamente mi dice che non ne ha. Uscendo dal paese ci passa accanto una macchina piena di ragazzi. Nel momento in cui ci sorpassano un ragazzo alla macchina fa un gran urlo che ci fa prendere un colpo. Insomma, Villatuerta: paese antipatico, quasi come il suo nome!
In compenso, appena attraversata la statale, si incontra un sacco di ginestre. Mamma mi chiede di fare una foto, in ricordo della nonna Lia che le amava tanto. Poi insiste e mi fa una foto a me.
Ormai dovremmo essere vicini, ma siamo stanche. Superiamo un ponte di ferro che passa sopra il fiume. Dovrebbe essere il rìo Ega. E' orrido: l'acqua è completamente marrone e c'è una gran puzza. Siamo alla periferia di Estella.
L'unica cosa bella è un cavallo che pascola con il suo puledrino. Vorrei fotografarli, ma sono molto lontani.
Comincia una piccola ma ripida salita. E' faticosa ma la difficoltà sta più che altro nel respirare. C'e un pesantissimo odore di merda. Infatti, arrivate in cima, vediamo un letamaio. Wow! Da lì partono dei tubi che sono disposti lungo tutto il campo che costeggia il sentiero. I tubi vanno ad alimentare i tipici annaffiatoi che servono per irrigare i campi. Purtroppo questa volta non viene spruzzata acqua, ma qualcosa di marrone... Che puzza!
Siamo stanche ma quel tratto di strada lo bruciamo!
Arriviamo sotto un'enorme fabbrica. La città dovrebbe essere vicina, anche se non si vede niente. Però in base alla tabella di marcia, i km ormai son finiti! Pian piano si cominciano a vedere alcune case. Dall'anno scorso mamma si ricorda che l'entrata della città è preannunciata da una chiesa molto brutta, che dovrebbe essere sulla sinistra. Cammina, cammina, finalmente la vediamo. Effettivamente proprio bella non è, ma dev'essere importante dato che è proprio la chiesa che c'è sulla guida! Subito dopo ecco la famosa strada da cui è stata fatta una bellissima cartolina e sulla sinistra l'albergue. Gli ospitaleri sono dei ragazzi volontari molto gentili. C'è molta confusione e tanta gente, ma sono sembrano ben organizzati: in un attimo abbiamo già pagato e un ragazzo ci sta portando ai nostri letti, al secondo piano. Mentre mamma fa le scale, seguendo il ragazzo, lui si volta e le prende lo zaino. Che carino! La stanza è già quasi tutta piena. Il volontario ci indica i posti sopra di due letti a castello affiancati. Butto sopra lo zaino e lascio la mamma a riposare. Vado a fumare una sigaretta in strada, fuori dall'albergue. Arriva una scolaresca e i ragazzini si appostano tutti fuori, mentre gli insegnanti o responsabili si organizzano con i volontari. Sicuramente andranno a dormire da qualche altra parte, dato che i posti sono quasi finiti. Mamma mi aveva detto che comunque Estella è un posto molto grande e ci sono diversi albergue. In quel momento arrivano anche gli altri. Vedo Massimo distrutto. A loro vengono dati i letti nell'edificio accanto all'entrata.
Torno su a fare la doccia, poi scendiamo nel giardinetto a fare il bucato. Ci sono molti fili per stendere ma sono tutti occupati. Dato che il sole picchia ancora, stendo le mie cose su una sedia.
Mamma e gli altri vanno a fare la spesa per stasera. Dato che c'è la disponibilità della cucina, mangeremo tutti insieme. Per fortuna mamma va anche in farmacia a prendermi una crema tipo foille per il mio collo, dato che ce l'ho ustionato. Ho dovuto camminare tutto il giorno con un fazzoletto e un foulard attorno al collo, per proteggermi dal sole.
Verso le 18, un'oretta dopo aver fatto il bucato, il cielo si riempie di nuvoloni e scoppia un temporale. Fuggi fuggi generale, a ritirare i panni stesi, ancora bagnati fradici!
La pioggia è fitta, ma non ho voglia di stare con le mani in mano. Prendo l'ombrello della mamma e vado alla ricerca di un tabaccaio, che trovo quasi dietro l'angolo. Sotto il portico ci sono molte cartoline, ma sono molte brutte. Ne compro solo due uguali ed una terza. Mi faccio dare 10 francobolli normali, uno per la busta di depliant che voglio spedire a casa, e due francobolli per fuori-europa. Le due cartoline uguali hanno sul retro il disegno del camino e voglio spedirle a Giorgio in Thailandia e a Roberta ad Helsinki. Torno all'albergue. Ormai ha smesso di piovere e si sta rasserenando: i fili si sono liberati, così ora posso stendere le nostre cose liberamente.
Intanto mamma, Adleide e Pietro stanno preparando la cena: maccheroni con panna e prosciutto, insalata di pomodori e ciliegie. Il tutto innaffiato da due bottiglie di vino. In cucina c'è confusione, un sacco di gente sta cucinando e preparando la sua cena. Ci sono molti gruppi che stanno organizzando una cena in comune come noi. Si cena alle 19.30 poi mamma insiste per lavare i piatti anche se volevo offrirmi io dato che fino a quel momento non avevo fatto nulla.
Sono le 21. Andiamo a fare un giro per il paese. Tiziano, Adleide e mamma restano seduti fuori dall'albergue a chiacchierare.
Il giro è breve. Giusto una puntatina in piazza e ritorno: la stanchezza comincia a farsi sentire. Scatto due foto e torno in albergue. Giusto in tempo per prepararmi perchè nel giro di poco spengono la luce. Sono le 22 in punto. Precisi!
Mi faccio mettere la crema sul collo al buoi.
Sarà difficile dormire in questo letto così molle!
La notte è andata così così. Il letto era veramente scomodo. La finestra è rimasta aperta tutta la notte ma si stava bene. Solo la mattina faceva un po' freschino. Alle 5.30 suona la sveglia della mamma anche se il gallo in giardino aveva già cominciato a far casino da un po'. Ci prepariamo abbastanza in fretta e andiamo giù con gli zaini. Ritiriamo la roba ancora bagnaticcia (cavolo!) Facciamo colazione. I ragazzi volontari sono molto bravi a gestire la situazione: chi lava i bicchieri, chi li mette puliti nei posti sul tavolo appena liberati. All'entrata Bocelli canta a tutto volume. Compriamo un po' di cartoline esposte perché son quelle belle che anche mamma aveva spedito l'anno scorso. Un volontario si scatena a cantare Bocelli. C'era una bellissima atmosfera. Mi piacerebbe fare una foto ai volontari, ma vince la timidezza.
Alle 7 precise si parte. L'ospitalero dai capelli lunghi mi saluta con un "I like your glasses!",accompagnato da un bellissimo sorriso. L'apprezzamento mi galvanizza non poco e parto felice come una Pasqua. Attraversiamo Estella. Finita la città c'è una rotonda con una statua al centro. Bellissima: due volti stilizzati uno di fronte all'altro. Faccio una foto. La strada imboccata sembra inizialmente uno sterrato, ma in realtà ci porta in un quartiere periferico e purtroppo siamo costantemente seguite dal camion della spazzatura. Vediamo un secondo albergue. Forse una palestra. Il cammino propone una deviazione per il monastero di Irache., Andiamo di là perché lì c'è la famosa fonte del vino, dove il vino è gratuito. Appena arriviamo c'è una coppia di francesi. Lui prova a riempire la borraccia ma non viene giù niente. La moglie ha chiesto agli operai che stanno lavorando dentro l'azienda vinicola (stanno caricando e scaricando) e loro hanno risposto che adesso aprono la fonte. Restiamo lì qualche minuto ma niente. Alla fine decidiamo di fare una foto alla fonte e proseguire. In quel momento però dalla fontana comincia a scendere il vino così riempio metà bottiglietta piena d'acqua. Così possiamo bere senza ubriacarci di prima mattina. Arriviamo al monastero, ma apre alle 9. Tra un'ora quindi. Conosciamo una coppia di Modena e ricordo di aver sognato la notte scorsa la mia vecchia collega di Modena che si sposava. Che sogno strano! Sarà una coincidenza? Proseguiamo e poco dopo il cammino propone due scelte: per arrivare a Los Arcos para Azqueta 17 km oppure para Loquin, 16,3. Andiamo per la classica Azqueta. Il cammino fiancheggia un quartiere di case con un enorme centro sportivo, poi finalmente attraversata una strada, comincia il sentiero sterrato. L'aria è umidissima e da lontano si vede un nuvolone grigio che sovrasta tutta la zona. Più che da pioggia, sembra di caldo!. In compenso la terra battuta così rossa, è affascinante. Alle 9 siamo ad Azqueta. Il paese è piccolo ed è tutto vuoto. Ci sediamo nella piazzetta con la fontana insieme ad altri pellegrini, e mangiamo un pezzetto di cioccolata, poi si riprende. Passiamo accanto ad un porcile con un maiale che grufola nel fango. Ha ragione la Costanza a dire che sembra che abbiano i tacchi. Quando cammina sembra quasi che abbia paura di sporcarsi le zampe, mentre poi tuffa il muso nel fango! Accanto c'è un capannone con mucche e vitellini. Un vitellino mi guarda e vorrei abbracciarlo da quanto è tenero. Ma niente smancerie e niente foto: si deve camminare!
Cominciamo ad inoltrarci in mezzo ai campi. Superiamo una costruzione con una strana struttura: è aperta solo da un lato, dentro ha una serie di scalini che si immergono in un pozzo. Fa un po' impressione perciò tiriamo dritto e arriviamo a Villamajor. Il paese non ha bar, ma c'è un cartello che indica un bar a 1,2 km. Bisogna deviare dal camino, ma decidiamo di andare perché dopo ci sono 12 km fino a Los Arcos e non si incontra niente. C'è una salita di 500mt che porta al paese di Urbiola. Vicino alla chiesa troviamo il bar. Prendiamo caffè e tortilla, io e thè e bocadillo con insalata russa la mamma. La ragazza del bar ha la faccia scocciata, ma è così con tutti i pellegrini. Usciamo e ci cambiamo le scarpe: sandali, dato che non andremo per boschi.
La mamma è raffreddata ed ha paura di prendere freddo. Le do la mia giacca pesante.
Sono le 11 meno 5. Riprendiamo a camminare.. La strada è lunga e deserta. Ai lati solo campi. Scatto una foto alla mamma. Da lontano si vedono due pellegrini che camminano piano dondolandosi entrambi. Sorrido perché mi ricordano le due oche degli Aristogatti. Sembrano proprio loro! Ormai la Navarra lascia il posto alla regione della Rioja, la regione del vino, infatti ai campi di grano si alternano i vigneti.
Ci raggiungono due coppie di spagnoli, fra cui Oscar e Laja. Allungo il passo e mi volto per far loro una foto. Poi loro proseguono a passo spedito. Incontriamo tre italiani seduti, che fanno un gran casino. Due sono di Torino, l'altro di Bergamo. Parliamo con quest'ultimo, che è il più scatenato. Mamma racconta che l'anno scorso ha compiuto gli anni a Santiago e lui dice che li compie il 4 luglio e chiede se ce la farà ad essere a Santiago per quel giorno. Altroché!
Loro son partiti il giorno prima di noi, da S. Jean e si stupiscono che li abbiamo ripresi.
Cerchiamo un punto per fermarci ma per terra è pieno di vermi: aspettiamo punti migliori. Il camino devia a sinistra rispetto alla strada principale. Lo vediamo all'ultimo momento perché sul cippo è seduto un tedesco. Vedo da lontano dei pellegrini e li indico alla mamma facendo la faccia stravolta al pensiero di dover arrivare fin là e faccio ridere il tedesco seduto per terra. Le gambe sono un macigno. Entrambe stiamo facendo fatica ma proseguiamo. Intanto il sole comincia a spuntare e fa veramente caldo. La mamma suda col mio giaccone e dice che chiamerà questa strada "la strada dell'aspirina", per la sudata che sta facendo.
Finalmente un punto comodo per fermarci. Si sono fermati anche Oscar e Laia, che però ripartono poco dopo. Un contadino si siede di fronte a noi a bere un po' d'acqua e a riposare. Sta lavorando nel suo campo. Si parla del vino del luogo. Dice che è buono (ma va?), poi ci dice che a Los Arcos mancano solo 3 kilometri. Passano i tedeschi e glielo dico per rincuorarli ma loro non fanno una piega. Andranno avanti.
Sono le 13. Ripartiamo sotto un caldo infernale e quei 3 kilometri non passano più perché si vedono solo campi e colline di fronte a noi. Finalmente dietro una curva, ecco un gruppo di case. Un italiano di Torino ci ha raggiunto. Alle 13.30 entriamo nel paese ed un cartello indica l'albergue dopo il ponte, in fondo al paese. Sulla strada principale Calle Major parte una musica a tutto volume. Vediamo un altoparlante. Una signora dice che oggi è festa e anche domani e domani l'altro. Che accoglienza! In piazza Giuliano è al telefonino. Tiziano ed Adleide sono sotto il porticato della chiesa. Si stanno riposando perché poi ripartono. Arriviamo all'albergue. Ci danno un'angolino con due letti a castello. Mamma si stende subito perché ha un capogiro. Io stendo la roba bagnata di stamattina, poi faccio altro bucato. C'è un bel sole che picchia. Finalmente poi mi faccio la doccia.
Nota: Lungo la strada principale del paese ci sono dei cancelli di legno che servono per chiudere le strade laterali, come se dovessero passare i tori, tipo Pamplona. Boh? Mi informerò.
19.50
Siamo andate in giro per il paese alle 16.30 ma era ancora tutto chiuso. Finalmente alle 17.30 apre la farmacia, così mamma compra l'aspirina e la vitamina C. Mi peso: sono 45. Però! Prendiamo un gelato. Apre anche il negozietto e compro la maglietta col pellegrino e la mamma due canottiere. Prendo anche la spilla con il simbolo della conchiglia.
Ci accordiamo con Giuliano, che è rimasto all'albergue,, per andare a mangiare il menu del pellegrino da qualche parte. Ci dispiace per Pietro e Massimo che non si vedono più. Vabbè.
Ceniamo bene. All'uscita vediamo uomini che montano i festoni in piazza per la festa di domani. Mamma chiede a dei bambini e la mia supposizione era giusta: domani lasciano liberi i tori come a Pamplona. Vado alla Calle Major per fare una foto ad uno dei cancelli. Ci salutiamo con Giuliano e gli lascio il mio numero di cellulare, nel caso domani ci perdessimo di vista. Preparo i panini per domani: fette di pane con patè di pollo/ tonno e formaggio. Ci prepariamo per la notte. Giuliano viene e a dirci che Pietro e Massimo sono appena arrivati e che sono andati a mangiare qualcosa. Questo albergue è bellissimo. Panchine fuori con ombrelloni. Tavoli di pietra per mangiare e stare fuori. Noi siamo privilegiate, perché siamo in un angolino, ma di fronte a noi c'è un grande edificio che fa da dormitorio. Tanto posto per stendere ed una coppia belga come ospitaleros molto gentili. Bello, proprio bello. E anche il paese è molto carino. Domani tappa di 29 km. Speriamo di non prendere troppo caldo. Son felice che Pietro e Massimo son qui vicino a noi, anche se non li vedremo, almeno per oggi.
Notte un po' turbolenta, nonostante il buon letto. Luce di emergenza troppo forte, signore belga che russa, mamma un po' agitata per gli starnuti e acidità di stomaco, per il vino di ieri sera che torna su. La sveglia suona alle 5, ma ci alziamo con calma. Prendiamo un caffè dalla macchinetta e partiamo alle 6.20 insieme a Giuliano. La giornata è serena. Fa ancora freschino ma il sole sta spuntando. La strada costeggia gli ennesimi campi di grano. Alle 7 meno cinque spunta il sole da dietro la collina e viene a farci compagnia con la sua ombra.
Son partita con la maglietta a righe e i pantaloni lunghi. Oggi probabilmente niente panta corti perché ieri mi son bruciata dietro le ginocchia e non posso rischiare.
Avanziamo con un buon ritmo. Giuliano si stupisce di star meglio coi piedi. Ieri non credeva di poter proseguire.
Alle 7,30 incontriamo un contadino seguito dalla sua mandria di pecore. La mamma esordisce con un "c'è un cane!", dopodichè in un attimo ci dobbiamo fermare per cedere il passo alla valanga di pecore che scendono sulla nostra strada. Scatto una foto nella confusione. Chissà come è venuta.
Alle 7.50 siamo a Sansol, un paesino in cima ad un colle. Appoggiamo un attimo gli zaini su un muretto ma andiamo subito avanti perché ad un kilometro solo c'è Torres del Rio, che è nascosto proprio lì sotto la collina. Ci fermiamo alla chiesa ottagonale e vado con Giuliano a prendere il sello al rifugio. L'ospitalera è italiana, di Verona e ci dice che Tiziano ed Adleide son partiti alle 6 stamattina, dopo aver dormito lì. Ci chiede anche se una maglia che è rimasta stesa è per caso dei nostri amici. Diciamo di non averla mai vista, perciò non dovrebbe essere di Tiziano.
La chiesa ottagonale famosa è chiusa, ma si può chiedere la chiave ad una certa Mercedes Lopez. Mamma va a fare un giro nel paese per cercarla ma a casa sua non risponde nessuno. Sono le 8. Forse è ancora a letto. Ci rimettiamo gli zaini e ripartiamo alle 8.45. Giuliano indugia ancora un po' per la chiesa e lo lasciamo lì.
Mentre camminiamo, dei rapaci ci sorvolano sopra. Sono bellissimi. Il percorso, definito "spaccagambe" dalla guida, non mi sembra tanto diverso dagli altri saliscendi di qualche tappa fa. Boh? Comunque è sempre faticoso.
Alle 10.15 ci fermiamo per un riposino ed anch'io come la mamma cambio le scarpe: sandali. Ci raggiunge Giuliano che ha visto la chiesa e ne è rimasto contento. Ci supera. Ci vedremo a Viana. Dopo 20 minuti di riposo anche noi ripartiamo. Il percorso incontra più volte la statale. Come dice anche la guida, Logroño si vede da lontano e, superato il colle, anche Viana, ma bisogna stare attenti perché il paese sembra vicino, eppure mancano ancora un po' di chilometri.
Mi sento stanca ma non è per il camminare, quanto più per il peso dello zaino. Ho deciso che spedirò la giacca pesante in Italia. E' inutile, troppo pesante, non la uso praticamente mai.
Faccio un calcolo approssimativo dell'orario in cui arriveremo da quando abbiamo intravisto Viana. Sono le 11.20. Dico un'ora circa. Alle 11.50 invece siamo al paese. Là incontriamo subito Giuliano, all'ombra di un alberello, che si sta preparando un panino. Ci fermiamo un attimo e la mamma mangia ma io propongo di andare all'albergue. Lì ci facciamo mettere il sello e poi ci sistemiamo lì dietro in un giardinetto dove ci sono delle panchine all'ombra. Vado a comprare una latta frìa di coca allo SPAR e una cerveza al pub, dove faccio pipì.
Mamma srotola i materassini per terra per riposare, ma arrivano dei francesi che si son fermati all'albergue e si mettono a chiacchierare seduti sulle panchine. Addio riposino.
Giuliano ci raggiunge e si fa mettere anche lui il sello. Prima è passato dalla chiesa e gliel'hanno messo anche lì. Mannaggia, ne ho perso uno! Ormai sto facendo la collezione...
Giuliano si sdraia sulla panchina, io prendo il materassino e mi metto accanto alla mamma. Riposiamo fino alle 3. Se non fosse per i francesi che chiacchierano di continuo, dormiremmo anche. Molti si sono sistemati in albergue e sono venuti a passare il tempo nel giardinetto.
Ad un certo punto vedo Pietro che stende. Lo chiamo. Anche loro si sono fermati in albergue. Arriva anche Massimo e cominciamo a fare un po' di chiacchiere. Domani ci raggiungeranno a Najera, magari prendendo un bus per un pezzo.
Alle 16 partiamo, preceduti da Raffaele, il chirurgo di Torino, già conosciuto, col quale facciamo un po' di chiacchiere. Il sole è caldo e ci cospargiamo di crema. Usciti dalla città vediamo un cartello che indica un sentiero locale verso due localiltà, ma niente freccia gialla. D'altronde non ci sono altri segnali. Andiamo da quella parte. Dopo 1,2 km arriviamo alla Ermita Virgen de Cueva. C'è una fontanella e qualche tavolino sotto gli alberi. Riposino, aspettando Giuliano che cammina piano. Si riparte. Da Viana sono passati 8,5 km. Indicazione per Las Canas:1,7 km. Alle 17 arriviamo dentro una pineta. Altro riposino aspettando Giuliano. Il sole picchia, ma vogliamo proseguire. Ci supera Raffaele che a Viana si era fermato a mangiare.
Riprendiamo alle 17.15. Si fiancheggia la statale sempre sotto una piccola pineta, ma il caldo è torrido. Io ho i pantaloni lunghi per le ustioni dietro al ginocchio. I piedi mi fanno un gran male perché sto usando i sandali da troppo tempo.
Alla nostra sinistra superiamo l'area commerciale che si vedeva da Viana. Logroño è dietro la collina, forse. Non passa più!
Incontriamo un cartello con le informazioni del camino.
In un sottopassaggio c'è un bel messaggio:
TRES COSAS HAY EN LA VIDA GUE PRECISA EL PEREGRINO. BUENAS PIERNAS, GRAN COMIDA Y SI HABLAMOS DE BEBIDA POCA AGUA Y MUCHO VINO.
Raffaele ci supera. Andiamo ognuno col suo passo. Finalmente entriamo in città. Prima di arrivare al ponte, ci fermiamo su una panchina. Mamma si massaggia i piedi ma io insisto per andare fino all'albergue: se mi fermo lì, non mi rialzo più, lo so. Riprendiamo gli zaini e dietro vediamo che Giuliano ci sta raggiungendo. Arriviamo all'albergue, precedute da Raffaele. All'entrata vedo Oscar che, passando davanti all'ospitalera, le dice di riservare una suite per me. Lo ringrazio con un sorriso, mentre lei risponde fra sé e sé: "si, le dò la mia!".
Ci mettono il sello, pago e andiamo al secondo piano ai nostri letti. Mamma si fionda in cucina per mangiare qualcosa che le allevi il mal di stomaco. Io vado a far la doccia. Poi vado ad un alimentari lì di fronte e prendo due birre ed un Nestea per la mamma. Tornando, apro la lattina di birra e sulle scale mi vede Laia che sta parlando al telefono e ride vedendo che già bevo...
Vado fuori a fumare, mentre mamma mette su la lavatrice.
Mentre aspettiamo che la lavatrice finisca di lavare i nostri vestiti, ci mettiamo i piedi a bagno nella fontanella all'entrata e ci mettiamo a chiacchierare con un gruppo di ragazzi spagnoli. Ci sono Oscar (Arròs) e Laja, conosciuti ad Uterga, e altri ragazzi che ci dicono i loro nomi, ma ci rimane impresso solo quello di Berto, perché l'anno scorso ha fatto la raccolta delle mele in Trentino e parla bene l'italiano.
Chiacchieriamo poco perché subito comincia a piovere e siam costretti a ripararci dentro.
Berto mi dice che vanno a bere una birra fuori e mi chiede di andare con loro. Nono posso perché devo ritirare i panni dalla lavatrice, ma mi faccio dire dove vanno (sulla piantina), così posso eventualmente raggiungerli. L'ospitalera mi chiede i 2 euro per l'asciugatrice e mi dice che ci pensa lei, così io posso uscire coi ragazzi. Vado in cucina ad avvcisare la mamma e li raggiungo nella zona che mi hanno indicato. Li trovo nel primo bar della strada. Mi accolgono tutti con un gran sorriso e mi danno in mano un bicchiere di vino. Berto mi allunga una forchetta e mi dice di assaggiare. Il gusto è strano e la consistenza sembra quella di un cartoncino. Mi chiede com'è ed io per gentilezza gli rispondo "così così", sperando capisca la verità dalla mia faccia. Chiedo cos'è e mi dice che è orecchio di porco. Qualcuno lo corregge: de cordero. Orecchia di pecora? Che schifo!
Raccogliamo 5 euro a testa per il giro dei bar e li diamo tutti a Fernando. Penserà lui a pagare per tutti. Qui si usa girare tutti i bar della strada, prendendo degli spuntini e bevendo vino o birra.
2° bar: champignon fritti su uno stecchino. Ottimi ma difficilissimi da mangiare, dato che l'altra mano è occupata dal bicchiere di vino. L'alcool aiuta la parlantina, ma io ascolto molto e pronuncio solo qualche frase, per far capire che sto seguendo il discorso. Terzo giro: orecchia di pecora e bicchiere di vino. Faccio la faccia schifata ma la accetto, anche perché sono a stomaco vuoto. Mi accorgo che siamo solo io e Fernando a mangiare e le ragazze mi dicono che se voglio posso buttarla. Mi faccio coraggio e la mangio lo stesso, cercando di non pensarci. Ci facciamo scattare una foto con la mia macchina. Quarto giro: panino con wurstel di pollo e vino. Si comincia a raccontare barzellette e comincio a non capire più niente. Provo a pensare ad una barzelletta facilmente traducibile, ma rinuncio dato che il vino sta cominciando a dare i suoi effetti. Si torna all'albergue traballanti, mentre il centro si sta riempiendo di gente per festeggiare tutta la notte la festa della Pentecoste.
Giornata difficilissima oggi.
Partiamo alle 6, e per almeno un'ora si attraversa la città. La gente in centro è ancora in giro a far festa. Oggi è la Pentecoste. La giornata è coperta, ma fa caldo e, arrivate in un grosso parco, mi metto la maglia a maniche corte. Sono a pezzi. Ieri non mi sono riposata e non ho recuperato il male ai piedi. In più si aggiunge tutto il vino che ho bevuto coi ragazzi spagnoli e il non aver dormito quasi per niente per un ciclista accanto a noi che russava come un trattore.
Facciamo spesso dei riposini e procediamo. Arriviamo al lago e lo affianchiamo per tutto un lato. C'è un bel parco naturale e vedo anche il culino di un coniglio che scappa via al nostro arrivo.
La strada fa una piccola salita e voltandosi indietro c'è un bel panorama. Scatto una foto. Superato il colle si incontra una fabbrica di legno che viene annunciata da una lunga serie di croci fatte con dei pezzetti di legno, incastrati nella rete metallica. Faccio una foto alla mamma mentre mette la sua croce, poi ne metto una anch'io. Scorgiamo da lontano Navarrete. Sulla nostra destra un enorme manifesto con il disegno di un toro: dev'essere una marca di liquori, perché lo stesso disegno l'ho visto spesso sulle bottiglie nei bar. Andiamo piano e molti pellegrini ci sorpassano ma alla fine, alle 9.20 siamo anche noi sedute al tavolo del bar. Prendo una tortilla e decido, dato il forte dolore alle gambe, di prendere un Aulin, non senza una discussione con la mamma che non condivide l'utilizzo del medicinale. Dopo circa un'ora ripartiamo e davanti alla chiesa saluto uno spagnolo del gruppo di ierisera: mi chiede come va e gli dico che ho problemi ai piedi. Lui mi dice che ha vomitato tutta notte ed ha avuto anche caghetta. Poi poco dopo ci supera e sparisce, camminando a razzo. Bah! Avrò capito male io?
Noi oggi andiamo proprio piano a causa dei miei dolori. Uscendo da Navarrete c'è un cartellone pubblicitario sul camino del 2004. C'è l'indirizzo del sito www.turgalicia.es.
La guida diceva che avremmo dovuto fare 6 km sulla strada, invece hanno fatto una strada semiasfaltata proprio davanti alla statale. Ogni tanto rientra in mezzo ai campi. Facciamo un riposino sedute per terra e si sente un gran silenzio: solo i coccodè da lontano, ogni tanto. Che pace! Mamma ne approfitta per chiamare la zia. Riprendiamo a camminare e incrociamo due ciclisti in pausa: chiediamo loro informazioni su Giuliano. L'hanno visto al bar di Navarrete. Il percorso continua indicando la direzione di Ventosa, che è probabilmente il paesino che si vede in lontananza. E infatti ad un certo puntoi c'è una deviazione: a sinistra, ad un chilometro si va a Ventosa dove c'è un albergue. Dritto si prosegue per Najera. Andiamo avanti. Ad un certo punto sento una fitta dolorosissima alla caviglia sinistra. Mi fermo un attimo per capire di cosa si tratta. Proseguo e la fitta va e viene. Mi fascio la caviglia con un fazzoletto e proseguiamo anche se la mamma preoccupata vuole chiedere un passaggio. Le dico di no. Proseguiamo lentamente, io aiutandomi con entrambi i bastoni. Si arriva in cima all'alto che poi non è così pesante. Ci sono tanti mucchietti di sassi fatti dai pellegrini, sono bellissimi. Mamma mi fa una foto. Subito dopo incrociamo i tre italiani di ieri; il bergamasco mi dice che dopo se voglio mi fa un massaggio alle gambe. Il male al piede potrebbe essere legato ai polpacci. Facciamo un riposino e ripartiamo. Arriviamo ad una fabbrica enorme, verde e gialla, con enormi mucchi di sabbia. La strada si divide. Destra o sinistra? La freccia indica la destra. La mamma, però, è titubante, perché c'è un paese sulla sinistra che sembra proprio Najera e questa strada non se la ricorda affatto. Alla fine seguiamo la freccia e andiamo a destra. Da lontano si vede un paese. Passiamo accanto ad una collinetta dove un gruppo di ragazzi sta facendo Rally. L'autista in macchina va come un matto e curvando sgomma sul ciglio della collinetta, proprio sopra le nostre teste. Momenti di apprensione. Arriviamo su un rettilineo di 2 km, in fondo al quale c'è il paese. La mamma non ricorda niente, ma andiamo avanti. Arriviamo al paese di Huércanos. Chiediamo ai paesani di passaggio indicazioni per Najera. Ci dicono che è sulla sinistra, a due chilometri. Ecco, abbiamo sbagliato strada!.
Ci sediamo un attimo sul marciapiede, stanche e demoralizzate e ci superano i modenesi. Anche loro hanno sbagliato strada ma fanno finta di niente. Loro sono esperti del camino!
Proseguiamo sulla statale fino a Najera. Sono veramente più di 2 km e la mamma è arrabbiata per aver sbagliato strada, soprattutto oggi che io non mi sento bene. Cerco di sdrammatizzare, dicendo che anche altri pellegrini hanno sbagliato, dato che la freccia indicava di qua. Ormai siamo arrivati. Per arrivare all'albergue, però, bisogna attraversare tutto il paese. Quando ancora non siamo arrivate al ponte, vediamo un bar e decidiamo di fermarci perché è molto tardi e siamo affamate. Ci sediamo dentro. Gli sguardi degli avventori sono tutti per noi. Siamo distrutte e di pessimo umore. La mamma poi ha un gran mal di stomaco e il suo problema è anche decidere cosa mangiare. Alla tv ci sono le previsioni del tempo. Domani sole, martedì coperto, mercoledì sole. I vecchietti giocano a carte, fumando il sigaro.
Riprendiamo gli zaini ed incrociamo altri pellegrini. Arriviamo all'albergue veramente distrutte. L'ospitalera è molto gentile. Sello e numero dei letti. Lasciamo una donazione. Vediamo gli altri pellegrini distrutti. Molti di loro hanno sbagliato come noi.
Ci mettiamo a letto e dormiamo fino alle 19 quando sentiamo le voci di Pietro e Massimo. Anche Giuliano è arrivato ma in bus da Navarrete. Pietro e Massimo vengono da Viana!
Mi riprendo con un bel massaggio di mamma alle gambe e ai piedi.
Alle 19.30 siamo fuori. Andiamo in un negozietto lì di fronte e prendo due cartoline ed una maglietta per Daniela.
Alle 8 andiamo a cena in un ristorante: l'Amistad. La cameriera è molto gentile. Mamma chiede uno yogurt subito, dicendo che ha mal di stomaco. La cameriera dice che hanno qualcosa di simile e le porta della ricotta. Hanno solo quella. Io prendo lenticchie e pollo ma mangio pochissimo. Il piatto è enorme. Ho poca fame, sono troppo stanca. Lascio gli altri per andare a dormire.
Mamma intanto ha preso una manzanilla per lo stomaco.
Vedo a letto, sono le 9, già molti dormono e alcuni russano. Tappi alle orecchie e mi addormento di sasso!
Siamo partite per ultime oggi, alle 7.40, quando nell'albergue non c'era più nessuno. In compenso abbiamo fatto una bella dormita coi tappi nelle orecchie per evitare i russatori.
I 6 km fino ad Azofra vanno abbastanza bene. Un po' più di un'ora. In piazza incontriamo Pietro, Massimo e Giuliano che credevano che fossimo partite prima di loro. Invece di andare al bar, mamma si fionda in un negozietto a torna con cose comprate secondo il suo gusto. Allora vado anch'io e compro una cioccolata e due yogurt: sono schifosi, perciò uno lo butto e l'altro lo lascio alla mamma.
Si riparte. Io ho un po' le palle girate ed accelero il passo perché dietro chiacchierano e il mio umore è nero. Il ginocchio destro mi fa male. Rallento, mi faccio superare e mi affianco a Giuliano, che va piano per le vesciche. Mamma conosce una signora svizzera che cammina da tre mesi e che in questi giorni ha la compagnia di una amica, una ragazza che parla bene l'italiano. Mamma non perde occasione di fare un bel pezzo chiacchierando. Facciamo un breve riposino. Giuliano è avanti. Si continua, io mi fascio il ginocchio anche se serve a poco. Le fitte vanno e vengono. Potrei anche ignorare il dolore ma cerco di non forzare per non peggiorare la situazione. Il percorso si vede da lontano, è una strada sterrata lungo i campi. La strada sale un po' e si vedono tutti i pellegrini in fila, bello per una foto ma oggi non ho l'umore...
Ad un certo punto della salita passa un camioncino e si ferma accanto a noi. E' della protezione civile di Santo Domingo della Calzada. L'autista mi indica la portiera del passeggero per farmela aprire. Per terra, davanti al sedile, ci sono due secchi pieni di bottigliette di acqua fresca. Ci chiede se ne vogliamo. Ringraziamo ma diciamo di no.
La stessa offerta la fa ad ogni pellegrino che è sulla strada.
Alle 12 siamo a Cirueña. Ci fermiamo con Giuliano ad una fonte e si mangia. Faccio una foto alla chiesina e poi alla targa nella casa di fronte.
Alle 13.30 ripartiamo. Il sole picchia forte. Ci cospargiamo di tanta crema. Metto i panta corti. Giuliano resta e partirà dopo. La strada è lunga, in mezzo ai campi di grano, bellissima. Mamma mi fa una foto ed io ne faccio una a lei di spalle. L'atmosfera è stupenda. Ignoriamo il caldo. Il passo è buono, quasi da 5 km l'ora. Ignoro anche il dolore al ginocchio. Siamo circondate da campi di grano con colori bellissimi, un verde uno diverso dall'altro. Alcuni spettinati dal vento sembrano una piscina in cui tuffarsi.
Lungo il tragitto vediamo una scritta sulla terra: "Nel mezzo del cammin di nostra vita...", sicuramente scritta da Pietro. Noi scriviamo "Forza Giuliano!"
Arriviamo alla periferia di Santo Domingo de la Calzada. C'è una fabbrica e lungo la nostra strada c'è un mucchio di patate. Ne prendiamo un po' per la cena di stasera. In paese entriamo nel primo albergue. La suora dice che è completo. Ci mette il sello. In piazza c'è il secondo ostello. Apre alle 16. Pietro e Massimo dormono sul prato di fronte. Lasciamo lì gli zaini ed andiamo al bar a mangiare tortillas e cerveza. Prendo anche un gelato. C'è un bel poster della Rioja con tutte le etichette dei vini della zona. Sarebbe bello trovarlo per Alida, ma il barista dice che non conosce negozi che lo vendono.
Torniamo davanti all'albergue. Entro dalla porta laterale per andare in bagno. C'è una specie di palestra dove molti pellegrini si sono già sistemati. Vedo anche la gabbia dove stanno le coppie di galli che si danno il turno per stare in chiesa.
Vado con Pietro e Massimo a visitare la chiesa ed il museo, dove paghiamo 1,50euro e ci mettono il sello anche del museo. Nella cattedrale fa un freddo cane e sono ancora sudata fradicia. Spero di non ammalarmi. Quando usciamo decidiamo di ritornare nell'albergue per farci mettere il sello e poi ripartire. Dentro però l'ospitalera si dilunga con un pellegrino, perciò decidiamo di lasciar perdere. In fondo di selli ne abbiamo già abbastanza. Giuliano decide di fermarsi qui per un giorno e riposarsi, sperando di recuperare i problemi di vesciche. Ci facciamo scattare una foto tutti insieme di fronte all'albergue. Sono le 17.30. Riapartiamo insieme a Pietro e Massimo. Dopo tre chilometri di sterrato accanto alla statale, troviamo un cartello: a sinistra continua il camino ed indica Granon a 3,5 km. A destra Granon ad 1,9 km, lungo la statale.
Aspetto la decisione degli altri, ma mi sembra scontata: tutti per la statale. E' durissima. L'asfalto spacca le gambe. I piedi bruciano nonostante siano nudi con i sandali. Ad ogni passaggio di camion ci dobbiamo fermare, per non farci portare via. Seguiamo Pietro che va ad un ritmo velocissimo. Ad un certo punto sulla sinistra parte una strada che va in paese. Io e la mamma ci dobbiamo assolutamente fermare. Siamo distrutte. Non siamo abituate a quel ritmo così veloce. Li lasciamo andare avanti. Arriviamo alla chiesa. Lì dietro c'è l'albergue, ma prima entriamo nel bar per bere qualcosa.
Dietro la chiesa c'è una porticina: si sale una scala stretta e buia ed incontriamo Marina, l'ospitalera che sta spiegando a Pietro e Massimo che sono completi e che quindi ci ospiteranno per la notte nel coro della chiesa. Purtroppo però dobbiamo aspettare dopo le 19, perché c'è la messa. Intanto, dice, possiamo fare la doccia. Poi ci dice "questo è il nostro sello!" e da un bacio sulla guancia ad ognuno di noi. Saliamo ancora la scala ed arriviamo nella sala dove conosciamo l'ospitalero che in cucina sta preparando la cena. Ci saluta dandoci la mano e dicendo che siamo a casa. Sarà la stanchezza, ma ci viene quasi da commuoverci per questa accoglienza così calorosa e sincera.
Mentre facciamo la doccia a turno, Marina ci dice che si sono liberati due posti nella stanza grande, perciò propone a me e alla mamma di sistemarci lì a dornire, dato che nel coro della chiesa è molto umido. Mamma dice che preferisce il coro, dato che sicuramente ci saranno meno russatori. Marina sorride e dice che anche lei verrà a dormire con noi, per lo stesso motivo.
Vado sulla torre del campanile a verificare se c'è posto per stendere almeno le magliette umide di sudore, dato che non abbiamo voglia di fare il bucato. Niente da fare: è tutto pieno. L'angolino è molto simpatico, anche se è pieno di piccioni e mi ritengo quasi fortunata a non poter stendere niente...
Vado in un alimentari a comprare qualcosa da bere, perché siamo disidratate.
La cena è quasi pronta. Aiutiamo ad apparecchiare. Facciamo due lunghe tavolate.
Nel frattempo leggo su una scatola di legno il seguente messaggio: DEJA LO QUE PEDES O TOMA LO QUE NECESITES": ecco l'albergue dove può lasciare un donativo, ma puoi anche prendere quello di cui hai bisogno.
Ci sediamo tutti a tavola. L'ospitalero dice in spagnolo che spera che la cena basti per tutti perché aveva preparato per 32 persone, mentre siamo in 42. Poi passa la ciotola di insalata di mano in mano. Ognuno cerca di prenderne il giusto per lasciarne a tutti. Poi alcuni pellegrini si passano di mano in mano i piatti per servirci un piatto caldo di minestrone di fagioli e patate. Infine la frutta. Infine l'ospitalero chiede ad un ragazzo di tradurre in inglese e tedesco le frasi che dirà in spagnolo. Dice che dopo andremo nel coro della chiesa per una preghiera e che siamo tutti invitati, ma è facoltativo.
Il ragazzo traduce bene, anche se con molto imbarazzo. L'ospitalero ripete il discorso in francese, dato che nessuno sa o vuole tradurre. Ci alziamo e tutti diamo una mano per sparecchiare. Vado fuori in giardino aspettando gli altri e mi fumo una sigaretta. Ad un certo punto non vedo arrivare nessuno, quindi vado a cercare la porta per accedere in chiesa. Arrivo che sono già tutti seduti e stanno già parlando. Mi siedo per terra in un angolino. Stanno leggendo delle preghiere in tutte le lingue. Ognuno ha il suo foglietto con la propria lingua. Poi l'ospitalero ci dice che lì si usa scrivere il nome dei pellegrini che passano di lì su un libro. Questi nomi verranno letti il giorno dopo, ai pellegrini successivi , in modo che resti vivo il ricordo dei pellegrini che sono in viaggio verso Santiago.
A turno cominciamo a dettargli il nostro nome.
Usciamo sul prato e chiacchieriamo con la coppia di francesi che abbiamo conosciuto a cena. Hanno girato tutta l'Italia a piedi, dal lago di Garda, fino a Brindisi, passando per Bologna, Firenze, Siena, Napoli.
In Toscana hanno comprato Tufi, il loro cane che li segue dappertutto. Praticamente sono senza casa. Girano il mondo a piedi. Ogni tanto si fermano in un posto per lavorare. Ora sono in giro da due mesi. Sono partiti dalle Alpi. Ora vanno dai Pirenei a Santiago e poi Portogallo.
La notte dormono quasi sempre fuori, per tenere compagnia al cane. Non lo lasciano mai solo. Non fanno mai più di 20 km al giorno, altrimenti il cane si stanca.
Ci prepariamo per la notte. Siamo nel coro della chiesa. E' molto strano ma affascinante. E' umido, ma ci copriremo.
Dormito bene anche se stanotte Pietro russava come un trattore e ad un certo punto sono andata a svegliarlo. Devo averlo spaventato, gli ho chiesto scusa ma mi ha risposto che avevo fatto bene. Sono le 6.50. L'ospitalera si è già alzata. Mamma si sta preparando, gli altri sono ancora nel sonno del mattino. Pietro ronfa ancora. A me è venuto il raffreddore...
Partenza dopo le 8. Siamo quasi gli ultimi. Facciamo colazione e aiutiamo a lavare le tazze, poi saluti e via. Partiamo con Pietro e Massimo e i primi 5 km vanno via veloci perché si chiacchiera sul senso della vita, ecc.
A Redecilla del Camino c'è un gabbiotto del comune. Mettono il sello. Mamma compra una canotta bellina. Entriamo in chiesa. Anche lì c'è una ragazza, dipendente del comune. Mamma apprezza molto la chiesa. Il discorso sfocia su Dante. Io e Massimo ci guardiamo e alziamo gli occhi al cielo. Al paese successivo, Castildegrado, mamma si vuole fermare al bar per mangiare. Pietro e Massimo vanno avanti. Il bar è chiuso, perciò ripartiamo anche noi. Li vediamo da lontano. La strada è pari, tranquilla, il passo buono. E' nuvoloso ma fa caldo. Stendo un po' di cose sullo zaino.
Decidiamo di fermarci a Villamajor del Rio, ma anche lì non c'è nulla. Ci cambiamo le scarpe e ci mettiamo i sandali e i pantaloni corti. Vado alla fontana a riempire le bottigliette d'acqua. Chiacchiero con una coppia conosciuta all'albergue di Granon (lui traduceva i discorsi dell'ospitalero). Riempio l'acqua della fontana ma due italiani di passaggio mi fanno notare che non è potabile. C'è pure scritto, ma io non avevo letto il No (potable). Per fortuna!
Pian piano arriviamo a Belorado, che ci accoglie con una periferia orrenda. E' ancora coperto ma fa caldo. Superiamo il primo albergue municipale, che apre alle 13 ed ha già un po' di pellegrini in attesa. Prima di vedere il secondo albergue, privato, vediamo una piazza e ci sediamo al bar. Saluto uno spagnolo del vecchio gruppo. Mangiamo un panino alla frittata. Pesantino. Passa il postino. Chiediamo se l'ufficio postale è aperto e se si può spedire un pacco. Dice di sì e chiude alle 2. E' l'una. Vado. Prendo la giacca, la maglia di Dani, la canotta di ma e gli occhiali da vista. 1,432 kg. Spesi 18 euro. Spedite anche le cartoline e presi 10 francobolli. Mando sms a Dani per avvisarla. Ora mamma va a vedere all'albergue se ci sono Pietro e Massimo. Poi proseguiamo per Tosantos. Saranno circa 4,5 km.
16.30
Arrivate a Tosantos alle 3. Nessuna notizia di Pietro e Massimo. Saranno andati oltre. Facciamo la doccia e poi io il bucato. C'è un bel sole e un bel vento. Ne approfitto per lavare un po' di cose. E' arrivato anche Fernando.
Questo albergue è come quello di Granon. La cena è per le 19.30 e la colazione alle 6.30. Si lascia un donativo.
Scriviamo le cartoline, 10 in tutto. Ritiriamo le cose stese. Arriva il ragazzo di Verona, Marco, che ha un ginocchio gonfio che gli fa male da tre giorni. Però nel frattempo ha ridotto lo zaino da 18 kg iniziali.
Ceniamo con di fronte Fernando e Marco. La canadese rasta non parla con nessuno. Fa il saluto al sole nel pomeriggio ma sta per i cavoli suoi.
Cena: insalata e per secondo spaghetti al forno. Macedonia per frutta. Dopo cena l'ospitalero propone di andare nella cappella. Leggiamo il foglietto uguale a Granon in tutte le lingue. Infine dice che a differenza di Granon dove si usa scrivere i nomi dei pellegrini e leggerli il giorno dopo ai pellegrini successivi, qui si leggono i desideri che i pellegrini hanno scritto su un foglietto la sera prima. Quelli di oggi sono tutti e tre scritti in spagnolo. Ce li leggono Fernando e le due ragazze in camera con noi. Poi veniamo invitati a scrivere su un foglietto il nostro desiderio, che verrà letto domani. Lo facciamo solo io e la mamma.
Dopodiché tutti a nanna.
La sveglia suona puntuale alle 5.50 ma io son già sveglia da un po', a rigirarmi per le gambe indolenzite e il sonno disturbato dagli strani sogni. Ho sognato la tipa rasta, la mia collega, la trama di un film con un uomo mascherato cattivo (io sapevo dov'era nascosto, ma non lo potevo dire per non rovinare il film) e tante altre cose confuse. Più che altro sono preoccupata per le gambe: spero che reggano. Ci prepariamo e alle 6.20 facciamo colazione con pane, burro e marmellata e caffè. Ringraziamo gli ospitaleri e partiamo che sono le 6.45. C'è una nebbia fitta ed una umidità incredibile. Devo tirare fuori i pantaloni lunghi e il maglione di pile. All'uscita del paese incrociamo un pellegrino che viene da Belorado. E' uno spagnolo sui 50 anni, sembra molto esperto. Dice di aver fatto il cammino già altre quattro volte. In realtà 5 ma una volta non l'ha completato perché si è fatto male. Oggi va a Burgos. Saranno più di 50 km. La lui dice che ha poco tempo e che comunque con quella nebbia si cammina bene. Ha un buon passo e senza accorgercene ci adattiamo alla sua andatura e si pedala. A Villambistia, pochi km dopo, lui accelera e noi riprendiamo il nostro ritmo. Altri pochi km e arriviamo a Espinosa del camino. Un cane bracco ci viene incontro saltellando festoso. Lo saluto, lui si gira e ci precede guardando i cartelli del camino e accompagnandoci fino alla fine del paese, girandosi ogni tanto per vedere se ci siamo. Ci superano un po' di pellegrini, così che il bracco precede loro.
All'uscita del paese saluto il pellegrino ciclista francese visto a Granon (quello a cui un cane aveva pisciato sulla borsa). E' ancora nel suo sacco a pelo sotto il cielo che si fuma la sua prima sigaretta.
Ad un certo punto spunta da lontano un paesino. E' bellissimo perché solo lui è illuminato dai raggi del sole. Tutto i resto è coperto da una immensa coltre di nebbia. Scatto una foto per poi scoprire che ci dirigiamo proprio là. Sono le 9. Abbiamo già fatto 8 km circa. Decidiamo di non andare al bar ma mamma va solo a prendere un bocadillo ancora caldo nel panificio accanto al bar.
Vediamo l'albergue, una vecchia scuola, e la mamma si stupisce perché l'anno scorso avevano dormito in questo paese, ma sotto una tenda. Vado dentro a vedere se c'è qualcuno per il sello, ma saluto solo la coppia tedesca di Granon.
Mamma poi rivede il posto dove avevano montato le tende.
Si comincia a salire. C'è l'Alto della Pedraia. La salita è abbastanza ripida ma si sale bene, la strada è buona e in più si vede che in alto si sta schiarendo. Quasi in cima mi sfilo i pantaloni lunghi (sotto avevo quello corti) e tolgo il pile. Comincia a far caldo anche se l'umidità è davvero fastidiosa. Sembra ormai fatta. Ora c'è un bel tratto pianeggiante. Mamma si ricorda che era passata sotto una bella pineta ma ora la strada sterrata è enorme. Dovrebbero aver abbattuto un po' di alberi per far passare anche le auto, lassù. Ad un certo punto c'è una lunga e ripida discesa e una lunga e ripida salita. Le facciamo entrambe pianino pianino. Faccio una foto alla mamma all'inizio della salita. Si ritorna su, quindi e a questo punto dovremmo essere in cima. Invece dopo un po' di piano ecco la terza salita, questa volta però più dolce. Il sole comincia a picchiare sul serio. Andiamo piano e ogni tanto, quando c'è ombra facciamo un riposino. A me cominciano starnuti di allergia. Mi tocca prendere una pasticca anche a 1100 metri di altezza!
Si prosegue con pazienza. In fondo 12 km son lunghi. A me questi pezzi così lunghi mi distruggono psicologicamente. E' dura non vedere mai la fine, l'obiettivo, il paese. Ma eccolo finalmente. Sono le 12 e siamo a San Juan De Ortega. Ci sono un sacco di pellegrini fuori che aspettano l'apertura dell'albergue. Andiamo al bar a bere e mangiare un panino. Subito dopo arrivano Curro e Marco. Curro resta a dormire lì, perché domani va ad Atapuerca a visitare il sito archeologico e poi a Burgos dove termina il suo cammino perché torna a lavorare. Mi faccio lasciare il suo indirizzo. Vado a vedere la chiesa e ne approfitto per una foto di 5 ragazzi spagnoli, fra cui Curro e Fernando, davanti all'albergue. Mamma si fa mettere il sello e si riparte per Atapuerca.
Sono le 13.30. Il tratto di strada è bello, ma il sole picchia. Ci siamo incremate ben bene. La mamma prova ad usare l'ombrello per ripararsi dal sole. Ad un certo punto troviamo un bel prato con un albero immenso. Ci mettiamo lì sotto per un riposino e mamma mi fa una foto. Dopo un po' arriva la coppia tedesca. Volevano fare una deviazione per un altro paesino e domani fare un pezzo del camino per Burgos che sembra più bello, ma ci hanno rinunciato perché si aggiungono 6 km. Vedendoci rilassate decidono anche loro di fare una pausa e spariscono dietro una collinetta.
Dopo esserci riprese ripartiamo e dopo 2 km siamo ad Agès dove c'è una freccia con scritto "Santiago 518 km". Niente foto. Ci sono un po' di galli per la strada.
Mancano 2 km e li facciamo lungo la statale fino ad Atapuerca, salutando le macchine che ci strombazzano.
Lì l'albergue ha un bel cartello con scritto COMPLETO.
Chiediamo nella pensione accanto. Una camera doppia 40 euro. Va bene! Doccia e tuffo sul letto morbido.
Culino pulito a contatto con le lenzuola fresche: e chi se lo ricordava più???
Lavo un po' di roba mentre la mamma dorme. Scendo per stendere: è tutto chiuso. La padrona scocciata mi insegna a spingere il pulsante per aprire la porta e al ritorno, quando suono, mi fa notare che nella chiave della stanza c'è scritto il codice per poter aprire la porta di ingresso. Ahhh! A saperlo! Testina!
Alle 17 passate., andiamo a fare un giro al bar.
Prendo una cerveza e mamma una tortilla. Guardiamo un po' le tappe successive, anche senza le mie guide lasciate in camera ma sono distratta dalla tv e dal bimbo che vagola lì intorno. Troppo bellino. Leggiamo sul giornale le previsioni del tempo. Nuvoloso ma caldo. Vabbè. Mamma chiede se lì fanno il menù del dia. Sì, alle 19.30. Usciamo, facciamo un giretto. Mamma trova il ristorante dove aveva mangiato l'anno scorso. Anche lì il menù del dia è alle 19.30. Torniamo in camera. Usciamo di nuovo alle 19.30 per la cena. Andiamo nel ristorante della mamma. Prosciutto e melone e formaggio con il miele. Infine la mamma prende uno yogurt ed io una specie di porto.
Uscite dal ristorante incontriamo Suzanne, la ragazza della coppia tedesca di oggi pomeriggio. Ci dice il suo nome quando la mamma le dice di salutare ... "come si chiama?"... Peter!
Loro dormono fuori, dietro la chiesa. Forse ci vedremo domani a Tardajos, dopo Burgos.
Nota: ho scoperto una vescica sul piede sinistro, sul lato del tallone. Buco l'ampolla e spero che domattina sia a posto.
Sveglia alle 5. Notte bella rilassante. E' difficile lasciare le lenzuola. Si parte alle 5.50. E' ancora buio ma siamo dotate di pila. Ci sono degli angolini di cielo sereno. Tutto il resto è molto coperto. Uscite dal paese, comincia a fare un po' di luce e vediamo tutt'intorno nuvoloni con fasci di pioggia sia dietro di noi che davanti e di lato. Mi metto la mantella, più che altro per lo zaino e mamma tira fuori l'ombrello. Saliamo sul colle e davanti a noi tuona e lampeggia. Per fortuna su di noi cade solo qualche goccia. In cima vediamo la vallata con in fondo le luci di Burgos: bellissimo. Scendiamo verso il primo paesino e lo superiamo. Davanti a noi c'è una coppia anziana di pellegrini brasiliani che salutiamo, superandoli. Alle 7 ci fermiamo al bar di Cardeñuela Riopico: caffè, briosche e un panino a testa. Ripartiamo poco dopo lasciando il posto ad altri pellegrini che stanno arrivando. Superiamo un altro paesino, Cinquanilla Riopico e dopo poco già si comincia a riconoscere la periferia della città. Superiamo anche Villafrìa e da lì comincia un lungo stradone, con ai lati grandi magazzini e grandi fabbriche. Per fortuna il marciapiede è bello grande. I camion sfrecciano in entrambe le direzioni. Alcuni autisti strombazzano salutandoci. Ci voltiamo indietro e vediamo le melesecche che incalzano. Il cielo è nuvolo ma non piove. Metto via la mantella per respirare meglio. Ci fermiamo lungo la strada e ci mettiamo i sandali perché i piedi cominciano a cuocere sull'asfalto. Mi guardo intorno per vedere se troviamo un grande supermercato, dato che abbiamo fatto una lista di cose da comprare. Vediamo solo grandi magazzini di auto e mobili.
Alle 9.40 siamo davanti al cartello della città. Intorno a noi è pieno di palazzoni tipici della periferia delle grandi città. Decidiamo di cercare un autobus per raggiungere il centro. Non ha senso camminare in mezzo a tutto questo traffico.
Un signore ci conferma che l'autobus n° 1 ci porta proprio vicino alla cattedrale e che per scendere non c'è problema perché proprio lì c'è il capolinea. Il biglietto si può fare in autobus. Il tempo di darci queste informazioni e il bus arriva: perfetto!
Scendiamo vicino ad un ponte bellissimo, pieno di statue (Puente de San Pablo). Davanti al ponte una imponente statua di El Cid Campeador a cavallo.
Attraversiamo il ponte e costeggiamo il fiume: si vedono già le guglie della cattedrale!
Decidiamo prima di andare in un bar per fare colazione: tortillas e caffè. Mamma fa un salto in farmacia e torna dicendo che ha visto una giacca a vento in un negozio. Sarebbe perfetta per sostituire la giacca che ho spedito in Italia.
La barista ci conferma che alla stazione degli autobus ci sono gli sportelli dove possiamo lasciare gli zaini e la stazione è proprio lì dietro. Monetina da due euro e chiavi in mano: possiamo girare la città senza il peso addosso. Nel negozio compriamo il k-way taglia bambino ma perfetto per me. Compro tre rullini e ci dirigiamo alla cattedrale.
Entriamo nella chiesa e andiamo dal custode per farci mettere il sello, poi la giriamo tutta: è bellissima! Appena uscite, incontriamo il pellegrino francese capellone che era accanto al mio letto a Roncisvalle: ci indica il percorso del camino che porta all'albergue. Ci servirà per dopo quando ripartiamo. Lo indichiamo al gruppo di pellegrini italiani che sono appena arrivati e che ci guardano stupiti per la mancanza dello zaino. Segreto...
Facciamo un giro per le strade del centro. Compriamo delle cartoline e delle buste. Cerchiamo un negozio che venda i cappelli: ne troviamo uno ma è troppo chic e i pochi cappelli di paglia ci sembrano più adatti per una serata elegante che per le meseta. In tabaccheria compriamo 20 francobolli dato che nei paesi piccoli si possono trovare le cartoline ma spesso non ci sono le tabaccherie. Finalmente entriamo in un grande magazzino e troviamo subito i cappelli. Cominciamo a provarceli. Ci raggiunge una commessa molto gentile che annuisce quando le spieghiamo che ci servono per affrontare le meseta. Ne compriamo due uguali. A me starà un po' grande ma ho già un'idea per modificarlo per la mia testolina.
Ci fermiamo in un bar per bere una birra e scrivere un po' di cartoline e lettere ai familiari.
All'una torniamo verso la stazione degli autobus. Siamo in attesa del verde per attraversare la strada, quando proprio di fronte a noi troviamo Pietro e Massimo. Urla di gioia e stupore, tipica italiana (si voltano tutti!), baci e abbracci, poi ci mettiamo d'accordo per vederci all'albergue ed ripartire insieme per Tardajos.
Recuperati gli zaini, arriviamo all'albergue ed io sono felice di sapere che non ci fermiamo lì, dato che l'albergue si trova in mezzo ad un bellissimo prato, pieno però di piumini di pioppo. Sicuramente lì la mia allergia mi avrebbe fatto impazzire.
Ci facciamo mettere il sello e partiamo. La strada è lontana dalla statale ma è piena di terra e i piedi si impolverano subito. Comincia a piovigginare e proteggiamo gli zaini. Arriviamo in un paesino ed un camion ci passa accanto alzando una nuvola di polvere che ci prende in pieno. Che bella accoglienza.
Lì ci dovrebbe essere un albergue ma il paese è brutto e desolato, così decidiamo di proseguire nonostante la stanchezza. Mancano pochi chilometri. Gli altri chiacchierano passando da un discorso all'altro. Tutti per me di poca importanza. Accelero il passo e mi ritrovo da sola con una crisi di starnuti e senza l'ombra di un fazzolettino. Aspetto la mamma e riprendo il camino con lei, mentre Pietro e Massimo hanno accelerato il passo. Li raggiungiamo all'entrata del paese, andiamo insieme all'albergue dove Vittoria, l'ospitalera riconosce la mamma che le aveva accennato del viaggio dell'anno scorso. Per fortuna c'è posto. L'albergue è piccolo ma molto accogliente. Unico neo: ci sono le melesecche.
Vado a fumarmi una sigaretta aspettando il turno per la doccia, dato che c'è un solo bagno. Poi mi faccio un bel massaggio ai piedi.
Arrivano gli ultimi due pellegrini e siamo al completo.
Mi sistemo sul tavolino davanti all'albergue per scrivere un po' di diario. Vittoria si avvicina e mi dice che va a messa e che tornerà fra mezz'ora. Se nel frattempo viene qualche pellegrino devo spiegare che siamo al completo e che a due chilometri c'è un altro albergue. Qui può ospitare ancora 5 pellegrini, basta che siano a piedi. La nomina temporanea a vice-ospitalera mi distrae dai ricordi da trascrivere sul diario, perciò accendo una sigaretta e mi rilasso godendomi il paesaggio. Ma appena alzo lo sguardo, ecco proprio di fronte un bellissimo arcobaleno, così non posso fare a meno di salire in camera per prendere la macchina fotografica e far scendere tutti quanti per condividere lo spettacolo.
In paese ci sono due ristoranti che fanno il menù del dìa. Però entrambi servono la cena alle 21 e noi siamo troppo stanchi e affamati per aspettare. Compriamo del pane e salame e da bere e ci sistemiamo sul tavolino di fronte all'albergue.
Pietro decide di venire con noi domattina, mentre Massimo si informa per prendere un autobus che lo porti fino a Castrojeriz.
Notte difficile per il male alle gambe e Pietro che russa. Mamma poi va avanti e indietro e mi sveglia muovendo il letto. Che pazienza!
Alle 5 ci svegliamo, se così si può dire. Ci prepariamo insieme a Pietro. Dopo poco anche le melesecche si alzano e ci rallentano nei turni per il bagno.
Partiamo alle 5.45. Piano piano fa luce. Ci raggiunge un pellegrino francese e Pietro comincia a chiacchierare con lui, allungando il passo. A Hornillos del Camino è seduto su una panchina che ci aspetta. Ha già visto la chiesa e l'albergue. Andiamo a farci mettere il sello dall'ospitalero che sta facendo le pulizie. Pietro riparte e noi ci riposiamo un po' cambiandoci le scarpe. Siamo davanti al bar ma è ancora chiuso. Ripartiamo e ci immergiamo nella vera meseta: siamo circondate da immensi campi di grano, ma la meraviglia sono i papaveri: non avevo mai visto dei campi di grano così rossi! Il papavero in sé non mi ha mai entusiasmato così tanto fino a oggi. Questo rosso così acceso ti infonde energia e rende il paesaggio della meseta ancora più unico.
Arriviamo alla Fuente San Bol, una piccola oasi, una macchietta nel deserto di grano. Il rifugio è molto piccolo, ma veramente singolare. Con le sue tipiche pitture sul muretto. Troviamo Pietro seduto fuori a scrivere il diario. Ci sono molti zaini per terra. Dentro un gruppo di ragazzi tedeschi stanno cantando in coro. L'atmosfera è fantastica e cerchiamo di non disturbare. Cerchiamo la fontana per rinfrescarci i piedi. L'acqua ghiacciata sul piede provoca una fitta di dolore lancinante , ma riattiva sicuramente la circolazione. Ne approfitto per lavare i sandali. Mangiamo qualcosa e riprendiamo a camminare.
Dopo pochi chilometri siamo ad Hontanas. Oggi è festa ed è l'ora della messa, così veniamo accolte dalle campane.
Il caldo è soffocante e ci dirigiamo dritte alla fontana, anche lì per rinfrescarci i piedi. L'albergue è ancora chiuso e un gruppo di giovani si è stravaccato a riposare proprio all'inizio della piazzetta della chiesa.
I paesani che vanno alla messa ci guardano un po' storto: effettivamente non siamo molto educati, tutti così sdraiati per terra, senza il minimo ritegno! Ma chi ha la forza di tirarsi su?
Mangiamo qualcosa e beviamo tanta acqua. Il sole è alto ma mancano ancora 10 km e così decidiamo di ripartire per l'ultimo pezzo di meseta di oggi.
Per fortuna solo il primo pezzo è sotto il sole e cerchiamo di farlo con un buon ritmo. Poi si ritorna sulla strada e possiamo fermarci all'ombra per un breve riposino. Almeno la strada non è trafficata.
Arriviamo al convento di San Antol, dove c'è l'indicazione di un rifugio, ma con l'aggiunta della scritta CERRADO. Mi chiedo dove poteva mai essere questo rifugio dato che sembra esserci solamente il vecchio convento diroccato.
Incrociamo un grosso gruppo di giovani che stanno facendo la siesta. Salutiamo e chiediamo dove vanno a dormire. Rispondono vaghi e così tiriamo dritto, stupite da questo atteggiamento poco "pellegrino". Ma più che pellegrini sembrano studenti in gita.
Finalmente si intravede Castrojeriz. L'ultimo pezzo di asfalto è tutto sotto il sole ed il paese ci accoglie con un cartello che dice "Refugio 1,4 km". Mamma si ricordava che era in fondo al paese ed è in dubbio se tagliare lungo la statale che almeno è un po' ombreggiata. Ma vediamo l'indicazione di un bar a 200 mt e così decidiamo di entrare in paese. Ci rifocilliamo con una bibita fresca ed il sello del bar, simpatico. Risaliamo il paese sotto il sol leone. Non ce la facciamo proprio più. Ad un certo punto ci sono le indicazioni per due albergue: uno dritto ed uno a sinistra. Mamma consiglia di andare in quello dove è stata lei l'anno scorso, così tiriamo dritto. L'ospitalero ci accoglie e ci sistema due materassini per terra dentro un enorme stanzone dove sui lati ci sono pochi letti a castello. La maggior parte dorme sui materassini per terra. Proprio di fronte a noi, sotto la finestra, ci ritroviamo gli sguardi antipatici delle melesecche che forse, come noi, non speravano di rincontrarci.
Sentiamo la voce di Pietro che ha appena recuperato Massimo e si stanno preparando per ripartire verso il rifugio italiano di San Nicolàs.
Arrivano gli ultimi due pellegrini: sono italiani e sono in viaggio di nozze. L'ospitalero, dato che aveva appena messo il cartello Completo, offre loro una cameretta separata, forse usata per le emergenze.
Ci facciamo una doccia e laviamo un po' di cose, poi andiamo a rifocillarci con una bibita fresca.
Alle 19 vado nel bar dove c'è un internet point, ma sarà il caldo, sarà la stanchezza, o forse solo la lentezza della connessione, ma ci metto una vita a ritrovare e leggere le poche mail che stavo aspettando.
Esco sfinita e andiamo a mangiare qualcosa sul tavolino di fronte all'albergue. Preparo una specie di insalata, ma entrambe facciamo fatica a mangiare. Abbiamo preso tropo caldo.
Verso sera si alza un po' di vento, ma è caliente e non da soddisfazione. Da lontano si vede un temporale e spero che si avvicini o che ci porti almeno un po' di fresco. Con un po' di rabbia vedo il nuvolone passarci di lato e sparire. La tanto attesa tempesta non ha fatto altro che spaventare i paesani, che hanno chiuso i bar prima del previsto, negandoci così anche l'ultima bibita fresca della giornata. "Mìra: la tormenta!" ci urla una vecchina che si sta rifugiando a casa, stupita del nostro "coraggio" nel girare in paese con tutto quel vento. Noi torniamo in albergue deluse e assetate, ma divertite da questa insolita reazione.
La serata si conclude con un po' di chiacchiere con due ragazze di Siviglia, molto simpatiche, che ci fanno superare anche l'orario del silenzio.
Ci alziamo alle 4.30. Io ero già sveglia da un po', mi rigiravo e sonnecchiavo ma la finestra di fronte a noi e veniva molto vento, anche se abbastanza caldo. Ci prepariamo in fretta ma scateniamo una corsa ad uscire perché nel giro di poco un sacco di gente comincia a portare gli zaini fuori e a prepararsi come noi. Ci sono due tavoli apparecchiati per la colazione e acqua calda, così possiamo bere un po' di Nescafè. Mangio una delle merendine comprate ieri dalla mamma: una skifezza. Il cielo è pieno di nuvole ma l'aria è molto calda. Partiamo alle 5.15. E' buio. Uscite dal paese i lampioni spariscono ed accendiamo le pile. Dopo un lungo ponte si comincia a salire e la merendina nello stomaco comincia a fare i capricci. Inoltre sento molto l'allergia e prendo una pasticca. In cima la pila non serve più, ci si vede già: una lunga strada che percorre tutta la vallata sotto di noi. Tutto intorno campi, solo campi. Cominciamo la ripida discesa e tutti i dolori si fanno sentire, uno a uno e poi tutti insieme. Per fortuna il fantastico paesaggio distoglie l'attenzione alla sofferenza. E' qui che la mamma è stata fotografata l'anno scorso dalla zia. Purtroppo non c'è la luce sufficiente per fare delle foto. In fondo alla lunga strada, c'è una bella fonte.
Sono le 7.10. Ci riposiamo 10 minuti. Poco dopo siamo a Puente Fitero dove vediamo Pietro e Massimo e salutiamo gli hospitaleros dell'albergue italiano. Sergio lo ricordo all'incontro a Genova. E' di Bologna. Mettiamo il sello e mamma scambia gli indirizzi. Il mio umore è pessimo. Non ho per niente voglia di stare con i ragazzi, soprattutto sentire l'elenco delle loro fantastiche esperienze. Dico a Massimo che non mi sento bene e lui mi conferma che non ho una bella faccia. Mentre Massimo e Pietro salutano, noi partiamo, tanto ci raggiungeranno presto. Usciamo dalla regione della Castilla e si entra nella Palencia. Ce lo conferma un cartello alla fine del ponte. Superiamo Itero de la Vega senza fermarci. Rincomincia una lunga strada deserta dove veniamo mangiate dalle formiche volanti. Ne siamo completamente assalite, perciò dobbiamo rinunciare al riposino e, anzi, accelerare. Dopo un po' però abbiamo proprio bisogno di fermarci per cambiare le scarpe, così ci raggiungono Pietro e Massimo. Riprendiamo il camino insieme, ma Pietro allunga subito il passo, così chiacchieriamo con Massimo fino a Boadilla del Camino, dove troviamo subito una famosa fontana che si attiva girando una grande ruota.
Ci riposiamo un attimo mentre una signora riempie le sue bottiglie di acqua ed un vecchietto seduto accanto a me ci dice che ieri ha piovuto fino a 25 cm di acqua. Io gli dico che invece a Castojeriz ha fatto solo 2 gocce, ma almeno oggi "no muchi calor!", per fortuna.
Pietro e Massimo si accorgono che una ragazza tedesca del gruppo che era con loro a Puente Fitero ha male ad un ginocchio e non riesce più a camminare. Decidono di cercare una macchina per andare con lei a Carrion de los Condes. Il ragazzo tedesco che era insieme a lei la lascia nelle mani loro e riprende a camminare. Mamma ignora il tutto e va dritta all'albergue, a cercare qualcosa da bere. L'albergue è chiuso, ma accanto c'è un bar, aperto. Appoggiamo gli zaini e mamma va a cercare Pietro e Massimo, ma sono spariti. Mangiamo una tortilla e ci dissetiamo. Mamma chiede se si può trovare una macchina ma ci dicono di no. Le dico che possiamo andare fino a Fromista a piedi, sono solo 6 km, anche se appena mi alzo ho una fitta atroce al ginocchio sinistro. Me lo fascio stretto e partiamo.
Mi aiuto con entrambi i bastoni e nel giro di un'ora arriviamo in paese. Compriamo aranciata fresca in un supermercato, dove incrociamo gli ospitaleri di Puente Fitero.
Ci mettiamo su una panchina della piazzetta e lascio lì lo zaino con la mamma, mentre vado a cercare l'albergue per i sello. Lì ci sono Pietro, Massimo e la ragazza tedesca, che stanno pranzando. Ci stavano aspettando. Pietro torna con me alla panchina. La mamma va a chiamare il taxi dalla signora che le hanno indicato e torna dicendo che il taxi sta arrivando. Pietro va verso l'albergue a chiamare gli altri. Nel frattempo il taxi arriva e ci carica gli zaini nel bagagliaio. Io dico alla mamma di aspettare un attimo gli altri, lei risponde che un taxi non si può farlo aspettare. Mi fa salire e partiamo. Insisto perché la mamma faccia presente al taxista che ci sono altre tre persone da portare a Carrion de los Condes, ma la mamma dice che si arrangeranno.
Lascio perdere. Metto su il muso e faccio fare a lei, tanto discutere è inutile. Proviamo ad andare al convento ma è già completo, allora andiamo al 2° albergue. La signora ci registra scrivendo che veniamo da Fromista a piedi. E ci da un letto a castello. Verifica con il taxista per sapere da dove siamo salite.
Mamma si mette a dornire, io vado a fumare fuori. Cerco di sfogarmi con Dani al telefono ma ha il cellulare spento e il mio è quasi scarico.
Mi metto sul letto a scrivere per cercare di farmi passare l'incazzatura. Dovrei pensare al mio ginocchio che fa molto male. Ho visto la strada che avremmo dovuto fare a piedi: orrenda: a fianco della statale senza un filo d'ombra per 20 km! Mi sento un po' in colpa per i pellegrini sfiniti che stanno arrivando ora, ma in fondo oggi noi abbiamo fatto 24 km, anche noi.
Mentre riposo sento la voce di Pietro e Massimo che stanno venendo su ad occupare i loro letti. Appena in tempo perché stavano per finire. Anche loro hanno preso una macchina. Mentre io sonnecchio mamma dice loro che io sono incazzata e Massimo le risponde "Be, se è incazzata con te, va bene!"
Mi alzo e vado a fare la doccia. L'albergue è veramente molto sporco, sia nei bagni che nei letti. Questo è l'albergue della Rottermaier, dove la mamma è stata a letto col piede rotto. L'ospitalera è la sorella del prete ed effettivamente è identica alla Rottermaier.
Ripristinato l'umore, usciamo a fare un po' di spesa: brioche e succo d'arancia per la colazione. Il ginocchio mi fa ancora male perciò quando mamma va in farmacia per comprare la pietra pomice, io prendo una fascia elastica.
Sono le 19.30 ormai: andiamo a mangiare il menu del dia con Pietro e Massimo in una rustica "cerveceria". Sembra carina. Ma mentre aspettiamo l'insalata, mi volto per caso verso la mia borsa e vedo uno scarafaggio che dal muro sta per tuffarcisi dentro. La sposto al volo e lo scarafaggio si rintana nell'angolino sotto la mia sedia. Wow! Che presupposti per la cena! Massimo dice di averne visto uno anche in albergue.
Si parla del camino e delle nostre impressioni.
Dopo cena mamma offre un gelato a tutti noi e poi io e mamma andiamo a dormire.
Fa un caldo infernale: tutti a dormire in mutande!
Stanotte mi sveglio perché sento dei rumori come di qualcuno che sta partendo. Sono solo le 2. Mamma mi dice di tornare a dormire. Alle 4 passate sento un tonfo e mi sveglio. Guardo sotto e mamma non c'è. Ha portato via tutte le sue cose. La trovo sul divano al pianterreno, sconvolta perché si è appena risvegliata. Era scesa perché non riusciva a dormire, aveva staccato la sveglia e poi senza accorgersene si era riaddormentata.
Porto giù le mie cose e prepariamo gli zaini.
Partiamo alle 5.10. Il cielo è stellato. Fa un po' freschino. Usciamo dal paese lungo la strada. Aspettiamo impazientemente l'inizio dello sterrato ma arriviamo ancora sull'asfalto fino ad una abbazia. Il ginocchio comincia a farmi male e mi metto la fascia elastica. Abbiamo già fatto 5 km. Subito dopo comincia un lungo sterrato sassoso, annunciato da una targa che indica proprio i restanti 12 km. Si cammina sempre con un buon passo. In lontananza si vede nuvoloso ma sopra di noi è bello e comincia a schiarirsi. Al momento dell'alba ci fermiamo ad ammirare la scena in compagnia di un pellegrino italiano incontrato ieri in albergue. Sono circa le 7. Sulla nostra sinistra ci sono diversi nuvoloni che vengono verso di noi. Sicuramente prenderemo la pioggia ma prima ci godiamo un bellissimo spettacolo di due arcobaleni su entrambi i lati della strada.
Alle 8 cominciano le gocce. Ci fermiamo al volo e mettiamo coprizaino e mantella. Ci rimettiamo in marcia ma piove poco e nel giro di 20 minuti ha già smesso. Gli arcobaleni ci tengono compagnia ancora per un po'. Ci fermiamo per un riposino e cominciano a superarci diversi pellegrini.
Notiamo come questa meseta sia molto diversa dalle altre e che le descrizioni delle guide sono sempre errate: non ci sono le due querce e ci sono invece diversi alberi lungo tutto il tratto. Arriviamo a Calzadilla de la Cueza alle 9.30 in perfetta tabella di marcia. Il sole già picchia perché ha superato le nuvole che son rimaste indietro. Stendiamo la mantella al sole. Ci fermiamo proprio all'entrata del paese, su una panchina accanto all'albergue, che però è chiuso ed il ragazzo delle pulizie non vuole saperne di aprirci per il sello. Mi dice che lo mettono al bar.
Dopo una mezz'oretta di riposo decidiamo di ripartire per fermarci con più calma al prossimo paese, tra circa 6,5 km. Mentre passiamo davanti al bar, si ferma un camioncino e vediamo scendere Pietro e Massimo. Beccati!
Li saluto e dico loro "Ma non dovevate fermarvi a Carrion per fare il bagno al fiume?" Purtroppo pioveva. Allora hanno trovato un passaggio per Leon.
Tiriamo dritto e per fortuna nel tratto fino a Ledigos troviamo in un piccolo sentiero ricavato accanto alla statale, smentendo nuovamente la guida che parlava solo di asfalto. Il sole picchia ma andiamo con un buon ritmo. Alle 11 siamo già al paese e facciamo un salto al bar. L'albergue è chiuso, ma il barista fa entrare da una porta laterale una ragazza che sembra distrutta e sembra proprio che abbia bisogno di un letto. Gli altri pellegrini aspettano fuori l'apertura ufficiale. Deve essere privato, perché si ferma anche un gruppo di signori muniti di Caravan. Uno di loro mi spiega che sono stati in vacanza in Portogallo e che stanno ritornando in Olanda.
Si aggiunge alle chiacchiere un signore anziano che, quando gli dico che sono italiana, ci tiene a sottolineare che lui è più vecchio del papa.
Mi chiede se andiamo a Sahagùn: io e la mamma ci fermeremo prima ma un pellegrino brasiliano andrà fin là a dormire. Il vecchietto mi dice che dovremmo proseguire perché quella sera a Sahagùn c'è la fiesta!
"Te gustas los toros?" mi chiede ed io rispondo che mi fanno paura. Forse non capisce la parola "paura" ed io non riesco a tradurgliela, allora rivolge la stessa domanda al brasiliano, che risponde "no puedo opinar", spiegando che in Brasile non ci sono feste con i tori. Che diplomazia!
Ripartiamo per fare gli ultimi 3 km, sempre a fianco della statale. Ad un certo punto dall'altro lato della strada vediamo un contadino con le sue pecore: le sta radunando per farle attraversare. Che belline, così tutte in fila e ubbidienti! Saliamo in cima al colle aspettandoci di vedere il paese ma bisogna arrivare in fondo al rettilineo per riuscire a intravedere qualche tetto. Ultimamente è sempre così: il paese si vede sempre all'ultimo momento.
Siamo a Terradillos de Templarios. L'ospitalera simpatica ci porta su in una stanza con 4 letti. Dice che gli altri due sono già riservati per due persone che hanno telefonato.
Dopo uno spuntino e una bella doccia rinfrescante, riposiamo per circa 2 ore, coccolate dalle lenzuola pulite. Questo posto è davvero molto carino e pulito. Sarà perché è albergue privato?
Arrivano i nostri compagni di camera: una coppia francese. Ci svegliamo e facciamo due chiacchiere con la signora che ci capisce bene e sembra parlare un po' tutte le lingue.
Scendiamo a sederci in giardino, insieme agli altri pellegrini. Non laviamo quasi niente, sia per la stanchezza, sia per qualche nuvola minacciosa. Ma non pioverà.
Vado a fare un giro in paese per scattare qualche foto e finire il rullino, ma le strade sono deserte e poco interessanti.
Alle 19.30 andiamo a cena. Ci sediamo al tavolo con la coppia francese, un olandese e una spagnola. Aiutate dalle traduzioni della signora francese, teniamo un po' banco parlando del vino italiano e della grappa. Quando le domande cominciano a andare un po' troppo sul tecnico, telefono all'Alida per avere delucidazioni. Chiudiamo la cena con una descrizione dettagliata sulla produzione di questa specialità italiana.
Partite alle 5.30. Mamma mi ha svegliato alle 5 mentre stavo sognando. Devo aver sognato molto stanotte perché non riesco a connettere. Ieri sera però ho fatto fatica ad addormentarmi per il dolore alla pianta dei piedi.
Partiamo dietro a due pellegrine che spariscono in un lampo. La luna è ancora alta e il cielo stellato.
Comincio a camminare a fatica. Dopo pochi chilometri raggiungiamo Moratinos ed io sto praticamente rantolando. La strada è buona, sempre a fianco della statale, ma le fitte ai piedi sono sempre più forti. All'altezza di San Nicolas, mi fermo e tolgo i pezzi di cotone sotto i talloni. E' stata una pessima idea. Prendo anche una pasticca di antistaminico perché comincio ad avere una crisi. Da lì in poi almeno una mezz'oretta di rantolamento, zoppicamento, vittimismo, crisi isterica tipica cancerina. Tutte le sfighe del mondo in quel momento le ho io. Quando mamma mi chiede se voglio che troviamo un passaggio, le dico un "no!" secco e cerco di reagire. Fanculo il male ai piedi, tanto anche se non cammino fanno male lo stesso. Tanto vale accelerare. E così, dai e dai, l'umore cambia e arriviamo finalmente a Sahagùn, che è ancora addormentata.
C'è stata la festa con i tori ieri e infatti ci sono i tipici sbarramenti di legno che chiudono le strade. Ci fermiamo ad un bar per fare colazione. La barista sembra stanca e sta ancora pulendo il bar dalle gozzoviglie della serata precedente.
Passiamo davanti all'albergue che però è ancora chiuso.
Ci sediamo in una piazzetta al sole. Mamma riesce a farsi fare una fotocopia della credenziale dall'impiegato del Comune. Ne avremo bisogno, dato che lo spazio si sta esaurendo. Io spero di non usarla, perché vorrei farmene dare una nuova, spagnola. Magari a Leòn, dove molto pellegrini cominciano il camino.
Alle 10 il sole comincia a picchiare forte. Decidiamo di ripartire e di fermarci di più magari al prossimo paese, tra 5 km. Provo a mettermi il cotone sotto la pianta del piede, al centro, e i sandali. Mi sembra di camminare meglio e l'umore si alza un po'. All'uscita del paese rallento per fare la foto al ponte e veniamo raggiunte dalla coppia francese. Lei sta chiacchierando con una ragazza. Sembrano amiche. Lui mi saluta in inglese e mi chiede se ho dormito bene e se ho sognato. "Yes, many dreams, good dreams!" rispondo, pensando che magari stanotte devo aver parlato nel sonno oppure mi sono agitata. Boh?
Raggiungo la mamma che non si è accorta della loro presenza e sta proseguendo. Loro si fermano in un parco a riposarsi.
Scatto una foto all'ombra della mamma, esaudendo il suo desiderio. Io me la farò fare più avanti.
Proseguiamo con un bel ritmo, guardando incantate le acrobazie di un falco che gira sopra un campo e ogni tanto si tuffa a raccogliere il suo cibo: vermetti?
Sul sentiero accanto alla strada è pieno di margherite che, come girasoli, hanno ancora tutti i petali abbassati, come se fossero in castigo. Sono buffissime.
Dopo un'ora arriviamo alla deviazione per Calzada De Coto. Non abbiamo voglia di aggiungere 1 km per andare al paese perciò proseguiamo lungo il camino, tanto mancano solo 5 km.
All'imbocco del nuovo sentiero troviamo una targa con l'indicazione dei vari rifugi che si incontrano in questa tappa.
Lì dietro il gruppo di tedeschi sta facendo la siesta
Il sentiero è bello, rinfrescato dall'ombra degli alberelli, che devono aver piantato da pochi anni. Alcuni sono mingherlini e il sole quasi li ignora.
Siamo ancora nella zona delle meseta, ma non siamo più nel deserto del grano come le prime tappe.
Mamma è un diesel al contrario: stamattina andava come un treno, ora invece comincia a sentire la stanchezza nelle gambe e va sempre più piano. Io accelero e mi fermo ogni tanto all'ombra per aspettarla. I muscoli sono caldi e sento meno male ai piedi. In più ho tanta fame e non vedo l'ora di arrivare.
Finalmente ci siamo: Bercianos ci accoglie con una fonte di acqua fresca. Ci rinfreschiamo e ci dirigiamo al bar dato che all'albergue manca ancora mezzo chilometro.
Al bar troviamo gli orari del treno per Leon. Il treno passa per El Burgo Ranero, non per Mansilla de Las Mulas, dove però potrebbe esserci un autobus.
Dopo esserci riprese, ci dirigiamo all'albergue dove ritroviamo gli stessi ospitaleros di Tosantos: la coppia francese.
L'albergue è molto rudimentale. Hanno ristrutturato alcune stanze al primo piano, ma deve essere ancora completato.
Ognuna delle cinque camere ha sulla porta il nome di una città del Camino. Purtroppo non ricordo il nome della nostra.
Dopo la doccia riposiamo per qualche ora. Ci svegliano i pellegrini che nelle altre stanze sistemano i materassini e gli zaini per terra. Il parquè contribuisce a distogliere completamente il sonno. Per non parlare dei "muuu" insistenti delle mucche nella stalla di fronte all'albergue. Sarà la fame o il caldo?
Arrivano anche due pellegrini nella nostra camera e iniziano a chiacchierare in francese: vabbè ci alziamo!
La mamma mi fa un bel massaggio ai piedi, poi valutiamo la tabella di marcia. Decidiamo di saltare la periferia di Leon per recuperare tempo ed evitare di camminare inutilmente in mezzo al traffico cittadino. Proveremo a prendere il treno oppure un bus.
Vado a fare il bucato e dopo aver steso faccio due chiacchiere con una signora tedesca che si fermerà a Leon per problemi di tempo. L'anno prossimo tornerà forse con sua figlia e così mi chiede alcuni consigli su come evitare le discussioni lungo il camino. Le dico che a volte è inevitabile discutere, soprattutto quando il rapporto di parentela è così stretto, ma che l'esperienza è molto bella.
Andiamo a fare un giro per il paese e compriamo un po' di ciliegie per merenda.
A tavola siamo circa una ventina. Gli ospitaleros ci offrono insalata, lenticchie e macedonia. Mentre stiamo mangiando arriva inaspettatamente un pellegrino, che si affaccia alla porta chiedendo ospitalità. L'ospitalero gli va incontro e lo invita a sedersi a capotavola, cedendogli il suo posto.
Poco dopo entra uno spagnolo. Sembra del paese e si mette a chiacchierare con gli spagnoli che sono di fronte a noi. Con il risultato che ci troviamo quest'uomo in piedi alle nostre spalle, che chiacchiera ad alta voce, incurante delle buone maniere.
Cerco di sdrammatizzare il fastidio che provo e così mi metto a scherzare con la mamma, proteggendo il mio piatto dalla "pioggia" di parole del nostro antipatico ospite. Ci scappa qualche risatina ma cerchiamo di non farci notare.
Dopo cena, noto un baule pieno di sassi di diverse dimensioni e con qualche pennarello sparso qua e là.
Vado in giardino a recuperare un sasso e ci scrivo sopra il nostro nome. Così resterà anche un nostro ricordo.
Alle 21.15 un gruppo di pellegrini insieme all'ospitalero si raccoglie sul prato di fronte alla chiesa diroccata, per una piccola orazione. Sono proprio di fronte al sole che sta tramontando. L'atmosfera dev'essere bellissima ma io sono così stanca che sono già a letto.
Ho fatto una gran fatica ad addormentarmi ieri sera perché il mulo ha continuato a ragliare per ore. Il francese russava solo ogni tanto. Stamattina alle 5 i due francesi hanno fatto un gran casino e ci hanno svegliato.
Alle 6 ci prepariamo anche noi. Facciamo colazione alle 6.30 insieme ad uno spagnolo e ad un ragazzo dell'Uruguay.
Partiamo di buon passo anche se ho molto male al ginocchio. Me lo fascio ma zoppico.
Alle 8 passate siamo a El Burgo Ranero. Andiamo all'albergue che è aperto e ci mettiamo da sole il sello.
Ci dirigiamo verso la stazione dei treni per verificare gli orari per Leon. Arriviamo in stazione alle 8.50. Sembra tutto chiuso, ma c'è gente che aspetta sul binario. Buon segno?
Guardiamo gli orari: il treno per Leon passa alle 8.56
Il prossimo sarebbe stato alle 12 passate.
Facciamo il biglietto sul treno e dal finestrino vediamo la strada assolata dei pellegrini.
In stazione, dopo 20 minuti di viaggio, vediamo se c'è un posto dove poter lasciare gli zaini, ma poi ci pensiamo un po' su e decidiamo di portarceli dietro.
Andiamo diritte a visitare la cattedrale, seguendo la cartina. Oggi lo zaino sembra non pesare niente. Il male al ginocchio passa dopo essermi tolta la benda.
Nel tragitto fotografo un palazzo bellissimo che poi scopro essere di Gaudì.
Davanti alla cattedrale saluto la ragazza tedesca dal ginocchio malconcio che era stata accompagnata a Fromista da Pietro e Massimo. E' qui da ieri. Rimane stupita dal fatto che siamo arrivate così presto a Leon e mi chiede da dove siamo partite. Resto sul generico per non tradire la nostra "scappatella".
Entriamo nella cattedrale, appoggiamo gli zaini vicino ad una panca e a turno visitiamo la chiesa. E' veramente fantastica! Andiamo a visitare il museo, lasciando gli zaini al custode. Purtroppo non si possono scattare foto e così spero di poter trovare delle cartoline che rendano onore a queste meraviglie. Purtroppo non ne trovo molte.
Ci mettiamo sulla panchina fuori a scrivere qualche cartolina e notiamo che la ragazza tedesca è disturbata da un signore che le sta accanto. Lei sembra tranquilla, ma per sicurezza le chiediamo se vuole venire in albergue con noi. Ne approfitta e ci accompagna all'albergue delle suore, dove sta anche lei.
Mentre l'ospitalera ci mette il sello le chiedo se ha una credenziale spagnola da darmi. Lei mi mostra delle fotocopie e dice che ha solo quelle. Ringrazio, ma le fotocopie le abbiamo anche noi. Peccato!
Scegliamo un letto a castello nella stanza per sole donne. Che bello: forse stanotte non russerà nessuno!
Usciamo di nuovo per andare a visitare il resto della città. Vicino alla stazione avevo notato una pubblicità di McDonald e avevo proposto di andare a mangiare un po' di skifezze.
Purtroppo però non riusciamo a trovarlo. Andiamo a mangiare in una specie di pub, dove rivediamo le tappe che seguiranno.
Le ore passano in fretta e decidiamo di rientrare presto per riposarci. Facciamo un po' di spesa in un supermercato e visitiamo velocemente la chiesa di S. Isidoro.
Passiamo davanti all'Internet Point ma apre alle 18, così ne approfittiamo per andare in albergue a riposare.
Dopo il riposino, vado all'Internet Point e, dato che è dentro una copisteria, faccio altre fotocopie della credenziale. Ma sono talmente scure da essere inutilizzabili.
Contribuisce a farmi venire il malumore anche la notizia che quella sera le monache non faranno la benedizione del pellegrino. L'ospitalera non può darci ulteriori spiegazioni. Glielo hanno solo comunicato.
Ceniamo e andiamo a letto, cercando di concentrarci sulla prossima tappa.
Stanotte ho dormito proprio bene, anche se una spagnola russava un po', ma non ho usato neanche i tappi. Stamattina la mamma mi ha dovuto chiamare ben due volte. Erano le 5.20. Ci prepariamo e facciamo colazione.
Alle 6.10 partiamo insieme alla spagnola russatrice che comincia il camino proprio oggi.
Attraversiamo la città ancora addormentata fino alla fantastica San Marco, che viene risparmiata dalla foto, perché è ancora troppo buio.
Ci sorbiamo tutta la periferia della città fino alla Virgen del Camino. Nel frattempo stiamo ancora valutando quale alternativa scegliere: per Villar De Mazarife, lungo lo sterrato, oppure via Villadangos che è sull'alfalto ma più corta di qualche chilometro?
Il tratto originale sarebbe quello per Villadangos, ma è veramente brutto dover camminare per chilometri e chilometri sulla strada in mezzo al traffico!
Alla Virgen, decidiamo di attraversare per imboccare il sentiero sulla sinistra che va a Villar de Mazarife. Accanto a noi c'è un pellegrino francese. Per rassicurarci gli chiediamo "Villar de Mazarife?" indicando la strada di fronte a noi. E lui, risponde sicuro: "Santiago!".
Io e la mamma ci guardiamo, intendendoci al volo: è francese!
Vediamo il nostro amico colto dal dubbio che si ferma a chiedere informazioni. Superiamo altri francesi che stanno tornando sui loro passi e che ci dicono che è meglio scegliere la strada più corta.
"Si, si!" e proseguiamo per la nostra strada. Finalmente poco dopo siamo in mezzo ai campi.
Abbiamo sicuramente scelto il percorso ottimale, perché ci ritroviamo su un percorso molto brullo, un po' in salita, ma molto solitario e sicuramente lontano dal traffico. E poi per nulla al mondo ci saremmo perse il passaggio per Oncina della Valdoncina, un paesino dove non c'è niente, ma basta il nome per farti venire il buon'umore!
Passiamo altri piccoli paesi, finchè dopo un breve tratto di strada asfaltata arriviamo a Villar de Mazarife.
Il rifugio è subito lì, sulla prima stradina a destra. La porta è spalancata. C'è un ragazzo giovane, un pellegrino in attesa forse dell'ospitalero.
Ha uno zaino enorme. Facciamo due chiacchiere anche se non sembra molto loquace: è belga ed è partito da casa sua: sta camminando da 3 mesi! Ha uno zaino enorme.
Dopo una breve perlustrazione in giro e qualche decina di minuti di attesa, decidiamo di metterci il sello e sistemarci nel giardinetto interno per un bel riposo.
Vado in piazza a fare un po' di spesa e così preparo una bella insalata per pranzo. Mentre stiamo mangiando arriva l'ospitalero, che gestisce i letti per i pellegrini che sono appena arrivati. Gli dico che noi non ci siamo sistemate da nessuna parte perché ripartiamo nel pomeriggio e lui tranquillo risponde: "Vale, vale!". Gli chiedo quanti chilometri ci sono per Hospital de Orbigo e a che ora ci conviene ripartire. I chilometri sono 13 e ci consiglia di partire molto tardi per evitare il caldo.
Ci prepariamo per passare il tempo e mamma stende il materassino sul divano per fare un riposino. Purtroppo la confusione cresce, man mano che arrivano i pellegrini. Chi cerca il letto migliore, chi si mette in fila per la doccia, chi pulisce il tavolino per mettersi a mangiare.
Nel giro di poche ore l'albergue si riempie e tutti i pellegrini si sono sistemati a riposare sul letto o sulle sedie in giardino.
Facciamo un po' di chiacchiere con un altro pellegrino belga amico del ragazzo, una ragazza americana che scolpisce il suo bordone e con uno spagnolo che si fa i pediluvi con acqua sale e olio. Non perché abbia problemi ai piedi, anzi: i suoi piedi sono perfetti e l'olio li mantiene morbidi.
Alle 16.00, ormai annoiate dal tempo che passa, decidiamo di ripartire, sotto gli occhi increduli degli alti pellegrini che continuano a ripeterci "mucho calor!".
Partiamo con la testa bagnata, il cappello di paglia e una buona scorta d'acqua.
I primi 4 chilometri sono sulla strada asfaltata, senza un filo d'ombra. Ci ripariamo qualche minuto sotto un albero, di fronte ad una casa di un'azienda agricola. I proprietari in fondo al giardino ci vedono e ci salutano.
Incontriamo la deviazione per S. Martin a 3 km. Lì c'è un albergue e finisce la tappa per chi proviene da Villadangos.
La strada diventa sterrata ma passano le macchine dei contadini e alzano un polverone che rende ancora più difficile sopportare il caldo. Facciamo i pezzi di strada al sole in fretta, con un buon ritmo, facendo riposini frequenti e veloci appena troviamo un filo d'ombra.
Mancano pochi chilometri alla meta e siamo molto stanche ma quando vedo un gruppetto di mucche al pascolo, nel campo a fianco della strada, non posso non fermarmi. Dico alla mamma che la raggiungo subito perché ho visto una mucca proprio lì vicino al filo spinato. E' sdraiata sotto l'ombra di un albero e mi fissa. La saluto e comincio a farle i complimenti e lei apprezza sventolando le orecchie (o forse son le mosche?). Ad un certo punto da lontano si alza un'altra mucca, tutta nera, anche lei in siesta all'ombra e comincia a fissarmi con aria minacciosa. Chiedo alla mia amica se è per caso un toro, perché le corna non le vedo, ma l'atteggiamento mi sembra un po' ostile. Non ricevo risposta, così le dico che si è fatto tardi e che devo andare. Ci salutiamo con una sventolatina di orecchia.
Raggiungo la mamma che sta attraversando un binario ed io le dico di fermarcisi sopra, così le faccio una foto. Lei sorride e mi dice "Perché non la faccio io a te?"
Penso se non sia il caso di appoggiare l'orecchio alla sbarra di ferro per rassicurarla del fatto che non sta arrivando nessun treno, ma la stanchezza vince sul gioco e così ripartiamo senza perdere ulteriore tempo.
Ad Hospital de Orbigo non riesco a godermi il bellissimo ponte e infatti anche la foto che scatto è proprio brutta. L'ospitalero però ci accoglie con gran calore (questo ben accetto) e un regalo che mi fa svanire tutta la stanchezza: quando vede che la mia credenziale non ha più spazio per il sello, mi offre una nuova credenziale spagnola. Sono quasi commossa. Mamma ringrazia da parte mia con una generosa donazione.
Risveglio in coma con starnuti a più non posso. La stanza probabilmente era molto umida, anche se non mi sembra di aver avuto freddo stanotte. Comunque ho dormito di sasso. Ieri sera eravamo a pezzi.
Ci svegliamo alle 5.30 ma tra una cosa e l'altra partiamo solo dopo un'ora. Il ritmo è buono. Ci sono due alternative per Astorga: l'asfalto per 16 km o lo sterrato per 17. Scegliamo il chilometro in più in mezzo alla natura.
Arriviamo a Villar de Orbigo. Vado in cerca del sello, tutta contenta con la mia credenziale nuova nuova da inaugurare. Purtroppo è tutto chiuso. All'uscita del paese un gallo si sta sgolando con il suo "chicchirichì". E' talmente insistente che verrebbe da dirgli che ormai siamo svegli tutti!
Anche a Santibàñes l'albergue è chiuso. Provo a bussare per vedere se c'è ancora qualche pellegrino, ma niente da fare.
Ci rimettiamo in aperta campagna e incontriamo subito una fattoria con le mucche nel recinto. Saluto un vitellino che ad ogni mio complimento sventola le piccole orecchie e lecca le sbarre che ci dividono. Sono tentata di avvicinarmi ed accarezzarlo, ma non sono sicura se i vitellini hanno già i denti forti. Decido di risparmiarmi i "ditini" e raggiungere la mamma.
Ormai siamo quasi arrivate ad Astorga, stiamo attraversando la periferia. Il percorso ci risparmia la statale, ma ci fa passare dietro enormi fabbriche e non è che sia molto meglio. Sopra un piccolo ponte, però, mi volto ad osservare il ruscello e vedo laggiù in fondo, davanti ad una casa, una presenza: "Mamma, guarda, c'è un leone!", urlo, e decido di scattare una foto. Il tempo di un click e sento subito l'abbaiare cattivo di un cane. Il mio leone resta tranquillo, mentre il suo amico a fianco è molto arrabbiato. Devo averli svegliati. Per fortuna sono entrambi legati!
L'albergue di Astorga apre alle 13, ma alle 11.30 quando arriviamo, l'ospitalero ci accoglie con un sorriso: siamo praticamente le prime! Quando vede la mia credenziale si scurisce in volto e mi chiede chi me l'ha data. Vorrei mettermi a piangere. Perché? Non va bene?
Mi spiega che la credenziale spagnola ufficiale ha una diversa intestazione e che l'ospitalero di Hospital de Orbigo probabilmente non è molto pratico. Ne tira fuori una ufficiale e me la sostituisce. Io rincomincio a respirare.
Vado a cercare l'Internet Point, anzi il Cyber, come lo chiamano qui. A Villar de Mazarife c'era la pubblicità del locale e mi ero segnata l'indirizzo. Purtroppo però all'albergue non trovo nessuna piantina e così mi metto a cercare per il centro. Non dev'essere lontano dalla cattedrale. Ad un certo punto vedo venirmi incontro un poliziotto. Colgo l'occasione al volo: lui mi scuserà se non parlo uno spagnolo corretto. Mi dice di seguirlo e mentre lo "rincorro" una signora lo chiama per dirgli una cosa. Lui si ferma e risponde che arriva subito, deve solo dare un'indicazione a questa chica e poi arriva. Sentirmi chiamare "chica" da un poliziotto in uniforme mi fa una strana sensazione... come di ... facente parte della comunità. Bello!
Mi indica velocemente la direzione.
Imbarazzata dalla gentilezza e presa alla sprovvista dal suo saluto frettoloso, mi confondo e così per ringraziarlo rispondo con un bel "Gracias Millas"!
Nel pomeriggio cerco di riposare un po', ma mi viene impedito dalle chiacchiere di diversi pellegrini spagnoli e soprattutto da un ragazzo che sta accanto al mio letto e non smette di fissarmi. L'avevo visto ieri di sfuggita ad Hospital de Orbigo e gli avevo sorriso perché lo avevo visto con le stampelle. Mi sembrava molto dolorante e aveva fatto sentire la mia stanchezza quasi insignificante rispetto alle condizioni dei suoi piedi. Oggi però non mi sembra così malconcio. Anzi, per fissarmi meglio se ne sta in piedi e la cosa mi sembra sempre più assurda. Ma che avrà da guardare? Cerco di rigirarmi ma mi sento i suoi occhi addosso, così decido che è meglio andare a fare un giro.
Andiamo a visitare la cattedrale, per farci mettere il sello (la collezione continua!), poi compriamo qualche cartolina e torniamo insieme al Cyber per controllare sul sito delle ferrovie tedesche i possibili treni per il ritorno.
Ceniamo nella cucina dell'albergue, con un po' di affettato e frutta. Il "guardone" spagnolo ha incontrato una ragazza spagnola e sembra non considerarmi più. Meglio così!
Notte un po' difficile per il brasiliano che ieri sera mangiava il mango. Ha tenuto svegli quasi tutti. Ad un certo punto mi sono alzata e per svegliarlo ho dovuto strattonargli il ginocchio e fargli prendere anche paura. Quando mi ha guardato sconvolto, mi sono scusata dicendo "No puedo dormir!". Lui ha chiesto scusa, ma dopo poco ha rincominciato.
Lo spagnolo "guardone" ha passato la notte di qua e di là, mettendo anche il materasso per terra. Ogni volta che mi rigiravo era sempre in un posto diverso e il più delle volte mi fissava. Ho anche pensato che avesse brutte intenzioni, tipo rubare o infilarmi qualcosa nello zaino, ma era evidente che non riusciva proprio a dormire.
Comunque io in fondo devo aver dormito almeno un po' perché non mi sono svegliata distrutta. Solo la solita allergia con naso chiuso e orecchie irritate.
Nel primo paesino ci fermiamo al volo a prendere un caffè, nel secondo solo il sello al bar, dato che ormai riempire la credenziale di selli è diventato il mio interesse maggiore.
A El Ganso troviamo un bar molto particolare, tutto arredato stile western. Che cosa strana per un locale che si trova lungo il camino di Santiago! Ci sediamo nei tavolini fuori e facciamo colazione con un'ottima tortilla. Ci raggiungono anche gli antipatici di Pamplona.
Mentre ci stiamo preparando per ripartire, arriva un pellegrino tedesco, già notato nell'albergue di Astorga per i capelli rossi rossi, il suo sorriso molto gentile e soprattutto per le inseparabili bretelle (tra un po' le teneva anche a letto!).
Mi si avvicina e mi dice tutto serio una frase in tedesco. Dico che non capisco. Prova a dire qualche parola in inglese. Nomina Astorga, l'albergue, e indica proprio me! Che cosa avrò mai fatto ad Astorga? Ho russato? Ma perché è così preoccupato? Capisce che non ci intendiamo, allora tira fuori il suo coltellino (oh, oh...) ed estrae delle minuscole pinzette. Le schiaccia per farmele vedere bene, mi indica e poi fa il cenno indietro, ripetendo Astorga. Aaaah: ho lasciato le mie pinzette in albergue!
Ma pensa! Che carino! Lo ringrazio e gli dico che vabbè, le ho dimenticate, ma non c'è problema. Lui alza gli occhi come per ricordare una parola e mi dice: "oro!". Si, è vero, le mie pinzette erano di colore oro, ma lo rassicuro: "no real oro!", "no gold!" Comincia a tranquillizzarsi e a quel punto si siede e ordina una bella birra fresca, finalmente rilassato.
Abbiamo già gli zaini in spalle ed arrivano i tontoloni: anche loro un bel discorso in tedesco fitto fitto per dirmi che ho lasciato le pinzette ad Astorga (il gesto delle dita a mò di pinzetta traduce chiaramente il loro discorso). "Si, si, lo so, no problem, no problem, muchas gracias!", continuo a ripetere e dico alla mamma di affrettarsi per non incombere in ulteriori pellegrini preoccupati.
Camminando sorridiamo e ci compiaciamo della gentilezza di questi pellegrini tedeschi. Ma quanto costeranno un paio di pinzette in Germania?
Gli ultimi 7 chilometri per arrivare a Rabanal sono duri: lungo la strada asfaltata e assolata. Per fortuna ci sono poche macchine e l'umore è abbastanza alto. Dato che gli altri pellegrini ci hanno già superati tutti posso scatenarmi a cantare a squarciagola, mettendo alla prova la pazienza della mamma.
L'albergue apre alle 14.30 e ci tocca aspettare fuori. In realtà ce ne sarebbe un altro più spartano, già aperto, ma quello degli inglesi è famoso e vale la pena andare lì.
Nell'attesa ci dissetiamo e osserviamo le avance dell'amico "guardone" con la ragazza spagnola. Ormai sembra quasi una coppia.
Le ospitalere inglese sono veramente delle signore: si presentano con il loro nome e chiedono informazioni ad ogni pellegrino. L'accoglienza per noi è un po' speciale: Cristina ci accompagna in una piccola stanza con soli due letti a castello. Ci accorgiamo di essere delle privilegiate, quando vediamo che l'unica altra stanza raccoglie tutti gli altri pellegrini.
Non ci allarghiamo pensando che prima o poi arriverà un'altra coppia. Invece saremo così fortunate da avere la stanza tutta per noi.
Vediamo due sorelle giapponesi. Sembrano stanche morte, nonostante la doccia, e girano di qua e di là, sconvolte, controllando i panni stesi ad asciugare. Cogliamo l'occasione per conoscerle, parlando un timido inglese. Fanno tappe brevi perché camminano lentamente ed evidentemente non sono molto allenate. Riusciamo a dire loro che abbiamo una giapponese in famiglia, anche se in realtà ora la grande famiglia ora è proprio questa: tutti noi pellegrini!
Le poche informazioni scambiate vengono compensate da lunghi e sinceri sorrisi.
Oggi è il primo giorno d'estate. Farà lo stesso caldo di ieri, spero non di più.
Stanotte mi sono alzata per andare in bagno: c'era un cielo stellato veramente fantastico. Siamo in montagna, il cielo è pulito e completamente ricoperto di stelle.
Dopo mi sono rigirata nel letto, non riuscivo a riaddormentarmi. Però alla fine ho anche fatto uno strano sogno: guardavo una partita di rugby e un ragazzo giovane, Sergio, si faceva male seriamente. Aveva preso un brutto colpo al petto, era sdraiato sul lato del campo ed io lo rassicuravo dicendogli che mi sarei occupata di lui...
Verso le 5.30 cominciamo a sentire del movimento. La mamma sta ancora dormendo, perciò aspetto che suoni la sua sveglia.
Ci prepariamo comodamente, con la luce accesa, essendo da sole. Per le 6 siamo pronte e Cristina, l'ospitalera, viene ad aprirci la porta. Un bacino, saluti e via.
Usciamo dal paese su uno sterrato. La pista è buona e si vede bene. Percorriamo il sentiero di montagna e da lontano si sentono delle urla strane. Prima sembra quasi un uccello poi si distingue bene l'ululato di un cane. Mamma mi dice che questo è il punto famoso dei cani randagi e allora comincio a tendere l'orecchio per ascoltare ogni minimo rumore e percepirne la distanza. Per fortuna niente di vicino a noi.
Arriviamo sulla strada asfaltata e veniamo travolte da nuvole di mosche che ci seguono costantemente. All'inizio credo sia dovuto agli abiti che la mamma ha appeso sullo zaino. La convinco a mettere tutto dentro, ma travolgono anche me che non ho niente che possano attirarle.
Alle 7.30 arriviamo al Foncebadon, il villaggio che era stato abbandonato. Ora c'è un albergue e un bar, che però sono ancora chiusi. Attraversiamo il paese e vediamo molte case diroccate, ma alcune ristrutturate con grossi macchinoni parcheggiati davanti.
Riprendiamo lo sterrato e dopo una mezz'oretta siamo alla Cruz de Hierro. C'è un tipo in una roulotte che vende caffè caldo per 1 euro. Mamma dice che l'anno scorso lo stesso tipo era sull'Alto del Perdòn. Ci avrei giurato che qualcuno avrebbe approfittato del posto per tirar su qualche soldo!
I due tedeschi tontoloni ci chiedono di fare una foto ricordo con loro. Dopo anche lo spagnolo allego ci chiede una foto insieme. Propongo alla mamma di farci pagare!
Mi faccio fare una foto in cima alla Cruz de Hierro e ne approfitto per lasciare la mia boccetta, ancora mezza piena, di Ribes Nigrum, esprimendo il desiderio di lasciare lì, come ricordo, la mia allergia alle graminacee. Speriamo che gradisca il regalo...
A Manjarin incontro un gruppetto di mucche al pascolo: ci sono due vitellini fantastici. Il tempo di fare qualche foto e la mamma mucca comincia a guardarmi male lanciandomi dei "mu" minacciosi. Ochei, ochei, me ne vado.
Mamma entra nel rifugio e ne esce con una piccola zucca come regalo. Che bello! Adesso mi sento un vera pellegrina anch'io.
Io nel frattempo la aspetto di fronte alla famosa insegna con l'indicazione delle distanze: Santiago 222km. Ma come? Nell'albergue di Rabanal c'era scritto Santiago 218km! Insomma, bisognerà che si mettano d'accordo!
Riprendiamo a camminare sull'asfalto e saliamo ancora. Bisogna arrivare all'antenna bianca e rossa per essere veramente in cima. Le mosche per fortuna sono sparite. Abbiamo scoperto che non eravamo le uniche ad esser state scambiate per m... Tutti i pellegrini che erano con noi avevano avuto lo stesso fastidio.
La strada comincia a scendere e siamo su uno sterrato molto ripido con grossi sassi. Bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi. Per fortuna il ginocchio non mi da fastidio.
Arriviamo a El Acebo, dove la via principale ha un pavimento particolare che mamma ricordava: ci sono sassi colorati incastonati nel suolo, così da confondere gli eventuali "ricordini" del passaggio delle mucche. Ci fermiamo a fare colazione e conosciamo due pellegrini ciclisti spagnoli. Uno di loro parla bene l'italiano perché ha già fatto il cammino a piedi con i suoi amici italiani, che sono la sua seconda famiglia. Dice che il pellegrinaggio in bicicletta offre la possibilità di visitare più luoghi e soffermarti di più sui particolari. E' tutta questione di tempo. All'uscita del paese li vediamo fermarsi a raccogliere qualche fiore da mettere su una lapide di ferro a forma di bicicletta, in ricordo di un pellegrino ciclista morto in quel punto.
Stiamo entrando nella regione del Bierzo, famosa per i suoi vini, come la Rioja.
A Riego de Ambros entriamo nell'albergue per riposarci un attimo e farci mettere il sello. Dentro c'è solo un ragazzo che ci guarda ma non ci considera. Prendiamo qualcosa di fresco nella macchinetta e solo quando mi avvicino per mettermi il sello, scopro che il ragazzo è in realtà l'ospitalero. Ci dice che l'albergue ha solo due anni e che lui è fisso, ma in luglio e agosto arrivano dei volontari ad aiutarlo.
Quando usciamo, mi fermo alla fontana per rinfrescarmi il viso. Mi aiuta il tedesco con le bretelle, che mi tiene schiacciato il pulsante mentre io tengo le mani a mò di bacinella. Purtroppo il getto è violento e il risultato è che alla fine siamo entrambi fradici, mentre il viso è ancora asciutto. Per fortuna il sole picchia.
La strada continua su pietre e terra e la discesa è molto ripida. Fa già molto caldo. Ci hanno detto che siamo quasi sui 40 gradi. Alle 13.30 siamo a Molinaseca: all'entrata del paese un signore già stravaccato per la siesta mi incita a proseguire, dicendo che c'è la piscina. Sul ponte romano vedo un sacco di gente che fa il bagno nel fiume. Ecco la piscina! Che bello! Vorrei andarci anch'io ma prima vogliamo raggiungere l'albergue. Purtroppo è alla fine del paese, a 1,5 km perciò dubito che riuscirò a tornare indietro per fare un tuffo.
Chiediamo un'ospitalità per qualche ora perché nel tardo pomeriggio vorremmo proseguire per Ponferrada. L'ospitalero dice che non può lasciarci il letto perché si aspetta che arrivino molti pellegrini. Riusciamo a strappargli il consenso per fare almeno la doccia.
Ci sediamo al tavolino fuori per mangiare e dissetarci. Dopo poco arriva il tedesco con le bretelle, fa delle gran feste all'ospitalero e poi si siede al mio tavolo con una brocca da mezzo litro di birra. Parla solo tedesco ma riesco a intendere alcune cose: si chiama Rudolph e ha già fatto il camino ben 5 volte. Mi fa vedere la sua credenziale e mi dice che quest'anno vuole arrivare fino a Finisterre.
L'attesa è stancante e il caldo spossa sempre di più. Cerchiamo di passare il tempo lavando i sandali, ma quando andiamo riprenderli, asciutti dal sole, la mamma si accorge che i suoi si sono rotti.
Oggi è sabato: chissà se i negozi sono aperti? Ci converrebbe andare subito a Ponferrada finchè abbiamo ancora qualche ora di tempo. Chiediamo ad alcuni pellegrini spagnoli se secondo loro i negozi di scarpe sono aperti al sabato pomeriggio. Ci dicono sicuri di sì. L'ospitalera non lo sa e suo marito sta dormendo. Le due sorelle giapponesi storgono il naso: a loro sembra strano che sia tutto aperto!
Decidiamo di chiamare un taxi e saltare questi 8 km, per risolvere un problema ben più serio. Non si può certo camminare solo con le scarpe, con questo caldo!
Il saluto con le due sorelle giapponesi sembra l'addio di due fidanzati: arriva il taxi, salutiamo con un cenno della mano e le vediamo sbracciarsi, seguirci con lo sguardo mentre il taxi si allontana. Non mi perdonerò mai di non aver scattato loro una foto!
Il taxista dice che il sabato pomeriggio sono aperti solo i supermercati, quindi gli chiediamo di portarci direttamente all'albergue. Quando scendiamo lui chiede alla mamma se vuole che ci porti in un grande magazzino di zapatos. Ma come? Non erano tutti chiusi? Sto per rispondergli male, ma la mamma mi dice di lasciar perdere. Anche l'anno scorso ne ha incontrati di furbi così, che ti fanno fare il giro della città pur di farti spendere dei soldi.
La rassicuro, dicendo che con una buona colla, glieli sistemo io i sandali.
Infatti affidiamo all'ospitalera i nostri zaini e andiamo diritte al supermercato, dove chiedo alla commessa una "colla mui fuerte".
In albergue ci sistemano in una stanza con tre letti a castello. Anche qui le camere sono separate per sesso. E' un'ottima cosa, così con questo caldo possiamo dormire mezze nude!
Dopo una cena a base di minestrina e prosciutto e melone, ci sistemiamo fuori, con i piedi in ammollo nella fontanella.
Vediamo all'opera la volontaria che cura i piedi:davanti a lei c'è una lunga fila di pellegrini che si fa sistemare le vesciche. Lei lancia dei sorrisi smaglianti ma quando prende il piede fra le mani si trasforma: controlla seria la situazione, apre la sua borsa medica e con grande professionalità estrae aghi, disinfettante e cotone. In un attimo il piede è sistemato e sul suo viso ritorna lo splendido sorriso. Non sempre vedi lo stesso nel pellegrino che è appena stato curato, che si allontana con un espressione mista tra la riconoscenza e l'enorme sofferenza. Mi domando se è il caso di farle vedere la mia piccola vescica. Non mi da molta noia, ma preferirei curarla in tempo. Consulto il dizionario tascabile della mamma e cerco come si dice "consiglio". L'intenzione è quella di non andare sotto i ferri, ma di chiedere solamente cosa devo fare. La sua risposta è rapida: allunga le mani e mi afferra il piede. Mi guarda sorridente e mi chiede se sono una donna "fuerte", mentre con una mano apre la sua valigetta. Con la voce tremante rispondo di sì e mi volto come quando vado a fare le analisi del sangue. Se non guardi, non sai quando arriverà il dolore dell'ago. "Vale!" Il piede è sistemato. Non credevo di essere così fuerte: non ho sentito proprio niente.
Dispiaciute per non aver fatto in tempo a dare il nostro contributo alla scultura di legno, io e la mamma aiutiamo a pulire il terreno dalle scaglie. Si avvicina un ragazzo per ammirare l'opera e la mamma gli chiede se ha partecipato anche lui al lavoro: la sua risposta è fantastica: "Yo soy andalin!"
Partiamo alle 6 e un bel gruppo di pellegrini è già partito, anche se in teoria l'albergue prima delle 6 doveva rimanere chiuso. Dalla finestra vediamo una lunga processione di zaini. Molti però hanno preso la strada verso il supermercato, dritto, mentre le frecce vanno a sinistra.
Non potendo seguire nessuno che conosca la scorciatoia, seguiamo le frecce che ci fanno fare il giro della città, dal castello alla piazza centrale.
Finalmente usciamo dalla città, in compagnia di due americane e una coppia spagnola delle Canarie. Chiacchierando con i due spagnoli, arriviamo ad un punto morto. Non ci sono segnali: andare dritto o voltare? Lo spagnolo chiede informazioni. Lo seguiamo. Ci dice che abbiamo sbagliato strada e che non abbiamo visto un cartello.
In effetti siamo passati sotto un ponte e lì c'era il cartello del paese Columbrianos, ma mentre il ciclista davanti a noi ha seguito la strada per il paese, le americane hanno voltato a destra e tutti noi le abbiamo automaticamente seguite.
Camminiamo lungo la statale fino a raggiungere l'altezza dell'Ermita, dove riprendiamo le frecce gialle. Avremo fatto almeno 2 km in più!
Arriviamo a FuentesNuevas e tutti entriamo nel bar per fare colazione. Prendiamo un caffè, ci facciamo mettere il sello e ripartiamo da sole. Vogliamo evitare a tutti i costi le ore calde. La strada è interna ma molto dura, quasi asfaltata.
Attraversiamo campi di vigneti e ci godiamo le acrobazie delle cicogne in volo e il musino dei piccoli sui nidi. C'è una cicogna grande seguita da un gruppetto di cicogne più piccole. Immaginiamo che facciano "scuola di volo" e mi viene da sorridere ripensando al vecchio albatros di Bianca e Bernie e alle sue tecniche di decollo e atterraggio.
Passiamo Camponaraya e dopo aver attraversato uno spaventoso ponte sull'autostrada, proseguiamo su uno sterrato lontano dalle macchine, fino a Cacabelos dove ci inoltriamo nel paese alla ricerca dell'albergue. Ci fermiamo prima al bar. Due belle tortillas ci ridanno le forze. Ci raggiunge una coppia di pellegrini che ci lanciano lunghi e smaglianti sorrisi. Rispondiamo con altrettanti sorrisi, ma non ce li ricordiamo per niente. Mamma consiglia loro di provare la tortilla. Sono danesi e la signora quando era a scuola ha fatto uno scambio culturale ed è stata a Bologna. Ma pensa!
Le bustine di zucchero hanno disegnate le tappe del Camino. Le guardiamo divertite e ne chiediamo qualcuna ancora intera alla barista. Un gruppo di ragazzi spagnoli in gita (oggi è domenica) ci regala le loro bustine usate, strappate giusto giusto in un angolino. Che carini!
Raggiungiamo l'albergue ma è chiuso. Proseguiamo verso Villafranca.
Purtroppo la strada è quasi tutta sull'asfalto e comincia a far caldo, anche se c'è qualche nuvoletta che non ce lo fa patire troppo. Ci superano le due coppie tedesche e poco prima di raggiungere la deviazione per il pezzo finale sullo sterrato, troviamo un po' d'ombra e ci sediamo sul ciglio della strada. Dopo un po' ci raggiunge la tipa che stanotte dormiva sopra la mamma. Anche lei si siede all'ombra, poco più in là, e dopo i saluti, resta per i cavoli suoi.
Lo sterrato comincia con una ripida salita sotto il sole: stringiamo i denti perché fa molto caldo.
Ci raggiunge la ragazza e si affianca per fare due chiacchiere. Parla un inglese difficilissimo da capire. Si mangia quasi tutte le parole. E' irlandese. Pensavo fosse americana. Lei mi chiede: "e tu? Francese?" E dàje! Le rispondo che un sacco di gente mi prende per francese e non ne posso più!
Sorpassiamo il primo albergue, quello municipale, dove riconosciamo alcuni pellegrini, già intenti a stendere i loro panni. Salutiamo lo spagnolo piccolino con gli occhiali.
Andiamo al secondo albergue, accanto alla cattedrale. Ci facciamo mettere il sello e prendiamo da bere alla macchinetta. Io sono talmente stanca e accaldata che non ho nessuna voglia di muovermi. Vorrei prendere una birra per dissetarmi, ma, dato che dobbiamo continuare, la mamma me la sconsiglia. Mi bevo una Coca Cola e me ne pento subito. Odio le bibite gassate!
La mamma va a prendere il sello nell'albergue municipale. Io resto ad ascoltare le chiacchiere dell'ospitalero con due ragazzi brasiliani che hanno cominciato oggi il camino e Lula, l'irlandese, che chiacchiera con un signore inglese appena conosciuto. Lula si ferma in quell'albergue.
Noi facciamo scorta di acqua e ripartiamo. Sono le 13.30 e il caldo è insopportabile, ma vogliamo arrivare al prossimo albergue. La strada è tutta sull'asfalto e corrisponde alla statale, ma per fortuna hanno messo un divisorio di cemento di protezione proprio per i pellegrini. La strada fiancheggia il fiume, e il caldo sembra ancora più insopportabile a sentire il rumore dell'acqua e non poterne godere la freschezza. Purtroppo non ci sono sbocchi per raggiungerlo. Passiamo sotto diversi ponti dell'autostrada e almeno ci riposiamo all'ombra.
Siamo oltre la metà, quando alla mamma comincia a far male la caviglia. Ci fermiamo e se la massaggia ma è molto preoccupata perché è la caviglia che si è storta l'anno scorso. Procediamo piano e facciamo tanti piccoli riposini, ma per fortuna siamo quasi arrivate.
L'albergue è aperto, ma l'ospitalera ha lasciato un biglietto dicendo che è andata a pranzo. Nella prima stanza ci sono diversi pellegrini a letto, fra cui anche i nostri amici tontoloni. Preferiamo salire nella camera al primo piano (mamma conosceva già l'albergue dall'anno scorso). Lassù i letti sono tutti vuoti tranne uno con una francese che russa. Deve essere molto stanca. Speriamo che russi solo di pomeriggio - pensiamo.
Mentre la mamma dorme scendo per andare a lavare i panni. Nel giardino c'è un bel lavatoio, che però è completamente vuoto e pieno di api. Spero che non sia pericoloso. Ci metto un po' per capire che per far uscire l'acqua dal tubo devo schiacciare un pulsante che si trova proprio sotto i miei piedi. Che cosa strana! Lavo i panni alla bell'è meglio, un po' per non sprecare acqua, un po' perché ho paura di disturbare le api che per ora si lasciano innaffiare tranquille.
Mi sento un po' in imbarazzo perché mi sento osservata da un signore spagnolo ed una ragazza tedesca, seduti in giardino a riposare. La tedesca sta prendendo il sole. Le chiedo se non le fa caldo, ma dice che le piace così. Bah! Io sto facendo una sudata incredibile a lavare 'sti du' stracci! Vorrei lavare anche le cose della mamma, ma si è addormentata e non voglio disturbarla.
Ad un certo punto arrivano tre ciclisti e si fermano lungo la strada, davanti all'entrata dell'albergue. Uno di loro mi urla qualcosa. Mi hanno scambiata per l'ospitalera e mi chiedono se possono prendere da bere. Rispondo che non sono l'ospitalera e che non so se sia potabile l'acqua del lavatoio. Intanto si avvicinano. Sento il signore spagnolo che risponde, come fra sé e sé, "sì, sì, potabile!". Vengono a riempire le borracce e intanto mi chiedono se sono inglese? Francese? spagnola? Quando rispondo italiana, mi fanno delle gran feste. Chiedo loro se stanno andando a O Cebreiro. Stanno tornando indietro da Santiago.Tornano in Germania. Si rimettono sulla statale, passando direttamente dal giardino, con la bici in spalla (comodo!).
Torno in camera e faccio un massaggio alle gambe alla mamma. Deve essere stato un problema di circolazione perché le fanno male tutte le gambe, ma non è un problema muscolare. Le consiglio di farci una doccia per rinfrescarsi.
La caviglia però è ancora dolorante. Quella sicuramente non è dovuta al caldo... Le dò un pezzo della benda elastica.
Comincia a piovere e corriamo (si fa per dire) a ritirare la roba stesa. Per fortuna su al primo piano c'è una terrazza con dei fili per stendere.
Arriva l'ospitalera e ci chiede se ceniamo lì. La cena la prepara lei. Saremo quasi una ventina. Per fortuna la maggior parte dei pellegrini si sono sistemati nella camera a piano terreno. Questa notte non dovremmo essere disturbate dai roncadores.
La tavolata in mansarda è bellissima. Aiutiamo perlomeno ad apparecchiare. Il gruppo è misto, sia per età che per lingua, ma ognuno di noi riesce a trovare interesse per almeno uno di tutti i discorsi che nascono durante la cena. Il vino, apprezzato da tutti, anche se non è un gran chè, aiuta nel dialogo, tant'è che anche i tontoloni riescono a raccontarci di aver visto diverse opere liriche all'Arena di Verona.
Finita la cena noi fumatori andiamo a goderci qualche boccata in giardino. Poi tutti a nanna.
La sveglia suona alle 4.30, come deciso. Io sono già sveglia perché nell'ultima ora sto starnutendo di brutto. Dev'esser stato il vino di ieri, che abbassa le mie difese all'allergia.
Mamma è andata a dormire per terra in sala, perché la francese russava. Mi sono spaventata quando stanotte rigirandomi non l'ho più vista. Credevo che si fosse sentita male. Andandola a cercare in bagno, tra un po' la calpestavo!
Partiamo alle 5, insieme alla coppia spagnola, Carmen ed Enrique, che vanno più veloci, ma ad ogni incrocio ci aspettano, forse per essere sicuri della strada da imboccare. Eppure la segnaletica è buona.
Mamma va molto piano, la caviglia le fa ancora molto male e soprattutto non vuole caricarla troppo.
Camminiamo ancora lungo la statale protette dai divisori in cemento. Almeno così siamo sicure, dato che le macchine sfrecciano ad una velocità incredibile anche col buio.
A Trabadelo dobbiamo deviare all'interno per attraversare tutto il paese, cosa inutile dato l'orario che non ci fa trovare nessun bar aperto. Probabilmente abbiamo anche allungato la strada, forse lungo la statale sarebbe stata più corta, ma il muretto protettivo non c'era più, a testimonianza che sia stato messo lì apposta per i pellegrini.
Alla località La Portela c'è un grosso benzinaio, con un bar altrettanto grande. C'è tanta confusione e così prendiamo solo un caffè e ripartiamo.
Nonostante il problema fisico della mamma, il ritmo è buono, quasi 5 km/h ed io insisto con mamma che possiamo anche rallentare un po'.
Ad Ambambestas vediamo il rifugio proprio sulla strada. Purtroppo è tutto chiuso e anche bussando non risponde nessuno. Peccato. Comunque dietro c'è la porta dei bagni aperta e ne approfittiamo.
A Vega de Valcarce facciamo una sostanziosa colazione, con pane formaggio e prosciutto. Non so come, ma ho una fame da lupi. Meglio così, dato che ci aspetta una bella sfacchinata. Mamma per fortuna ha deciso di farsi portare lo zaino in macchina fino a O Cebreiro, così può camminare sforzando meno la caviglia. Anche Carmen ha fatto la stessa scelta: anni fa si è rotta una caviglia e ne sta ancora soffrendo.
Per il prezzo rimaniamo sorprese: l'anno scorso mamma ricordava un prezzo di circa 5 euro e si aspettava un piccolo aumento. Quando il signore chiede solo 2 euro ne siamo tutti compiaciuti. E' anche vero che siamo in giugno e non in agosto...
Arriviamo a Las Herrerìas e fotografo un gruppo di asinelli stupendi. Finalmente lasciamo la statale e ci inoltriamo nel paesino e in mezzo ai boschi. La strada è sassosa e comincia anche ad essere ripida, ma andiamo piano e la fatica ancora non si sente. Il mio ginocchio brontola un po' ma è fasciato e non mi da molta noia. Il tempo passa ma sembra di non arrivare mai. Salendo, il bosco si dirada sempre più e si comincia a vedere un paesaggio montano.
Arriviamo al paese La Faba e ci resto molto male perché credevo di averlo già superato da un pezzo. Questo significa che per O Cebreiro ci mancano ancora 5 km!
Ci rinfreschiamo alla fonte e vado a cercare l'albergue per il sello. Giro un po' di qua e di là per il paesino ma non riesco ad orientarmi, così rinuncio per non sprecare le energie.
Comincia a far caldo e a picchiare il sole. Ci mettiamo i cappelli di paglia e ripartiamo. Ormai i nostri amici spagnoli li abbiamo persi avanti e cominciano a superarci anche alcuni pellegrini provenienti da Villafranca del Bierzo.
Il paesaggio si fa sempre più montano. La guida dice che O Cebreiro non si vede, ma si "intuisce". Scherzando dico che sarà sicuramente dove c'è l'unica nuvoletta di Fantozzi, laggiù in fondo. Mamma dice di no perché le sembra troppo lontano. Finalmente si intravede l'ultimo paese. Ci rinfreschiamo alla fonte ma veniamo circondate da un branco di pecore che prendono il nostro posto e ci costringono ad allontanarci. Però scatto loro una bella foto. I due pellegrini che erano con noi alla fonte proseguono e spariscono all'orizzonte. Riprendiamo la strada, che va proprio verso la nuvola. Scatto una foto per i bellissimi giochi di luce e ombra. Sarà difficile che renda l'idea...
Entriamo nella nuvola: c'è un gran vento e forte umidità. La strada gira tutt'intorno al monte. Il vento umido ci ghiaccia addosso la maglietta ancora bagnata di sudore: si muore dal freddo. Chi l'avrebbe mai detto?
A O Cebreiro il nuvolone è fitto fitto. Non si vede proprio niente. Tantomeno mi possono vedere gli amici che sono su internet sulla web-cam. Provo a descrivere il mio abbigliamento e mi metto a mo' di statuina con le braccia alzate, ma immagino che sia un vero problema riuscire a distinguermi. In più ci si mette anche la cima di un albero a coprire in parte la visuale. Per fortuna sono la sola lì davanti. In effetti i pellegrini che passano stravolti per entrare in albergue mi guardano increduli.
Mamma va a ritirare lo zaino e ci rifocilliamo in un bar, dove ne approfittiamo anche per cambiarci i vestiti sudati che con questo vento gelido ci stanno facendo morire dal freddo. Io mi sento stanchissima. Lascio andare la mamma da sola a prendere i selli dell'albergue e della chiesa. Torna con 4 selli a testa! Che belli!
Riscaldate e a pancia piena, decidiamo di ripartire. Purtroppo mi perdo la visita a questo paese così caratteristico. D'altronde fa troppo freddo, pioviggina e non si vede proprio nulla!
Per sicurezza decidiamo di non cercare il percorso sul sentiero, ma di fare la statale, certamente più sicura con questo nebbione. Ci segue un ragazzo che sembra inglese, dato che lo parla perfettamente. Scopriamo invece che è tedesco, ma ha la mamma inglese. Facciamo due chiacchiere, poi accelera e ci semina.
Cominciamo a scendere e la nebbia si dirada un po'. Facciamo dei pezzetti di strada sterrata e anche un Alto, ma ritorniamo sempre sulla statale.
Finalmente arriviamo ad Hospital De Condesa. C'è l'indicazione dell'albergue su per una ripida salita. Salgo ma vedo solo case di contadini e stalle. Vado a chiedere ad un contadino e mi indica l'albergue che è proprio lì accanto. L'indicazione era giusta, bastava guardare un po' più in là del proprio naso...
All'entrata ci sono diversi pellegrini in attesa. L'albergue è allagato e dobbiamo aspettare che gli idraulici riparino il guasto.
Conosco una pellegrina dell'età della mamma. Margherita è tedesca ma parla molto bene inglese. Le spiego che la mamma ha una caviglia dolorante e lei propone la terapia del calore: prende la caviglia della mamma fra le mani e sembra che piano piano funzioni.
Scopriamo che in paese non c'è nulla, nessun bar, nessun negozio. Noi siamo convinte che l'ospitalera prepari la cena, ma tutti ci smentiscono e così comincio a preoccuparmi, dato che abbiamo solo un pezzo di pane. L'abbondante colazione e il lauto pasto mi hanno aperto lo stomaco: sono solo le 4 ma sento già i morsi della fame.
La figlia dell'ospitalera che sta seguendo il lavoro degli idraulici ci conferma che non c'è nulla e che eventualmente possiamo chiedere a qualche contadino.
Andiamo a fare un giro per il paese ma non riusciamo a trovare nessuno che ci possa vendere un po' di frutta o della uova. Chi ci rimanda alla casa accanto e chi dice che ha solo il cibo sufficiente per sé.
Torniamo all'albergue. Io sono molto demoralizzata, perché sono molto stanca, ho preso tanto freddo e al pensiero di saltare la cena mi viene quasi da piangere.
Piccola consolazione: il guasto è stato riparato e possiamo salire a riposarci. Mi sdraio sul letto, lamentandomi con la mamma su come faremo a reggere a stomaco vuoto per tante ore. Vedo un gruppo di ragazzi che si incamminano verso Liñares, il paese a 3 km dove c'è un piccolo alimentari. Mi piacerebbe seguirli ma proprio non ce la faccio. Margherita cerca di rassicurami dicendo che possiamo radunare tutto quello che abbiamo e condividere il cibo. Con questo bel pensiero, crollo in un sonno profondo.
Mamma mi sveglia dopo un'ora circa e mi dice che i ragazzi hanno fatto la spesa per tutti e che sono giù in cucina a preparare.
Ci sediamo a tavola che è tutto pronto: hanno preparato pasta, insalata, uova strapazzate, riso. C'è pane e anche un po' di vino. Le stoviglie sono state inventate alla bell'è meglio, con coperchi di pentole e accessori vari.
Mangio in silenzio e a testa bassa perché mi sento in imbarazzo per non esser riuscita ad apprezzare questo bel gesto. Mi sento in colpa, ma la stanchezza mi ha annebbiato tutti i pensieri e mi sento molto confusa.
Mamma cerca di imbastire dei discorsi, ma quasi nessuno raccoglie: si vede che la stanchezza ha preso proprio tutti. Solo un ragazzo francese molto carino si lascia coinvolgere. Concludiamo la serata lavando i piatti e pulendo la cucina insieme a lui. Con grande piacere della mamma ci canta qualche canzone di Jacques Brel e ci fa divertire con la sua versione personalizzata di "Oh, when the saints... to Santiagó...".
Stanotte ho dormito molto profondamente. Mi sveglio per i rumori dei due tontoloni che si stanno preparando. Fuori tira un gran vento, tuona e lampeggia. Dico alla mamma che forse è meglio partire un po' più tardi, e mi rigiro nel calduccio del sacco a pelo.
Ci alziamo verso le 6 e portiamo gli zaini giù in cucina per non disturbare. Salutiamo i tontoloni che stanno partendo per Sarrìa. Ci dicono che ci prenotano i letti ma noi non siamo sicure di riuscire ad arrivare fin là.
Scendono anche Margherita, Rosemary e la ragazza danese. Offriamo un bustina di Nescafè.
Partiamo alle 6.40. E' molto coperto ma per fortuna non piove.
Facciamo l'Alto do Poio ed arriviamo stremate al bar in cima, dove ci fermiamo a fare una veloce colazione. Ci tocca constatare la poca gentilezza delle bariste. Ne rimaniamo un po' stupite dato che per tutto il camino l'accoglienza è sempre stata molto calorosa. Sarà un caso.
Cominciamo a scendere lungo strade di campagna. Attraversiamo il piccolo paese di Fonfrìa che ci accoglie con una scena fantastica: alcune mucche stanno rientrando dal pascolo nella stalla. Sono sulla nostra strada e così ci fermiamo a guardarle mentre vengono verso di noi, che siamo proprio accanto alla casa del contadino. Stanno in fila indiana e camminano lentamente, rassegnate per la fine dell'ora d'aria. Un cane le osserva tranquillo ma attento. Le mucche si distribuiscono a destra e a s sinistra, evidentemente in direzione di due stalle distinte. Ad un certo punto vediamo una mucca puntare verso una porta chiusa. Prova a spingerla col muso, ma niente, così decide di ritornare sui suoi passi e ritornare nel campo. Il cane la raggiunge e le abbaia. La mucca sembra far finta di niente, ma il cane alza il tono e così le tocca fermarsi e tornare verso la stalla. Ci va però con troppa calma e così il cane senza smettere di abbaiare allunga il muso verso la zampa e tenta di morderla. La mucca fa un salto da ballerina professionista e, schivando il morso, si tuffa in un lampo dentro la stalla.
La scena è ancora impressa nella mia mente come se fossi ancora lì, ma non riuscirò mai a trovare le parole più adatte per descrivere la bellezza di quel salto e lo stupore che ci ha lasciato.
Dopo un attimo arriva il contadino ed apre la porta della seconda stalla che la mucca aveva tentato di aprire. Poverina, allora aveva proprio ragione lei! Un punto in più per la mucca!
Il cane intanto, tutto ringalluzzito, completa lo smistamento delle altre mucche e va a prendere i complimenti del padrone, che si traducono in poche pacche sul dorso.
I chilometri seguenti passano in un lampo, anche se da quando siamo entrate in Galizia, ogni 500 metri c'è un cippo che indica i chilometri che mancano da Santiago.
A Viduedo ci fermiano al bar per una colazione più sostanziosa: tortilla e formaggio. Incontriamo anche Margherita che proseguirà verso il monastero di Samos. Non è lungo il camino ma molti pellegrini scelgono questo percorso per vivere l'atmosfera del convento almeno per una notte.
Proseguiamo molto lentamente fino a Triacastela. Nel frattempo mi è venuta acidità di stomaco e vedere l'albergue chiuso mi toglie anche la soddisfazione del sello. La mamma dice che c'è l'ha nella sua credenziale dell'anno scorso, ma non è la stessa cosa. Attraversiamo il paese ed entriamo nel primo supermercato (e forse unico) che incontriamo. Compriamo la cena per stasera, dato che nell'albergue ci sarà la cucina ma nessun negozio d'intorno. Impariamo in fretta!
Ci fermiamo ad un bar e questa volta sono io che, invece della solita birra, prendo un tè caldo. La mamma compensa ordinando un Martini. "Para caminar!", sorride la barista.
Si riparte, direzione Calvor, 14 chilometri. Superato San Xil incontriamo un altro gruppo di mucche al pascolo e si verifica un'altra scena incredibile. Le mucche si stanno immettendo sulla strada, seguendo la contadina. Un cane le segue per tenerle raggruppate. Ci fermiamo aspettando che passino tutte, ma una delle ultime si ferma a guardarci incuriosita. Preparo la macchina fotografica e scatto una foto proprio nel momento in cui il cane pastore le abbaia sul muso per dirle di sbrigarsi.
Comincia l'Alto de Riocabo e la salita si fa faticosa. In cima ci riposiamo sul ciglio della strada e la mamma è talmente stanca che si addormenta per 5 minuti. Si sveglia e mi chiede spaventate quanto ha dormito, come se fossero passate delle ore. Io nel frattempo ho preso freddo e comincio a starnutire.
Comincia la discesa e per infonderci energia comincio a cantare a squarciagola "L'isola che non c'è". Ci sfreccia accanto un ciclista a tutta velocità e per fortuna l'avevamo visto in tempo e riusciamo a metterci sul lato della strada. Riprendiamo a cantare e ci riappropriamo della strada, quando poco dopo mi volto e vedo un secondo ciclista che ci sta venendo addosso. Dico alla mamma di spostarsi in fretta verso il ciglio della strada. Istintivamente viene verso di me, attraversando tutta la strada e vedo il ciclista che si attacca ai freni, dirigendosi proprio verso di noi.
All'ultimo momento svolta e ci supera. Gli urlo: Parla! Abla! Testina! Coglione!
E man mano mi sale la rabbia. Vorrei averlo tra le mani! Ormai ce lo sentivamo addosso!
Non si può correre con la bici a tutta birra per una discesa, senza avvisare i pellegrini che ti sono davanti!
Mamma mi chiede di riprendere a cantare, ma non ci riesco. Non riesco a smettere di parlarne.
I chilometri passano lenti. Il paesaggio è piacevole ma camminando piano il peso dello zaino si fa sentire e cominciamo ad essere molto stanche. D'altronde mamma non può accelerare.
Al km 120 facciamo un'altra pausa. Dobbiamo arrivare al cippo 114. Mancano ancora 6 km, mentre mamma pensava ne mancassero solo due o tre. Guardo sulla cartina e noto che facendo la statale potremmo accorciare un po' e così evitiamo di entrare negli ultimi due paesi e camminiamo sull'asfalto.
Ci siamo quasi e cominciamo a sentire le prime gocce di pioggia. Mamma dice che siamo arrivate, perché intravede da lontano l'albergue.
L'ospitalera non c'è: ha lasciato un biglietto dicendo di scrivere il proprio nome. Ci mettiamo il sello e prendiamo posto. Ci sono due stanze, abbastanza vuote.
In bagno le docce sono "sin cortina", senza tende, quindi costringo mamma a venire a farla con me, lasciando gli uomini ad aspettare il loro turno.
In cucina c'è la lavatrice e l'asciugatrice. Tutto dentro e via, anche la roba di ieri che era ancora fradicia di sudore da O Cebreiro. Ieri, in albergue, non abbiamo fatto neanche la doccia!
Alle 18.30 ceniamo con una pastina schifosa che mangio solo io e il formaggio avanzato che mangia mamma. Per le 19 il tavolo è libero per tutto il gruppo di spagnoli che man mano sono arrivati. Insieme all'artista austriaco, siamo le uniche straniere.
Ci facciamo una camomilla e valutiamo le prossime tappe. Contiamo di arrivare a Santiago domenica prossima.
Notte di sonno un po' turbolento. Alle 2 di notte ho sentito gente muoversi. Credevo fosse qualcuno che partiva ma era troppo presto. Per me gli spagnoli sono stati alzati fino a tardi... O forse ho sognato. Mi son svegliata sudatissima ed ho tolto il maglione. Che sauna!
Alle 5.20 suona la sveglia: pronte! Siamo riposate e pronte per partire. Ci prepariamo in cucina e facciamo anche colazione con Nescafè e biscotti. Usciamo. Non fa tanto freddo ma sembra coperto. Ci si vede appena. Sono le 6.20. Il paletto indica 116 km a Santiago, località Aguiada. Per Portomarin arriveremo ai 90 km, quindi ci sono circa 26 km da fare.
Cominciamo a percorrere uno sterrato che costeggia la strada; a volte il sentiero prende dei saliscendi assurdi, e sarebbe quasi meglio seguire l'asfalto. Vabbè.
In un'ora siamo a Sarrìa. Nella periferia vedo delle vecchie case, che sono state occupate. Hanno dei manifesti attaccati dappertutto, contro lo sfruttamento del camino da parte del Comune. Faccio una foto. Raggiungo mamma sul ponte e faccio una foto anche alle oche che sono appena entrate in acqua. C'era un cartello che indicava l'albergue ma ancora non si vede. Ad un certo punto c'è un bivio. Girare a destra, o proseguire in salita lungo le scale? Scegliamo le scale per un riposino. Forse l'albergue era lì dietro, girando a destra, perché proseguendo non lo incontriamo, anzi si esce subito dalla città. Incrociamo pellegrini mai visti.
Il paletto indica 111 km.
La strada prende la via dei boschi e attraversiamo una ferrovia. A questo punto la mamma si fa fare una foto.
Arriviamo ad un mini paesino. C'è un bar e ci fermiamo. La barista saluta a stento. Noto che da quando siamo in Galizia non c'è molto entusiasmo per i pellegrini, a parte i contadini sempre molto gentili.
Proseguiamo per Brae, dove c'è il famoso paletto dei 100 km. Poco prima mi fermo a salutare una mucca al pascolo che si trova proprio vicino al sentiero. Mi passa accanto Nicolàs, come un fulmine e mi dice "una vaca de leche!" ed io, col mio spagnolo ormai sicuro, rispondo "Se nota!".
La vaca de leche si avvicina ad un piccolo stagno dove una ranocchia sta gracchiando a squarciagola. Avvicina il muso verso l'acqua ed io grido "No!". La mucca mi guarda per un breve istante, giusto in tempo per far scappare la malcapitata ranocchia. Posso riprendere a camminare tranquilla...
A Brea rinunciamo alla foto col famoso paletto degli ultimi 100 km, perché è pieno di scritte e scarabocchi. E' un vero peccato. Ci consoliamo con una colazione a base di pane tostato e olio e una bottiglietta di sidro, che scopro non piacermi.
Riprendiamo il cammino. Io vorrei che mamma prendesse una macchina perché sono preoccupata per la sua caviglia, ma prima di Portomarin non si trova nulla. Lei tiene duro. A volte mi dice che non le fa male, ma non so se lo fa solo per rassicurarmi. Si aiuta con entrambi i bastoni, tanto che in un minuscolo paesino una contadina, vedendomi senza, me ne vuole vendere uno dei suoi e ci rimane male quando le rispondo di no.
Alle 14.30 siamo a Portomarin. Sarò stata condizionata dalla mamma, ma è veramente un posto orrendo. Attraversiamo il ponte, arriviamo in cima ad una lunga salita e arriviamo all'albergue che ha solo due posti. Li occupiamo al volo perché sta arrivando gente. Mamma si riposa ed io vado al bar all'angolo: birra grande e pacchetto di patatine, dato che per il resto il bar mi sembra sporchino.
C'è una vecchietta al banco con una faccia un po' annoiata, che chiacchiera con due avventori. Quando i due signori si alzano per andare via, lei li saluta con un "Ciao" e allora colgo l'occasione per socializzare, sottolineando che "ciao" è il saluto italiano. Le mi risponde, scocciata, che lo si dice in tutto il mondo. Non replico e rigiro lo sguardo alla tv, che trasmette i Simpson.
Porto un succo di frutta alla mamma e mi stendo un po' sul letto a castello. I materassi sono umidi del sudore di tutti i pellegrini passati e la stanza è sporca e stracolma di letti.
Riposare è difficile, dato il concerto dei pellegrini che ronfano anche a quest'ora del pomeriggio, così mi dedico al massaggio di gambe e piedi. Sotto di noi c'è una coppia di svedesi. Ci scambiamo qualche frase in inglese ed io per cortesia dico a lui che mi piacerebbe visitare la Svezia. A quel punto lui mi attacca una pezza di 5 minuti sulle passeggiate da fare nel suo paese, senza notare il mio disinteresse e le mie difficoltà nel comprendere il suo inglese.
Alle 17.30 decidiamo di ripartire: facciamo un salto in farmacia e al supermercato, poi la mamma prende un taxi ed io proseguo a piedi. Appuntamento a Gonzar, fra 8 km.
Cerco di trovare un passo rapido, ma l'uscita dalla città è in salita e vado pianino. Poi comincia uno sterrato che costeggia la statale e comincio ad accelerare. Supero un pellegrino che era partito poco prima di me. Guardo l'orologio, mi confronto con i cippi chilometrici e vedo che il passo è di 5km/h. Bene. Ormai ho preso il ritmo e non sento fatica. Mi concentro sull'andatura anche perché non c'è molto da vedere. In un boschetto vedo una ragazza seduta sul ciglio del sentiero che legge. Quando passo mi offre dei biscotti. La ringrazio e le chiedo se va a Gonzar. Si. Allora: "Hasta luego!"
Alle 19.10 arrivo all'albergue. Mi sembra molto affollato. C'è un tipo che sta scrivendo i nomi sul libro dell'albergue. Chiedo ma lui non è l'ospitalero.
Mi chiede se sto cercando posto per dormire. "Veramente sto cercando mia madre". Mi risponde di cercare il giro, al piano di sopra o al bar. Sto per uscire e andare al bar, quando una signora sulle scale mi dice che su al primo piano c'è una signora che mi assomiglia molto. Infatti subito dopo sento la voce della mamma che mi chiama.
Mi fa vedere la sistemazione che ha trovato: ha messo i materassini per terra, di fronte alla porta del bagno perché l'albergue è completo. Lo spagnolo piccolino le ha detto che forse ci sono altri posti ma lei non ha capito bene e lui le ha detto che avrebbe parlato con me.
Finita la doccia infatti viene da me e mi dice di seguirlo. Mi porta dietro al bar e mi fa vedere dentro un garage aperto che ci sono 4 vecchi letti con dei materassi fradici di muffa.
Lui si è già sistemato lì.
Porto la mamma a farle vedere il posto... Bè, sarà sempre meglio che dormire davanti alla porta del bagno, dove si è già formata una pozza enorme, dopo il primo giro di docce.
Ci spostiamo nel garage e cominciamo a sistemare i sacchi a pelo su un letto matrimoniale. Stendiamo tutti i teloni a nostra disposizione per isolarci dall'umidità del materasso e sistemiamo gli zaini.
Vado in bagno desiderosa di una bella doccia calda. Mi spoglio incurante della mancanza delle tende e anche di qualsiasi chiave per chiudersi dentro. Per fortuna evito di insaponarmi prima di scoprire che l'acqua è completamente gelata. Mi lavo al volo, tremando davanti al lavandino, dando alle spalle alla porta per fare il meno pubblicità possibile...
Per cena, seduta per terra davanti al garage, apriamo una scatola di ceci e ci addentiamo pane e formaggino, cercando di tenere alla larga un bellissimo pastore tedesco che si avvicina più incuriosito che affamato.
Vado nella cucina dell'albergue per lavare la ciotola presa in prestito e noto che è vuota. Tutti i pellegrini che si erano sistemati lì per la notte, se ne sono andati. Non faccio in tempo a dirlo alla mamma che raccogliamo tutte le nostre cose e ci trasferiamo, spostando tavoli e sedie per guadagnarci un angolino.
Ci segue un ragazzo spagnolo, anche lui dal garage, e si sistema sopra i tavoli.
Sicuramente il giaciglio sarà molto duro, ma fuori cominciava a minacciare pioggia. Almeno qui saremo all'asciutto!