http://www.ggalli.it/pag_2.htm
Terrorismo Due bombe ETA al santuario
Tanto per cominciare bene il viaggio, e per far sapere anche ai pellegrini che l'ETA è ancora attiva...
(strano che non ci abbiano pensato anche quelli di Al Qaeda: San Giacomo è detto anche 'Matamoros' ed è raffigurato sul frontone della cattedrale di Compostella con due mori ai piedi)
Quello che segue è il diario tenuto durante il viaggio da Milano a Roncisvalle in treno e in taxi, da Roncisvalle a Santiago di Compostella a piedi e da Santiago a Milano in aereo. Ho apportato soltanto alcune correzioni minori all'originale, laddove il testo poteva risultare poco chiaro al lettore o dove la rilettura ha evidenziato errori troppo vistosi. Le eventuali note a chiarimento del testo aggiunte dopo il ritorno a casa sono in corsivo.
Giovanni Galli
Dunque parto per la grande avventura del Cammino di Santiago; parto dopo tante esitazioni, dopo aver studiato il percorso quasi dieci anni fa in un'edizione ridotta per conto di Trekking Italia, opo averne parlato in una delle prime lezioni all'Università della Terza Età di Sesto San Giovanni e, appunto, dopo molte esitazioni, perché avevo paura di sentirmi un po' come un pesce fuor d'acqua.
L'Ufficio Spagnolo del Turismo di Milano mi fornisce una ricca guida sulle varie tappe del Cammino;a una prima lettura risulta che ci sono una miriade di "alberghi del pellegrino" disseminati lungo il percorso, senza contare gli alberghi veri e propri e gli hostal, delle specie di ostelli o locande, non si capisce bene, anch'essi numerosi. Ciò rende più facile ritagliare le tappe secondo la propria misura.
Scarto, dopo averla considerata seriamente, l'idea di percorrere il Cammino in bicicletta; troppo pericoloso (anche se, con il senno delle prime quattro tappe, devo dire che il traffico sembra abbastanza ridotto) e poi, vuoi mettere il piacere di andare a piedi?
L'allusione apparentemente incongrua alle prime tappe si spiega con il fatto che la stesura del diario è iniziata alla fine della quarta tappa, a Logroño. Durante le prime tre tappe non avevo avuto il tempo o l'agio di scrivere.
Così, giovedì parto in treno diretto a Baiona, dove conto di prendere un taxi per Roncisvalle, punto di partenza della parte spagnola del Camino francés, uno dei tanti percorsi che confluivano a Santiago da ogni parte d'Europa, a sua volta diviso in quattro vie principali: la Via Turonensis da Tours, la Via Podacensis da Puy-en-Vélay, la Via Limoviciensis' da Limoges e la Via Tolosana.
Il viaggio da Milano a Nizza è comodo e il treno è puntuale. Parto alle 3:10 e arrivo alle otto in punto, con tutto il comodo per cenare, acquistare il biglietto per Baiona e per prenotare la cuccetta: il treno per Irùn parte due ore dopo, alle dieci.
Notte così così per via del caldo nello scompartimento e per via di un russatore di prima forza, che forse avrò ricambiato, chissà.
Inauguro il portadocumenti a prova di ladro che Bianca mi ha acquistato; ma di furti non ne vengono segnalati.
Insieme con me viaggiano cinque salernitani diretti a Lourdes, con i quali chiacchiero prima della partenza del treno; li rivedo venerdì mattina alle otto quando, il treno arriva nella stazione dei miracoli.
Il treno arriva a Baiona puntualissimo, alle dieci in punto: non un minuto di ritardo!
Per scrupolo, vado all'Ufficio Informazioni, dove mi dicono che fino al 31 agosto c'era un treno alle undici per Saint-Jean-Pied-de-Port, dove avrei potuto trovare un taxi o un passaggio per Roncisvalle, ma che adesso il primo treno è alle 15:30, come del resto mi avevano già detto a Milano.
Saint-Jean-Pied-de-Port è il paese ai piedi del Puerto de Ibarreta, il valico che unisce il versante francese a quello spagnolo dei Pirenei. Si chiama così perché si trova ai piedi del 'port', 'puerto' in spagnolo. Puerto è un nome curioso per un valico di montagna, perché in spagnolo 'puerto' indica anche il nostro porto marittimo; ma così è, e a noi non resta che prenderne atto.
Vado quindi alla fermata dei taxi; mentre sto contrattando il prezzo della corsa per Roncisvalle, arriva un tipo con un borsone. È un italiano, arrivato con il mio stesso treno, nel borsone ha una bicicletta smontata ed è diretto a Saint-Jean. Gli propongo di andarci insieme dividendo il prezzo della corsa; poi io proseguirò per Roncisvalle da solo.
Proposta accettata, partiamo alle 10½ e a mezzogiorno sono a Roncisvalle, alla partenza del Cammino. Anche il mio socio va a Santiago, ma sarà difficile che ci si incontri ancora, perché nelle prime tappe pedoni e ciclisti seguono due percorsi abbastanza diversi.
A Roncisvalle c'è una grande abbazia, molto austera e 'pietrosa', senza orpelli né decorazioni. Forse meriterebbe una visita, ma sarà per un'altra volta. Lo stesso vale (sia detto per inciso e una volta per tutte) per le città e le chiese incontrate lungo il Cammino, che ho visto quasi sempre dall'esterno.
Vado a farmi dare la Credenziale, strumento indispensabile per dormire gratis o quasi negli alberghi del pellegrino, o albergue come si chiamano in spagnolo, e per ottenere la Compostela una volta arrivato a Santiago, se mai ci arriverò.
La signorina addetta alla consegna delle Credenziali mi fa compilare un foglio informativo sul quale devo dichiarare a quale confessione religiosa appartengo: sorprendentemente, dopo le voci 'cattolico', 'protestante' e 'altra religione', c'è anche la voce 'sin religiòn', senza religione, che scelgo con qualche imbarazzo, perché cosa mai ci fa un ateo in pellegrinaggio?
La ragazza però non fa una piega e mi dà ugualmente la Credenziale, al modico costo di 1 €.
Una volta uscito dall'abbazia, mi ricordo una famosa battuta di Cochi Ponzoni, il socio di Renato Pozzetto: "E allora anche i poveri andranno a Marrakesh!" e la adatto al mio caso dicendo tra me e me: "E allora anche i miscredenti andranno a Santiago!"
Battute a parte, adesso è ora di muoversi. Prendo due panini con un cappuccino al bar, fotografo il cartello segnaletico di Orreaga/Roncesvalles e alle 12:40 parto per la prima tappa, diretto a Larrasoaña.
Nella Navarra, prima regione attraversata dal Camino de Santiago, si usano due lingue, lo spagnolo e il basco. Orreaga è il nome basco della località di Roncisvalle. In verità io ho sentito parlare soltanto lo spagnolo; forse il basco si parla in zone che non ho attraversato.
Il percorso è ondulato, in pratica un su e giù per colline di altezza modesta che però, sommate tutte insieme, fanno un bel dislivello. A giudicare dal profilo altimetrico, sarà così anche nelle tappe successive (scrivo queste note martedì, dopo la quinta tappa), con qualche eccezione.
Fa caldo e c'è un sole che, con il passare delle ore, rende l'atmosfera afosa. A un certo punto raggiungo un gruppetto famigliare fermo a un bar, dove mi fermo anch'io a bere qualcosa di non ghiacciato - giusti i consigli della mia amatissima sposa...
La signora ha l'aria sfatta, indossa i calzoni lunghi, pesanti, e la giacca a vento, anche se di vento proprio non ce n'è. Mah!
Più oltre raggiungo due ragazzi italiani che hanno pernottato a Roncisvalle in un container, perché all'albergo dei pellegrini non c'era più posto! Mi dicono che stanotte c'è stato un bel temporale, del quale peraltro non è rimasta traccia.
Arrivo a Larrasoaña verso le sei e mezza e scopro che non c'è più posto per dormire: né all'albergo dei pellegrini, né nelle due pensioni né dai privati. Per fortuna, la signora cui mi sono rivolto si impietosisce e mi procura un materasso che stendo in un angolo del dormitorio; altri, meno fortunati o più giovani sono stati sistemati per terra nella chiesa. Cominciamo bene!
In paese c'è un unico bar-ristorante dove tutti vanno a cenare con tripli turni: 7½, 8½ e 9½. Sono arrivato tardi, la sistemazione per la notte ha richiesto qualche tempo, ho fatto una buona doccia ed aver cambiato i vestiti; quando arrivo al bar-ristorante, il primo turno è già a tavola e il secondo è completo. Così devo aspettare le 9½. Nell'attesa faccio due chiacchiere con un gruppo di italiani, anche loro in attesa - dopo poco scopro che sono tutti di Comunione e Liberazione, per cui il mio entusiasmo conversativo si raffredda di molto.
C'è anche una signora di Gallarate - sola. I solitari sono molto numerosi, direi circa un terzo del totale, se non di più; evidentemente per molti il Cammino è un'esperienza da vivere in solitudine. Questo scelta è facilitata dal fatto che qui non ci sono punti-tappa fissi, come sul GR 20 della Corsica o altre escursioni strutturate: ogni dieci chilometri, e anche meno, c'è un albergue, un hostal o un albergo vero e proprio, per cui ci si incontra una sera e poi spesso ci si perde di vista la sera successiva.
La signora di Gallarate siede al mio tavolo, ma è éprise di un paio di spagnoli (oppure, altra versione, non ama i milanesi: dopo avermi chiesto da dove venivo, non mi ha più rivolto la parola. Peggio per lei, non sa che cosa ha perso...).
La supero l'indomani, sempre in compagnia dei due spagnoli, e Dio sa che fine ha fatto.
Invece, i due italiani incontrati poco dopo Roncisvalle erano due bei tipi. Abbiamo parlato di Madonne e luoghi santi; siccome non mi veniva in mente il nome della località croata dove anni fa c'era stato un certo afflusso di fedeli, mi hanno proposto in sequenza Lourdes, Fatima e Avila, città natale di Santa Teresa!
Il nome giusto era Medjugorie, ma mi è venuto in mente quando ci eravamo già salutati perché loro si fermavano a Zubirì, sei chilometri prima di Larrasoaña. La ragazza aveva male a un piede e sembrava poco entusiasta, per cui non penso che siano andati molto lontano. Al più saranno arrivati a Pamplona, dove c'è la stazione ferroviaria.
Quanto alla cena (eccellente), da segnalare il prezzo: 10,25 € per un primo di insalata, una bistecca con patate, un dolce e il vino. Compresa la colazione del giorno dopo costata 3 € e l'albergue (gratuito) fanno 13,25€ per la mezza pensione - e non è record, vedi più avanti.
Decisamente il Cammino di Santiago percorso utilizzando gli 'alberghi del pellegrino' e i ristoranti che offrono il menù del pellegrino' deve'essere il più economico d'Europa.
Un'ultima nota a proposito delle fotografie: fino ad oggi (martedì) ne ho scattata una al giorno, ai cartelli stradali delle località in cui mi sono fermato per la notte, giusto per ricordarle. Troppo complicato fermarsi, togliere lo zaino, cercare la macchina fotografica, scattare la fotografia, rimettere la macchina fotografica nello zaino, chiuderlo, rimettere lo zaino in spalla e ripartire. Rompe il ritmo, e poi ci sono tante belle foto sulla topoguida e nelle cartolerie... ci penserò a Santiago.
Sveglia alle 6½, perché tutti si alzano a quell'ora, anche se è ancora buio. L'ora è la stessa dell'Italia ma qui siamo molto più a occidente, praticamente alla stessa longitudine della la Gran Bretagna che però è un'ora avanti.
Oggi passo per Pamplona, la prima città importante sul Cammino, accompagnato da notizie tragiche sulla conclusione del sequestro in Ossezia. Le ho avute ieri sera per telefono da Bianca e le trovo con molti particolari su un giornale spagnolo che compero in città.
Si tratta del sequestro di bambini e adulti compiuto da un gruppo di terroristi a Beslan, in Ossezia. Dopo alcuni giorni di stallo, le forze speciali russe hanno cercato la soluzione di forza che si è conclusa in un bagno di sangue, con centinaia di bambini e adulti uccisi in circostanze poco chiare dai terroristi e (forse) dalle stesse forze speciali.
Per quel poco che ho visto, Pamplona ha una bella cinta di mura sul lato settentrionale, quello dal quale arrivavano i francesi, e un superbo campus universitario con dei prati che sembrano dei tavoli da bigliardo. Per il resto, ho attraversato la parte vecchia della città che mi è sembrata piuttosto cadente e, come dire?, spagnolesca, ossia scura e poco allegra. Ma è solo un'impressione fugace.
Arrivato in città verso le undici, riparto un'ora più tardi sotto un sole che lascia presagire un pomeriggio torrido - e così sarà, su per la salita che porta alla Sierra del Perdòn dove mi fermo accanto ai grandi generatori eolici che deturpano il paesaggio, è vero, ma almeno non producono troppi guasti all'ambiente. Al colle hanno eretto una serie di figure in lamiera che si stagliano contro il cielo e che, salendo, avevo preso per dei pellegrini in sosta. C'è Don Chisciotte sul suo Ronzinante, naturalmente, c'è Sancio Panza sull'asino, c'è una dama che potrebbe essere Dulcinea del Toboso e ci sono altri personaggi del romanzo che non so riconoscere.
Segue una discesa veramente brutta, su una sterrata della quale sono rimasti soltanto i sassi che scappano via sotto gli scarponi, costringendomi a scendere adagio - per fortuna ho con me i fidi bastoncini da escursione che in questa come in altre occasioni si rivelano preziosi.
Verso le cinque arrivo a Puente la Reina, dove evidentemente ci sono più posti per dormire che pellegrini, perché attraversando il paese prima ho incrociato due signori che distribuivano i dépliant di due diversi albergue. Ma all'ingresso del paese c'è un bell'albergo a tre stelle che mi offre una camera per 38 € e decido di fermarmi lì. L'unico inconveniente è che, poco dopo il mio arrivo, comincia una festa con musica che mi obbliga a scappare dalla camera, situata proprio sopra il patio dove si esibisce un'orchestra iperamplificata...
In compenso, la cena è eccellente, con un filetto da far invidia ai lituani e alle 9½ la musica finisce, sicché riesco anche a dormire.
Nel corso delle ricerche che ho svolto negli scorsi anni sul medico e professore universitario tedesco Giuseppe Frank (1771 - 1842), sepolto in riva al Lago di Como sotto una piramide alta 20 metri, mi sono recato due volte a Vilnius, dove Frank aveva insegnato presso la locale Università. Durante queste visite ho potuto apprezzare la qualità delle carni bovine lituane, che mi sono parse superiori perfino a quelle francesi.
A proposito di cena, ieri sera c'erano i turni e quindi non ci ho fatto caso, ma stasera contavo di andare a letto presto e invece il ristorante apriva alle 8½, secondo le abitudini spagnole...
Ieri e oggi non ho visto ciclisti, perché le due tappe avevano dei passaggi non percorribili in bicicletta. Però ce ne sono, ne ho visti parecchi nei giorni successivi. Così a occhio saranno il 10/20% del totale e hanno una vita separata, che si incrocia con quella dei camminatori solo negli albergue dove ogni sera si vedono delle biciclette.
Invece, non ho ancora visto cavalieri, anche se questa categoria di pellegrini è prevista dalla Credenziale. Però sul sentiero c'erano parecchi segni di ferri di cavallo, e quindi qualcuno ci dev'essere.
Il letto era comodo, nessuno russava né ha acceso le luci; così mi sono svegliato alle 7½, quando il cielo ha cominciato a schiarirsi. Del resto, sarebbe stato inutile svegliarsi prima perché la colazione viene servita a partire dalle otto.
Anche oggi c'è il sole, ma al mattino fa fresco. Attraverso la città lungo la Calle Mayor (tutti i paesi e città che ho attraversato ne hanno una, grandiosa o modesta che sia) e poi passo su un bel ponte medievale a sei arcate; secondo la guida è il più bello fra i tanti che si incontrano sul percorso.
Col senno di poi, secondo me non è vero: quello di Órbigo, attraversato giovedì 16, mi è sembrato ancora più bello.
Poco dopo aver lasciato Puente la Reina si incontra un desvìo provisional. Stanno costruendo un'autostrada e il Cammino deve girare al largo, su per coste ripidissime e fuori del tracciato normale. Una fatica doppia per i ciclisti, che devono spingere le biciclette a mano...
Poi il Cammino ritorna alla sua sede normale e prosegue attraverso paesi grandi e piccoli, qualcuno con un bar per dissetarsi, altri con una fontana, fino ad Estella, un centro di qualche importanza con un bell'albergue. Ma è presto, per cui decido di proseguire. Mal me ne incoglie, perché la strada è priva di alberi, senza un briciolo d'ombra.
Oltretutto, la suddetta strada sale per 250 metri e la fatica è notevole. A un certo punto mi fermo sotto un sottopasso, unico punto fresco disponibile ancorché poco gradevole, e vengo raggiunto da un francese che va anche lui a Villamayor. Ci avviamo insieme e finalmente, 'alle cinque della sera', quando 'solo il toro ha il cuore in alto' arriviamo in questo paesino dove ci accolgono un religioso americano e una ragazza spagnola che gestiscono l'albergue. Ci offrono succo d'arancia fresco, pane, biscotti... insomma, un'accoglienza veramente bella.
Il lettore esperto di letteratura spagnola avrà riconosciuto nelle parole tra virgolette due versi (adattati alla bisogna) del 'Lamento per Ignazio' di Federico Garcìa Lorca.
Quanto al religioso americano, ho scoperto due giorni dopo che era sì americano, ma non era affatto un religioso: era il compagno della ragazza spagnola. I due formavano una coppia ben strana: lui alto e massiccio, lei piccola e minuta; ma, si sa, l'amore non si cura di questi particolari.
Poi la cena nel ristorante gestito da un gruppetto di olandesi, finiti quaggiù per vocazione religiosa e per mettere in pratica le opere di misericordia corporale (quelle spirituali, non so. Forse le praticavano con i pellegrini olandesi e tedeschi, visto che il boss parlava un inglese molto stentato e niente spagnolo).
Tra gli altri ospiti ce ne sono due, olandesi anche loro, partiti da Maastricht il 12 luglio. Sono passati dal Belgio, da Parigi e poi giù per la Via Turonense; tutti e due fumatori, se questo vuol dire qualcosa...
Qui incontro anche il primo pellegrino che si raccoglie in preghiera prima della cena.
Resterà un caso isolato; non ne ho più visti, neppure negli albergue gestiti da religiosi.
La cena consiste in un'insalata, un piatto di carne e pasta, un dessert più il vino a volontà e costa 6 € (dico sei euro); l'alloggio e la prima colazione sono gratuiti. Penso che difficilmente riuscirò a superare questo record per la mezza pensione, comprensivo dell'acqua calda per la doccia e per lavare i panni!
Il padrone del ristorante mi tesse l'elogio di questi luoghi nel suo inglese smozzicato. Che dire? Se penso alla Toscana e alle regioni prealpine, abbastanza simili per conformazione fisica, mi verrebbe da dire che si sbaglia di grosso, che queste colline brulle, ventose, coperte qua e là da case o rari villaggi tutto sommato modesti se non francamente brutti, insomma, che questo paesaggio semidesertico non è un gran che.
Ma, come dice il proverbio, 'pure 'o scarrafone è bbello a mamma soia' e può essere che per gli olandesi una terra arida somigli al paradiso.
Invece è molto bella la calzada, la strada sterrata costruita apposta per i pellegrini, a volte parallela alla strada asfaltata, a volte in mezzo ai campi. Quando se ne può vedere un tratto abbastanza lungo, magari dalla cima di una collina, con i pellegrini in lontananza, alcuni con il bordone come i pellegrini medioevali, ci si sente trasportati indietro nei secoli e si ha la sensazione assai viva di quello che il Cammino rappresentava (e rappresenta tuttora) per chi lo percorreva, per i luoghi che ne venivano attraversati e per le persone che vivevano lungo il suo tracciato.
Stamattina, a Puente la Reina, ho visto due scritte 'peregrinos go home!'; erano talmente incongrue da far pensare a uno scherzo, perché in realtà tutti sono gentilissimi con noi, salutano con un 'hola!' o più spesso con un 'buen camino!' e sono sempre disponibili a dare una mano, gratis o a pagamento a seconda dei casi, senza mai mostrare insofferenza per questa folla di straccioni spesso sporchi o puzzolenti che entrano nei bar e nei negozi, usano i servizi e lasciano a volte pochi euro, a volte niente del tutto per queste comodità.
Stavo dimenticando di citare una 'buona azione' compiuta ieri sera. Uno degli ospiti dell'albergue aveva finito le pellicole per la sua macchina fotografica. Ovviamente, a Villamayor nessuno ne aveva, non c'è neppure un negozio; e neppure ce n'erano, a detta del gestore, nei paesi successivi, fino a Logroño. Il tipo era desolato, evidentemente l'idea di percorrere un'intera tappa senza scattare una sola fotografia gli causava una crisi di astinenza simile a quella di un drogato; al punto che avrebbe voluto chiamare un taxi da Logroño per farsi portare una scorta di pellicole. Senonché, era domenica, e anche in città i negozi erano chiusi. Allora sono andato a prendere una delle pellicole che un amico mi aveva dato prima della partenza e gliel'ho regalata.
Gli fosse comparso davanti San Giacomo in persona, non si sarebbe meravigliato tanto! Si è profuso in ringraziamenti a non finire (anche se non si è neppure offerto di pagarla, cosa che avrei comunque rifiutato - lungo il Cammino ci si abitua presto ad avere le cose gratis...)
Altra dimenticanza: ieri mi sono perso una delle cose più curiose del 'Cammino', poco dopo Estella: le due fontane di Irache, che buttano una l'acqua e l'altra il vino. A parte che bere vino durante il cammino mi sembra poco opportuno, per andarci avrei dovuto fare una discreta deviazione e proprio non ne avevo voglia, con il sole che c'era. Pazienza!
Oggi si va in città, lungo un percorso in mezzo ai campi fino a Los Arcos e poi lungo la statale fino a Viana, dove perdo di vista il francese, che comunque contava di fermarsi a Logroño e di tornare a casa.
A Los Arcos raggiungo un brasiliano con uno zaino esagerato che mi chiede dove sia l'ufficio postale. Di fronte alla mia ovvia ignoranza mi spiega che il suo zaino è troppo pesante (non c'era bisogno che me lo dicesse, bastava guardarlo da dietro e vedere come camminava...). Per non correre il rischio di doversi fermare, ha deciso di spedire tutto il superfluo per posta a Santiago e sta appunto cercando l'ufficio postale. Lo lascio a un incrocio augurandogli buona fortuna senza troppa convinzione, perché zoppicava già e non credo sia andato troppo lontano, a meno che San Giacomo non abbia fatto il miracolo.
L'albergo dei pellegrini di Logroño sarebbe anche bello, in un edificio medievale con un bel giardinetto interno; ma è pieno. Così mi faccio indicare un albergo nelle vicinanze e ci arrivo appena in tempo per schivare un violento temporale del quale vedrò le conseguenze il giorno dopo.
Ottima cena a prezzo fisso (14 € in un albergo a tre stelle, vino incluso!) e poi vado a dormire perché la giornata è stata lunga, piove ancora e non è il caso di andare a cercare le bellezze della città, ammesso che ce ne siano, sotto l'acqua.
Ieri, più o meno all'altezza delle due fontane di Irache, sono entrato nella Rioja, della quale Logroño è il capoluogo. La Rioja è la principale zona vinicola della Spagna e infatti si vedono vigneti a perdita d'occhio da tutte le parti. Ogni tanto si sentono dei colpi a metà strada fra la fucilata e il colpo di cannone, che non riesco a spiegarmi. Poi una barista mi spiega che sono degli spari a salve per spaventare i passeri!
Quando mi sveglio piovicchia ancora. Vado sulla porta dell'albergo, incerto sul da farsi: partire o aspettare che spiova? Mentre mi guardo in giro, vedo passare una pellegrina con la mantella e mi dico: "Perbacco! Se va lei, vado anch'io.".
Così faccio una lauta colazione sfogliando il giornale sul quale trovo una bella vignetta che dimostra quanta stima abbiano all'estero per il nostro presidente, il Cavalier Banana; poi salgo in camera, preparo lo zaino e mi avvio sotto una pioggerella fine che ben presto si esaurisce, mentre il cielo si apre lentamente.
La vignetta in questione, apparsa su 'El Paìs' descrive le reazioni di vari capi di governo alle notizie provenienti dall'Ossezia.
Zapatero: solidale
Bush: epico
Blair: duro
Schroeder: fermo
Chirac: comprensivo
Putin: impassibile
Berlusconi: canoro
Sul terreno rimangono i segni del diluvio di ieri sera: vigne prostrate, grappoli a terra e pozze d'acqua sul percorso, dove la strada è in piano. Qui la terra è rossa e grassa - ideale per le vigne, sembra di essere nelle Langhe; ma quando piove è un disastro perché il terreno è intriso d'acqua, gli scarponi affondano e raccolgono quantità industriali di fango. Su un passaggio particolarmente scabroso affondo fin quasi al collo della scarpa e porterò a lungo i segni di questo incidente che solo grazie ai bastoni non si è trasformato in un disastro (come è capitato ad altri: davanti a me c'era un pellegrino con il sedere tutto inzaccherato...): una scarpa marrone e l'altra rossa, in attesa che il fango se ne vada via una volta asciutto.
Il 2004 è un Anno Giubilare Compostelliano, come tutti gli anni nei quali il 25 luglio, festa di San Giacomo, cade di domenica; e l'Anno Giubilare è una cosa seria, dappertutto ci sono manifesti e materiali illustrativi. Perfino l'acqua minerale più diffusa nella regione ha preparato per l'occasione un'etichetta speciale nella quale appare l'onnipresente conchiglia, la concha, simbolo di San Giacomo e del Cammino.
Durante il percorso verso Nàjera incontro un muro che ricorda da vicino la 'Collina delle Croci' di Lituania; per essere precisi, più che un muro è una recinzione a maglie di filo di ferro nella quale sono state inserite decine, forse centinaia di croci formate da due pezzi di legno, che una segheria vicina ha disseminato lungo il Cammino.
La 'Collina delle Croci' è uno dei luoghi più singolari della Lituania. Si tratta di una modesta altura interamente coperta da migliaia di croci, alcune alte due o tre metri, altre pochi centimetri. La prima croce fu posata da un contadino guarito da una grave malattia nel 1847e il suo esempio fu ben presto seguito da altri. Quando, dopo la rivolta del 1863, lo zar vietò di apporre croci lungo le strade e sulle case, la collina si coprì di croci in memoria degli insorti uccisi o esiliati in Siberia. Nel 1961 la collina fu rasa al suolo dai sovietici, ma la posa delle croci continuò clandestinamente. Dopo il 1991, quando la Lituania è ridiventata indipendente, le croci si sono moltiplicate e oggi rappresentano al tempo stesso un simbolo della fede cattolica dei lituani e un'inquietante attrazione turistica
Poco più avanti passo per un altro luogo insolito, questa volta sulla cima di una delle tante colline che si incontrano lungo il percorso. In questo punto il Cammino segue una pista disseminata di ciottoli arrotondati di varie dimensioni e qualcuno li ha utilizzati per costruire degli ometti, più o meno così:
L'idea ha avuto successo e adesso ci sono decine di questi ometti, uno vicino all'altro: sembrano quasi una composizione artistica.
Verso le tre del pomeriggio arrivo a Nàjera, una bella cittadina su un fiume, meta di quasi tutti i miei 'colleghi' camminatori. Facile prevedere che l'albero dei pellegrini sia pieno (come infatti è).Così proseguo fino ad Azofra, il paese successivo, dove ci sono ben due albergue, uno dei quali aperto dalla municipalità appena due mesi fa, bello e confortevole.
Mentre mi appresto a fare la doccia, scopro con preoccupazione di avere i piedi tutti arrossati. Temendo qualcosa di serio, vado in farmacia dove una dottoressa gentile e competente (chissà quanti pellegrini sono passati da lei con problemi di piedi!) mi dice che la cosa non è grave, si tratta soltanto di un'irritazione dovuta al caldo umido. Per combatterla mi dà una pomata al cortisone che - miracoli della medicina moderna! - farà sparire il tutto nel giro di ventiquattr'ore.
Ad Azofra, un paesino di quattro case vicino al grande e famoso monastero di San Millàn de la Cogolla, vedo i primi cavalli, che pascolano tranquilli vicino all'albergue. Non riconosco i cavalieri, ma ci devono essere anche loro.
Dicevo che Azofra è vicino a San Millàn: ma sono sempre dieci o dodici chilometri e francamente non ho voglia di allungare il percorso fino al monastero, reputato come la culla della lingua castigliana, cioè dello spagnolo, perché lì si trovano i più antichi manoscritti in questo idioma. Anche in questo caso, rimando la visita alla prossima volta, se, come spero, tornerò in questi luoghi insieme alla mia amatissima sposa.
Dopo cinque giorni di cammino comincio a distinguere almeno due tipi di pellegrini: quelli con il bordone (il lungo bastone usato dai pellegrini medievali), sicuramente impegnati in un percorso di fede; e quelli con i bastoncini da escursione sui quali è più difficile pronunciarsi, anche se molti hanno l'aria di fare soltanto una bella escursione senza troppi sottintesi religiosi. A parte, come ho già detto, stanno i ciclisti, sui cui sentimenti religiosi nutro molti dubbi.
Insomma, mi pare che la 'peregrinatio pietatis causa' riguardi solamente una parte, forse la metà dei 50.000 e passa pellegrini che sono passati quest'anno da Roncisvalle diretti a Santiago, secondo le notizie che ho raccolto nei giorni scorsi; senza contare quelli che sono partiti da Pamplona, da Burgos o ancora più avanti.
Mi è venuto il dubbio che la causa dell'arrossamento dei piedi risieda nelle calze, che avevo lavato e poi rimesso in servizio. Nel dubbio, dopo aver spalmato ben bene i piedi con la pomata magica, ho messo un paio di calze nuove e infatti la sera i piedi erano come nuovi; di che cosa sarà il merito?
Il bar-ristorante dove avevo cenato ieri sera avrebbe dovuto aprire alle 7½ per il desayuno, la prima colazione dei pellegrini che, come me, non portano cibo con sé. Invece il bar è chiuso, per cui parto avendo bevuto soltanto una tazza di tè. Poi, lungo il percorso, mangio un po' di more che sorprendentemente i pellegrini snobbano anche se sono belle grasse e ricche di zucchero. Verso le undici arrivo a Santo Domingo de la Calzada dove faccio un abbondante brunch, ossia un incrocio tra la colazione (breakfast) e il pranzo (lunch). La cittadina è bella, con una grande cattedrale, purtroppo chiusa, con l'antico albergo dei pellegrini trasformato in albergo a cinque stelle e un bell'albergo per i pellegrini moderni in un convento medievale.
La cattedrale avrebbe meritato una visita, non solo e non tanto per i suoi tesori architettonici ma perché è l'unica chiesa al mondo (che io sappia, ma potrei sbagliarmi) nella quale sono ospitati in permanenza un gallo e una gallina vivi, in ricordo di un miracolo legato ai pellegrini medievali.
Secondo la leggenda, un giorno arrivarono a Santo Domingo due sposi tedeschi con il figlio diciottenne. La cameriera dell'albergo si innamorò del giovane e cercò di sedurlo. Di fronte al suo rifiuto, si vendicò mettendo una coppa d'argento nella sua sacca e denunciandolo poi al giudice. Il giovane fu condannato a morte per impiccagione e giustiziato.
Il giorno seguente i genitori avrebbero dovuto prelevare la salma del figlio per seppellirla; ma durante la notte ebbero un sogno premonitore, secondo il quale San Giacomo aveva salvato il loro figlio sollevandogli i piedi quando la botola si era aperta. I genitori andarono dal giudice e gli riferirono questo il sogno.
Il giudice rispose ridendo che il loro figlio era vivo come la gallina e il gallo arrostiti che si preparava a mangiare. E, miracolo!, in quel preciso istante il gallo e la gallina saltarono giù dal piatto di portata e si misero a cantare. Di qui il famoso detto (famoso in Spagna, naturalmente)
Santo Domingo de la Calzada
donde cantò la gallina despuès de asada
(Santo Domingo de la Calzada / dove la gallina cantò dopo essere stata arrostita)
Da Santo Domingo proseguo verso occidente senza sapere esattamente dove mi fermerò. Quando sono ormai le 3½ sono in vista di Villamayor del Rìo dove c'è un bell'albergue semivuoto. Così decido di fermarmi perché ho già percorso 32 chilometri e per oggi possono bastare.
Di mosche ce ne sono dappertutto, ma qui sono più numerose del solito e si posano sulla pelle anche dopo la doccia, quando dovrebbero andarsene per via del profumo di schiuma da bagno; tanto che sono costretto a chiudermi all'interno per evitare la molestia, con conseguente rinuncia a farmi la consueta fumata dopo l'arrivo (a proposito: sul Cammino si fuma comunque poco, a Milano consumo una scatola di tabacco ogni cinque giorni circa, mentre qui sto ancora usando la prima dopo sette giorni di viaggio).
Qualche nota tardiva sulla giornata di ieri: il paesaggio agrario è cambiato quasi di colpo dopo che dalla Rioja siamo entrati nella Castiglia. Qui si vedono distese sterminate di stoppie ed enormi cumuli di fieno imballato in attesa di essere portato via (ma sarà poi fieno?). Però non si vedono in giro animali di nessun genere: né mucche né pecore né maiali. Chissà dove li hanno nascosti? (Perché a qualcosa dovrà pur servire tutto quel fieno, no?)
Ieri, prima di entrare a Santo Domingo ho costeggiato dei grandi campi seminati a patate; poco prima della città c'era una fabbrica dove le suddette patate venivano confezionate (suppongo - in realtà ho visto soltanto il muro esterno e non so che cosa facessero all'interno). Sul retro della fabbrica un nastro trasportatore lasciava cadere su un mucchio delle patate scartate per motivi a me incomprensibili. Dovevano essere comunque buone da mangiare, forse troppo piccole o troppo grandi o con qualche difetto che le rendeva inadatte alla commercializzazione. Fatto sta che due o tre vecchiette le raccoglievano e poi se ne andavano tranquillamente verso casa a cucinarle - gratis et amore Dei.
Passato il rossore ai piedi, ieri sera mi faceva male un tendine, cosa che mi ha preoccupato non poco, ben più del male ai talloni che ho avuto nei primi due giorni e di una vescica spuntata la prima sera, bucata e asciugata senza conseguenze. Per fortuna, avevo con me il Lasonil e stamani il fastidio sembra scomparso.
Lungo il Cammino si incontrano molte memorie di Carlo Magno e dei suoi paladini; a Roncisvalle, naturalmente, teatro del leggendario attacco di 100.000 saraceni contro la retroguardia guidata da Orlando e composta di 20.000 cavalieri. Così almeno dice la 'Chanson de Roland'; in verità sembra che non siano stati i mori ad attaccare la retroguardia dell'esercito franco, ma dei gruppi di partigiani baschi che (già allora!) non gradivano la presenza di truppe straniere sul loro territorio. E poi, l'idea di una battaglia tra 120.000 soldati a Roncisvalle sembra assurda, solo che si misuri il poco spazio disponibile intorno all'abbazia.
La battaglia tra baschi e franchi avrebbe avuto luogo a Burguete, più in basso, dove la valle si allarga notevolmente.
Altre memorie si trovano un poco oltre, al Passo di Erro, che ricorda il nome basco dell'eroe: Errolan. Curioso come lo stesso personaggio abbia nomi simili nelle lingue neolatine, ma con spostamenti delle vocali: Orlando in italiano, Roland in francese (lingua d'oc o lingua d'oil? Mah!), Roldàn in castigliano, più l'Errolan basco. Uno studioso di linguistica comparata ci andrebbe a nozze, specialmente con la 'rotacizzazione della dentale' in lingua basca.
Chi ha letto l'opera di Luciano Bianciardi ricorderà che il suo romanzo più famoso, 'La vita agra' inizia con una esilarante spiegazione della trasformazione del toponimo 'Braida' in 'Brera' grazie appunto alla rotacizzazione della dentale, ossia alla sostituzione della consonante dentale 'd' con una 'r'.
Dopo Pamplona si incontra il luogo dove Carlo Magno sconfisse i mori prima di tornare scornato in Francia perché non era riuscito ad entrare in Saragozza, e ancora più avanti il Poyo de Roldàn o Poggio d'Orlando, sul quale il paladino avrebbe affrontato a singolar tenzone il gigante moro Ferragut (il nome deriverebbe dal latino 'ferrea cutis' o da ferro acuto) dopo che questi aveva sconfitto e imprigionato venti cavalieri cristiani. Orlando avrebbe giocato d'astuzia, parlamentando con Ferragut prima del duello e scoprendo così il punto debole del gigante moro: l'ombelico, al quale lo avrebbe colpito durante il duello uccidendolo sul colpo.
Rimane da scoprire quando e perché Carlo Magno fosse andato in Spagna, e come siano andate veramente le cose; ma questo potrò farlo solamente a Milano.
La spedizione in Spagna di Carlo Magno, non ancora imperatore, avvenne nel 778 e fu tutt'altro che gloriosa. Carlo scese in Spagna rispondendo all'appello dei signori cristiani che controllavano a fatica la zona a sud dei Pirenei. Occupò Pamplona ma non riuscì ad entrare in Saragozza e poco dopo se ne tornò in Francia. L'evento merita al più una nota a margine nella storia di Spagna e in quella di Carlo Magno, anche se poi la 'Chanson de Roland' ne fece un evento grandioso.
Ieri sera ero in camera con tre francesi, due signori e una dama piuttosto in carne già incontrati la sera prima ad Azofra. Stamattina i due uomini sono partiti alle 6½, nel buio più completo, mentre la signora è rimasta tranquillamente a poltrire anche dopo la mia partenza, avvenuta un'ora dopo, alle prime luci dell'alba, con un nebbione che nascondeva tutto.
Strano, mi dico senza pensarci troppo.
Tre ore più tardi incontro la signora a Villafranca e scopro che i due uomini stanno percorrendo il Cammino a piedi mentre lei funge da appoggio logistico in automobile.
È lì ad aspettare i suoi due uomini, il marito con un amico, che però evidentemente sono già passati oltre, se no li avrei superati. Difatti, la sera li rincontro tutti e tre a San Juan de Ortega dove dormiamo tutti.
Venerdì li ritrovo a Burgos; però loro si fermano a dormire in città (e ne approfitteranno per fare un giro sul trenino turistico...), mentre io proseguo per qualche chilometro. Sabato mi raggiungono di nuovo lungo il percorso perché, oltre a partire a ore antelucane, i due camminatori corrono come se avessero il pepe al culo.
Senonché, il troppo stroppia. Un'ora dopo che mi hanno superato con grandi saluti, raggiungo uno dei due, fermo perché gli fa male una gamba. Quando arrivo al villaggio di Hontanas trovo l'altro camminatore con la moglie in attesa preoccupata. Io mi fermo comunque a mangiare qualcosa e insieme aspettiamo l'infortunato che arriva una mezz'ora dopo zoppicando vistosamente. Nonostante sia appena mezzogiorno, i tre decidono di fermarsi lì; probabilmente dovranno interrompere il Cammino o prendere un ritmo di marcia più blando, come il mio che prevede una velocità pari a quattro chilometri all'ora o poco più.
Altro incontro fuggitivo a Santo Domingo con una 'Carlomagno' canadese che pretendeva di farsi dare delle spiegazioni sul percorso da una contadina spagnola parlandole nell'inglese stravaccato d'oltreoceano. Commetto l'errore di fare da interprete e poi di indicarle la retta via, per cui facciamo un tratto di strada insieme. Poi la perdo di vista e la sera non la vedo arrivare all'albergue di Villamayor; si sarà fermata prima, penso con sollievo, perché era veramente una piattola. Invece, la sera seguente la ritrovo all'albergo dei pellegrini di San Juan de Ortega: la sera prima era andata oltre l'albergo di Villamayor del Rìò nel quale io mi ero fermato!
La ritrovo venerdì mattina, ferma sul bordo della calzada, intenta a curarsi un piede. Mi fermo a fare due chiacchiere per non sembrare scortese e poi la saluto definitivamente perché lei si fermerà a Burgos per visitare la città.
Viene da Vancouver, sulla costa del Pacifico, e ha una prenotazione per il viaggio di ritorno il 29 settembre; pensa di prendere il treno da Burgos a Leòn, per cui non è escluso che la incontri di nuovo nell'ultimo tratto del Cammino.
La signora Carlomagno è soltanto omonima del grande imperatore. Era un personaggio dei fumetti di Cocco Bill disegnati da Jacovitti, un'anziana signora piena di energia, che andava in giro con gli schettini e un bastone per menare tutti quelli che le erano di ostacolo. Una rompiscatole tremenda, insomma.
Stamattina c'era un nebbione fittissimo, non si vedeva oltre la punta del naso. Poi, adagio adagio, la nebbia si è dissolta e a Belorado, primo paese incontrato sul percorso, trovo una sorpresa: sulle torri smozzicate di una chiesa ci sono due grandi nidi di cicogne che se ne stanno lì tranquille, in attesa di salpare verso sud con l'arrivo dei primi freddi.
Poco più avanti mi viene incontro quello che sembra un contadino con un mulo alla cavezza. Invece è un pellegrino francese che sta tornando a casa e si fa portare tutto il materiale dal mulo - non senza qualche problema logistico, perché anche i muli devono mangiare, non sono come le biciclette, che basta appoggiarle al muro.
Nel pomeriggio supero per la prima volta i 1.000 metri di altitudine, sia pure di poco; ma non me ne accorgo quasi perché fa un gran caldo e le salite sono quasi tutte morbide. Al passo c'è una croce con una data fatidica: 1936, inizio della guerra civile spagnola e una frase ambigua: 'La vostra semenza non morirà'. Ambigua perché non si capisce se si riferisca ai franchisti o ai repubblicani.
Un paio d'ore dopo il cielo si copre e si comincia a sentire il brontolio dei tuoni. Sono un po' preoccupato per via dei bastoni in metallo, ma per fortuna mi trovo in mezzo a un bosco; se proprio il temporale arriva, faccio sempre in tempo a ripararmi sotto gli alberi. Invece arrivo sano, salvo e asciutto all'albergo dei pellegrini di San Juan de Ortega e il temporale scoppia quando sono già al riparo.
Anche questo albergue si rivela assai economico: alloggio gratis, con assaggio altrettanto gratuito della sopa de ajo, (la zuppa d'aglio, così così), cena a otto euro e niente colazione perché l'unico bar apre alle nove, quando tutti i pellegrini sono partiti.
In compenso, dalla doccia esce solo acqua fredda, per cui ci rinuncio, e la cena è una vera schifezza. Mi lascio convincere a ordinare una specialità di Burgos della quale ho scordato il nome, che si rivela essere un sanguinaccio misto a riso stracotto. Per fortuna ci sono anche delle buone tortilla con le quali posso rifarmi!
Prima della 'lauta' cena visito la chiesa di San Juan, molto bella e semplice. C'è anche una guida, ma parla soltanto in spagnolo ad una velocità tale che dopo qualche vano sforzo di capire cosa sta dicendo, ci rinuncio e mi limito ad ammirare l'interno e la cripta in perfetta solitudine.
Oggi si entra a Burgos - con qualche diffidenza da parte mia, perché Burgos è stata la capitale dei franchisti durante la guerra civile; ma ormai nessuno se ne ricorda più, o perlomeno non se ne parla più.
La città è grande, i sobborghi sono pieni di fabbriche ma il centro è molto bello, con viali alberati lungo il fiume, la Plaza Mayor circondata da case tutte rimesse a nuovo e la cattedrale ripulita che risplende nella sua pietra chiara.
Vado a visitarla, per il modico prezzo di 1 € contro i 5 € del prezzo normale, ma rimango molto perplesso. Certo, l'architettura è superba, però l'interno sembra sia stato concepito soltanto per i nobili e per l'alto clero, senza spazio per i fedeli. Ci sono una dozzina di cappelle erette dalle famiglie nobili della città, sfarzose oltre ogni dire, ognuna con il suo retablo in legno dorato che testimonia la ricchezza di chi l'ha fatta erigere; mentre il centro della cattedrale è chiuso alla vista da un alto muro, oltre il quale stanno l'altare e una sfilata di stalli lignei veramente straordinari. Ma il popolo, dico, i semplici fedeli, dove andavano? Dove si mettevano per assistere alla messa? No, questa non è una chiesa per il popolo come le cattedrali italiane o francesi: è una chiesa per i ricchi, dalla quale i poveri sono esclusi.
Ci sono molte sepolture, comprese quelle del Cid e di sua moglie Jimena, e poi una cappella nella quale si vede un quadro dipinto da un discepolo di Leonardo: una Maddalena mezza nuda con davanti una coppa. Il quadro è così così, ma mi fa pensare alle storie della Maddalena e dei suoi presunti figli avuti da Gesù, nonché al fatto che Leonardo sarebbe stato addentro nei segreti del Priorato di Sion...
Ci sarebbe molto da dire sulla figura di Rodrigo Dìaz de Bivar, nato nel 1043 a Burgos e morto nel 1099 a Valenza, noto come Cid Campeador. Nella realtà fu una figura perlomeno ambigua, un capitano di ventura che si mise al servizio di chi lo pagava meglio, compreso Yusuf, emiro di Saragozza. Dopo la sua morte il 'Poema de mio Cid' ne fece un eroe della 'Reconquista' cristiana della Spagna. Finì i suoi giorni come signore di Valenza, effimero staterello scomparso alla sua morte. Come e perché il Cid sia diventato il simbolo della 'Reconquista' rimane un mistero sul quale il lettore curioso potrà indagare a suo piacimento.
Quanto alla Maddalena e ai suoi rapporti con Gesù, si possono leggere con profitto i numerosi testi scritti sull'argomento, che prendono le mosse dai Vangeli cosiddetti apocrifi, in particolare dal Vangelo di Filippo; o anche il romanzo 'Il segreto dell'Isola' che ho scritto qualche anno fa ed è stato pubblicato dalla New Press di Como. La coppa del quadro potrebbe alludere al ventre della Maddalena, che ha accolto la discendenza di Gesù: oppure, più banalmente, all'unguento che Maria usa per lavare i piedi di Gesù (Giovanni, 12,1-8).
A parte questa sorpresa, ciò che colpisce in questa come nelle altre chiese spagnole che ho visto in questi giorni è la mancanza della pittura a fresco, che rende così lievi e belle le chiese italiane; mentre i retabli in legno dorato, presenti qui e altrove in dosi massicce, le appesantiscono e danno un aspetto, come dire?, tra il cupo e il trionfante che non mi piace per niente.
Ultima nota a proposito di Burgos, che comunque credo meriti una visita più approfondita se mai tornerò da queste parti: entrando in città si nota un grande centro di distribuzione di elettrodomestici sul quale campeggia il marchio 'Urendo'. Chissà se hanno dei piani per espandersi in Italia?
Quella di oggi è stata una tappa tranquilla, iniziata come quella dell'altroieri in un bel nebbione che poi si è dissolto lentamente. Mentre scrivo queste note, finalmente in pari con i giorni dopo una lunga rincorsa, c'è un tramonto spettacoloso, rosseggiante in direzione di Santiago.
Poco di significativo da segnalare, se non la vicenda dei francesi già raccontata e la sorpresa di incontrare poco prima di Castrojeriz un bell'albergo per pellegrini sistemato tra i ruderi dell'abbazia di San Antòn.
Mi ci fermo a bere uno delle tante limonate che hanno caratterizzato il mio Cammino dal punto di vista idrico e, per un momento, sono tentato di fermarmi lì; poi invece decido di percorrere anche gli ultimi tre chilometri e arrivo a questa città fantasma, ricca di case, di monumenti illustri e di storia ma pressoché deserta, se si escludono i pellegrini che dispongono di ben tre albergue più un accampamento alle porte della città.
L'albergue dove mi fermo si trova sulla Plaza Mayor, deserta come il resto della città. Avevo pensato di dormire in un albergo vero e proprio, ma è chiuso per ferie, aggiungendo così un tocco ulteriore al deserto cittadino. Per fortuna c'è un ristorante aperto, altrimenti avrei saltato la cena... In compenso, l'albergo per i pellegrini dispone di un collegamento internet a disposizione degli ospiti!
Ultima nota, relativa a ieri sera. In genere il Cammino è pulito; invece nei bar vige ancora la vecchia abitudine, che tanto mi aveva colpito quarant'anni fa quando venni per la prima volta in Spagna, di buttare tutto per terra vicino al banco: bustine dello zucchero, cicche di sigarette, bucce di lupini, fazzoletti di carta e quant'altro - una vera schifezza.
Sempre ieri sera, ho cenato con un autista romeno che vive e lavora da queste parti e che, ogni tre mesi, si fa 7.000 chilometri in automobile (3.500 all'andata e altrettanti al ritorno) per andare in Romania a trovare la moglie e la figlia.
Una tappa lunga, ma non c'era molta scelta: o 25 chilometri (troppo pochi) o 38 (molti, ma ce l'ho fatta senza troppo sforzo).
Avendo dormito in un albergue, parto presto, verso le sette del mattino, dopo aver fatto una frugale colazione predisposta la sera prima dal gestore, un argentino di ascendenze italiane finito chissà come da queste parti.
Lungo il cammino vengo superato da una coppia di italiani in bicicletta provenienti da Omegna. Ancora prima che mi raggiungano li identifico come piemontesi dall'intercalare 'nèh' pronunciato tre o quattro volte nel giro di pochi secondi. Ci fermiamo un momento a fare due chiacchiere e scopro che sono arrivati in automobile fino a Puente la Reina e da lì sono partiti in bicicletta. Perché proprio Puente la Reina e non Pamplona, dove c'è una stazione ferroviaria per il ritorno? Non si sa, non lo sapevano neppure loro.
Più tardi incontro un tipo bizzarro, tale Alejandro Sandoval Ortega, che ferma tutti i pellegrini per chiedere loro di scrivere una frase sul suo quaderno ormai lacero e bisunto, ma evidentemente per lui prezioso.
Durante la sosta per il solito bocadillo (leggi: panino) delle undici, faccio due chiacchiere con una coppia di franco-canadesi e con una signora olandese che è partita anche lei a piedi dall'Olanda, come gli altri due incontrati qualche giorno fa. La signora è molto sorpresa quando le parlo dei suoi compatrioti, partiti dieci giorni dopo di lei e ormai ben avanti a me nel Cammino. Devono averla superata in Francia, o forse hanno seguito una via diversa. Curiosamente, anche lei fuma voluttuosamente; però si deve essere fermata prima di me, forse a Fròmista, perché stasera non l'ho vista all'albergue.
Prima di recuperare qualche punto con la sua partenza dall'Olanda, la signora ne aveva persi parecchi superandomi poco prima della sosta-bocadillo con gli auricolari collegati a un lettore di CD. Visto che era partita il 2 luglio, mi sono domandato se aveva un assortimento di musiche o se ascoltava sempre la stessa da due mesi...
A proposito di bocadillo, ieri mi ero fermato per mangiarne uno e il barista mi ha portato una sleppa di pane lunga trenta centimetri e larga dieci. Al mio commento sulle dimensioni inusuali del maxi-bocadillo, risponde testualmente: 'Estos no son bocadillos normales, sino bocadillos para caminantes!' Non aveva tutti i torti: me lo sono mangiato tutto, di gusto.
Una nota in ritardo: due sere fa, all'albergo per pellegrini di San Juan de Ortega, alle dieci di sera, quando tutti erano ormai sotto coperta, una musichetta psichedelica rompe il silenzio. Era la suoneria di un telefono cellulare. Per giunta, lo stronzo non si è peritato di conversare dal suo giaciglio per dieci minuti buoni, rompendo le scatole a chi avrebbe preferito dormire...
Per chiudere questa galleria di personaggi, merita una citazione Marcelino, un signore settantenne e barbuto la cui fotografia campeggiava in parecchi albergue e bar incontrati tra Logroño e qui. Essendomi finalmente deciso a chiedere chi fosse, ho scoperto che era (per meglio dire è, visto che è vivo e vegeto) un prepensionato che ha percorso ogni anno per vent'anni il Cammino da Logroño, sua città di residenza, a Santiago e ritorno.
L'anno scorso è stato operato al menisco e ha dovuto rinunciare al suo pellegrinaggio annuale. Si consola piazzandosi poco fuori la sua città e offrendo frutta ai pellegrini di passaggio, oltre a raccontare le sue imprese a chi vuole ascoltarle (e forse anche a chi non vuole, si sa come sono questi personaggi...)
Il barista che espone la sua fotografia e mi racconta questa storia è molto stupito che io non lo abbia incontrato, ma la cosa si spiega facilmente: quando ho lasciato Logroño pioveva e il Marcelino avrà aspettato che arrivasse il sole prima di piazzarsi lungo il sentiero.
Oggi ho costeggiato a lungo il 'Canal de Castilla', che penso porti acqua alle coltivazioni della zona: aveva un'acqua che sembrava brodo di fagioli, da tanto era marrone.
Non è l'unico caso, anzi, è la regola. Tutti i fiumi che ho attraversato finora, salvo qualche torrente vicino alla sorgente, erano inquinati oltre ogni limite: in confronto, il Lambro ha acque limpide.
Perfino l'Ebro, il mitico Ebro sul quale l'esercito repubblicano tentò l'ultima, disperata offensiva durante la guerra civile, era sporco da far vergogna. Avrei voluto cantare le parole della canzone mentre lo attraversavo per entrare a Logroño:
El ejercito del Ebro
Rumba la rumba la rumbamba
Una noche el rìo pasò
Ay Carmela, ay Carmela...
ma guardando il fiume me n'è passata la voglia, le parole mi sono morte in gola.
A riprova che quella intorno a Burgos era (e forse è rimasta) una zona 'nera', stanno i nomi di varie strade tuttora intitolate agli eroi fascisti della guerra civile: Primo de Rivera e il generale Sanjurjo. Finora non ho notato strade intitolate al generalìsimo Francisco Franco, ma non so se questo dipenda dalla mia disattenzione o dal fatto che forse c'è un limite a tutto.
Un'ultima nota a mo' di promemoria: oltre al Camino Francés ci sono numerose vie che portano a Santiago dalle varie regioni della Spagna e dal Portogallo, anche se sono nettamente meno frequentate. L'elenco comprende:
Ultima nota: la visita della chiesa di Villalcàzar mi permette di ammirare la bella architettura romanica dell'edificio (però gli archi sono a sesto acuto, evidentemente c'è stata qualche commistione con il gotico) e un bel retablo con pitture di stile fiammingo su legno.
La chiesa sembra in realtà una fortezza, più che una chiesa. Infatti, scopro che era una mansione templare, prima dello scioglimento dell'Ordine che peraltro in Spagna si limitò a cambiare nome e sopravvisse a lungo. Se ricordo bene, prese il nome di Ordine di Calatrava, ma dovrei verificare.
In verità le cose stanno diversamente. L'Ordine dei Cavalieri Templari fu soppresso nei regni cristiani della Spagna settentrionale tra il 1307 e il 1310, come in quasi tutta Europa. L'Ordine di Calatrava, che prende il nome dall'omonima località, fu creato da Alfonso di Castiglia nel 1147 proprio in antitesi all'Ordine dei Templari, dei cui servizi nella lotta contro i musulmani il re non era soddisfatto.
Invece in Portogallo i templari sopravvissero 'de facto' se non 'de jure' allo scioglimento, pur decretato in ossequio alle direttive papali. Nello sciogliere l'ordine, il re Dionigi I assegnò infatti tutti i beni dei templari all'Ordine di Cristo, creato 'ex novo' negli stessi anni. Molti ex-templari confluirono nel nuovo ordine e gli altri non furono perseguitati come accadde altrove.
Eh, sì, qui siamo proprio in zona templare. Oltre alla chiesa di Villalcàzar c'è il nome del paese dove mi sono fermato, che ricorda un'antica mansione dei Templari, e l'albergo per pellegrini dove mi trovo, intitolato a 'Jacques de Molay', ultimo Gran Maestro templare, finito sul rogo poco dopo lo scioglimento dell'Ordine avvenuto (mi pare) nel 1314.
In verità lo scioglimento dell'Ordine dei Templari, ordinato dal papa Clemente V su pressioni del re di Francia, avvenne nel 1307. Il 1314 è l'anno in cui Jacques de Molay fu mandato al rogo.
Pare infatti che Jacques de Molay sia passato di qui durante uno dei suoi viaggi e la padrona dell'albergue (privato, ho pagato ben 7 € per dormire in un comodo letto...) non ha avuto esitazioni nel dare al suo ostello il nome di un (presunto) eretico, bruciato vivo a Parigi per ordine del legato papale.
Ieri sera ho cenato con uno spagnolo di Logroño residente a Bilbao. Naturalmente abbiamo parlato dei paesi baschi e della loro voglia di indipendenza, a sentire lui condivisa da almeno metà della popolazione. Abbiamo parlato anche della recente proposta del parlamento catalano di prevedere nella costituzione regionale la possibilità di indire un referendum per separarsi dal resto della Spagna. Secondo il mio commensale non è una cosa seria, ma soltanto un modo per evitare che i soldi delle tasse percepite in Catalogna vadano a Madrid - insomma, qualcosa molto simile a quello che vogliono i leghisti nostrani.
Da lui ho saputo che i campi pieni di stoppie ai quali accennavo due o tre giorni fa sono in realtà campi di grano già mietuto. Gli steli, raccolti in balle, sono utilizzati come foraggio per le bestie di qui (ce ne sono, ma stanno sempre nelle stalle, visto che non ci sono pascoli da brucare), per le bestie di altre regioni o per le cartiere, che li usano per produrre carte speciali.
Oggi invece ho conversato a lungo durante due soste con un quacchero inglese; oltre a parlare della sua religione, abbiamo parlato dei Templari e io ne ho bassamente approfittato per raccontargli la storia della Maddalena presunta moglie di Gesù. Non aveva l'aria particolarmente scandalizzata: sapeva dell'esistenza dei cosiddetti Vangeli apocrifi e del legame che avrebbe unito Gesù e la Maddalena. Alla fine, prima di salutarmi, mi ha detto in tono semiserio: 'Per tua fortuna, siamo nel XXI secolo: se mi avessi raccontato queste cose otto o nove secoli fa, sarei corso dal parroco del paese e ti avrei fatto arrestare per eresia e blasfemia, con tutto quel che ne sarebbe potuto derivare.'
Abbiamo parlato anche dell'Irak e della triste sorte dei cristiani in Medio Oriente, a proposito della quale avevo letto un articolo qualche giorno fa. Insomma, un incontro assai interessante; peccato che il tipo si sia fermato al villaggio prima di Terradillos.
Invece, stasera mi sono trovato con due italiani di Paderno Dugnano e naturalmente ho cenato con loro. Dopo un po' siamo venuti a parlare delle due ragazze sequestrate in Irak ed è saltato fuori che lui era un leghista sfegatato, di quelli che vorrebbero rimandare tutti gli immigrati a casa loro. La moglie, meno estremista, continuava a dirgli 'lascia perdere, stiamo andando a Santiago...' peccato, mi sarebbe piaciuto parlare più a lungo con loro, ma non valeva la pena di farsi il sangue amaro.
Stamattina sono passato da Carriòn de los Condes, una bella cittadina con monumenti sfarzosi e edifici imponenti, segni di un passato splendore.
Ma il momento più bello è stato quando è sorto il sole, poco dopo le otto. Io vado verso occidente, quindi il sole è sorto alle mie spalle e ha tinto di rosso un fronte nuvoloso che avevo di fronte. Mi è venuta in mente la storia de 'La nube purpurea' e per un momento mi sono chiesto se la fine del mondo era vicina...
'La nube purpurea' è un affascinante romanzo di Matthew Phipps Shiel nel quale si racconta di una nuvola rossa che si spande sulla terra uccidendo tutti gli uomini tranne uno. Dopo molte avventure nel mondo ormai deserto, il protagonista del romanzo incontra una donna, scampata anche lei alla morte. Come Adamo ed Eva, i due daranno inizio a una nuova umanità.
Ai lati i soliti campi di stoppie, coperti da una nebbia in rapida dissoluzione che per qualche minuto è rimasta negli avvallamenti, aggiungendo un tocco di magia al paesaggio perché la calzada era leggermente sopraelevata rispetto al paesaggio circostante che si perdeva lontano su cinque, dieci piani diversi, separati dai banchi di nebbia. Proprio una bella visione.
La moglie del leghista, prima che arrivasse il marito, mi ha chiesto che cosa pensassi del Cammino di Santiago. Avendole io detto di essere ateo, mi ha domandato: "Ma allora, come mai va a Santiago?"
Bella domanda: perché Santiago e non un'altra escursione qualsiasi, come la Traversata delle Alpi o quella degli Appennini?
Mah! Forse perché è un'esperienza diversa dalle solite escursioni in montagna, forse perché ha una meta precisa da raggiungere, forse perché a furia di parlarne (con Trekking Italia e alla U.T.E.) mi è venuta voglia di provarci...
Ci penserò su nei prossimi giorni e magari troverò una risposta soddisfacente; ma sarà troppo tardi per darla alla signora, visto che per fortuna il suo ritmo di marcia è di molto inferiore al mio. (Il 'per fortuna' si riferisce ovviamente al marito, non a lei.)
Camminando da soli rimane molto tempo per pensare, tra un incontro e l'altro. Personalmente occupo il tempo guardandomi in giro, medito su cose importanti e su cose banali, faccio i conti della giornata, quanti chilometri ho percorso e quanti ne mancano alla fine della tappa, prendo note che poi mi serviranno la sera per scrivere il diario e canto la mie canzoni preferite - per lo meno quelle di cui ricordo le parole.
Ultima nota della giornata: oggi ho visto ben due fiumi puliti: allora si può tenere pulita o depurare l'acqua!
Oggi, poco dopo la partenza, sono passato da un borgo che si chiama Moratinos ed è equidistante da Roncisvalle e da Santiago: 361 chilometri di qua e altrettanti di là. Insomma, sono a metà strada. Evviva!
La lunghezza del Cammino è variabile a seconda delle fonti: la topoguida avuta dall'Ufficio del Turismo spagnolo a Milano parla di 723 chilometri, un'altra guida presa a Burgos dice 752, sulla Credenziale c'è scritto 737. Impossibile dire quale sia quella giusta.
La tappa di oggi si è svolta sotto un cielo attraversato da nuvole così basse che sembrava di poterle toccare alzando il bastoncino. Belle nuvole, rotonde e nette, qualcuna scura, qualcuna bianca illuminata dal sole. A parte l'ovvio riferimento al nostro caro Ruisdael, la velocità con la quale si muovevano mi ha fatto pensare a quel capolavoro (si fa per dire...) del cinema finlandese che ci vede discordi nel giudizio: 'Nuvole in viaggio' di Kaurismaki.
Jacob Van Ruisdael, pittore fiammingo del XVII secolo, è famoso per i suoi paesaggi con cieli pieni di nuvole multiformi.
Ieri sera, dopo la cena, un signore tedesco ha esibito il suo quaderno di viaggio, nel quale ha raccolto tanti disegni a china che hanno lasciato a bocca aperta tutti gli astanti. Disegni fatti così, sul momento, fermandosi qua e là dove trovava l'ispirazione: davanti a una chiesa, un ponte, un paesaggio... se devo dire la verità, ho avuto un moto d'invidia per la sua abilità di disegnatore, una dote che mi è sempre stata negata.
Entrando a Sahagùn, ho letto sul muro di una casa la parola 'Tanatorio' seguita da un numero di telefono. Mi sembrava probabile che avesse a che fare con la morte, ma non capivo in che senso. Così ho chiesto a una signora di passaggio che ha confermato i miei sospetti: il tanatorio è il nostro obitorio. Avendo io detto scherzosamente che allora era meglio girare al largo, la signora ha aggiunto che sabato scorso un pellegrino tedesco era morto all'albergo dei pellegrini di Sahagùn. Mi sono toccato le palle, a ogni buon conto, e sono ripartito quasi subito dopo il rituale panino di fine mattinata.
Prima però, ho avuto un incontro inatteso: la signora francese, che faceva da appoggio al marito e a un amico. Lo zoppo si era ristabilito ed era ripartito a una velocità ragionevole, saltando una parte del percorso.
Poi però non li ho più rivisti. Chissà se sono arrivati a Santiago?
Pochi chilometri fuori del paese un cippo ricorda un pellegrino (tedesco anche lui) morto lì per cause ignote nel 1998. Forse è caduto, forse ha avuto un malore, chissà. Certo che se fossi tedesco ci penserei due volte prima di partire per Santiago...
In verità, la mia nonna paterna era tedesca; quindi, qualche rischio l'ho corso anch'io...
Mentre sto entrando al Burgo Ranero, il punto-tappa di oggi, mi ferma un signore in bicicletta che sta andando in direzione opposta alla mia. Sulle prime lo prendo per un galoppino d'albergo, perché mi dice che in paese ci sono due alberghi normali, oltre a quello dei pellegrini che però a quest'ora sarà già pieno. Cambiando discorso, mi chiede da dove vengo e, sentendo che sono italiano, mi spiega come e perché secondo lui l'italiano sia la lingua più bella del mondo: perché quasi tutte le parole finiscono per vocale e ciò la rende una lingua particolarmente armonica; inoltre, non ci sono suoni aspri, come la 'jota' o la 'ceta' spagnole.
Poi mi ha spiegato che sta studiando l'inglese, anche se non gli serve a niente, perché è già in pensione da un pezzo e al Burgo Ranero non ha molte occasioni di parlarlo (per non dire nessuna). Però lo studio gli serve per tenere la testa allenata ed evitare il morbo di Alzheimer.
Infine mi chiede se fumo; alla mia risposta positiva mi raccomanda di smettere. Io lo prendo in contropiede con la solita battuta che la nicotina combatte lo sviluppo del morbo, ma non sembra convinto. Dopo avermi salutato, gira la bicicletta e torna in paese, come se fosse arrivato fin lì soltanto per incontrarmi.
Come sembra ormai dimostrato, i fumatori hanno meno probabilità di contrarre il morbo di Alzheimer rispetto ai non-fumatori; ma questo non dipende da qualche dote terapeutica della nicotina, bensì dal fatto che i fumatori muoiono prima dei non-fumatori.
L'albergo dei pellegrini è pieno. Così vado in uno dei due alberghi normali dove ho una stanza tutta per me, con vasca invece della solita doccia. Dopo una buona seduta di décrottage scendo al bar per scrivere queste note; al tavolino di fianco al mio c'è una ragazza che scrive anche lei consultando una guida del Cammino in francese. Facciamo due chiacchiere e scopro che viene dalla Martinica, che era venuta in Francia per fare il Cammino di Santiago e per fare visita ai parenti, che quando ha saputo della visita del papa a Lourdes ha deciso di andarci anche lei e poi, già che era lì, ha deciso di iniziare il suo pellegrinaggio da Lourdes anziché da Roncisvalle. Non male neanche lei!
Dopo averci pensato a lungo durante il cammino, credo di aver trovato la risposta alla domanda: 'perché sto andando a Santiago se non credo in Dio?'
All'inizio della mia attività, diciamo così, sportiva, dopo che i ragazzi erano cresciuti e avevano conquistato la loro indipendenza, ho avuto una prima fase legata alla conquista, al raggiungimento della vetta o, in campo sciistico, al conseguimento di un premio, di una medaglia.
Ne sono prova i tanti '4.000' che ho salito tra il 1976 (Gran Paradiso) e il 1992 (Cervino); dopo di allora il mio interesse per le vette è di molto calato. Anche se occasionalmente mi capita di salirne ancora qualcuna, come ho fatto lo scorso anno con il Monte Emilius, arrivare in vetta non mi procura più la stessa emozione che ricordo di aver provato dieci o vent'anni fa.
Poi c'è stata la scoperta delle grandi escursioni, cominciata intorno al 1980 con il primo Giro del Monte Bianco, seguito dalle escursioni in Corsica lungo il Gr 20, senza contare le escursioni in bicicletta.
Erano - e sono, ogni tanto ne faccio ancora qualcuna - escursioni faticose, nelle quali le mie capacità sono state messe a dura prova; quando sono andato dall'Atlantico al Mediterraneo lungo i Pirenei, ho camminato per 210 ore in 26 giorni, superando un dislivello in salita di 29.000 metri. Erano escursioni prettamente sportive, in mezzo alla natura, tanto più 'belle' quanto più la natura era aspra e il cammino faticoso.
Invece, negli ultimi anni ho sviluppato un interesse crescente per le escursioni con un contenuto storico, culturale o di contatto con la società (parola impegnativa, ma non me ne viene in mente un'altra). Così in Corsica ho lasciato da parte il GR 20 e vado per villaggi e strade, così vado in Val Roja, sui sentieri del Lario, in Val Codera...e a Santiago.
Quanto alla scelta del Cammino di Santiago rispetto ad altri itinerari altrettanto interessanti, ho già accennato al fatto che me n'ero occupato dieci anni fa per Trekking Italia, che avevo letto parecchie cose su questo itinerario, che l'ho ristudiato tre anni fa preparando le lezioni dell'U.T.E. Insomma, mi ha incuriosito sempre di più e, finalmente, ho deciso che era ora di togliermi questo sfizio.
Inoltre, il Cammino di Santiago è l'ideale per chi va da solo: c'è sempre un tanta gente in giro e dunque il rischio di non avere assistenza in caso di incidente è assai ridotto. (Certo, un incidente può sempre capitare, come ai due tedeschi di Sahagùn, ma se si va a pensare a tutto quel che può succedere, non si dovrebbe più uscire di casa.)
Eccomi nell'ultima capitàl, l'ultimo capoluogo provinciale prima di Santiago. Ci saranno ancora città importanti da attraversare, come Astorga, Ponferrada e Sarria, ma nessuna è capoluogo di provincia.
Il toponimo Leòn non ha nulla a che vedere con il leone: deriva dal fatto che qui fu posto il campo della 'Legio VII Gemina', che i romani mandarono da queste parti per calmare i sussulti indipendentisti degli asturiani e dei baschi (già allora!).
Legio - legionem - Leòn.
Stamattina faceva veramente freddo. Sono partito alle 7½, camminando una buona mezz'ora prima che sorgesse il sole, con la giacca di pile che ho tenuto fino alle undici, quando il termometro del mio orologio multifunzioni mi ha informato che la temperatura era salita a ben 10° all'ombra.
Oggi pochi scambi culturali, salvo qualche scambio di battute con pellegrini già visti nelle tappe precedenti. Invece, verso le undici è capitata una cosa strana. Mentre camminavo sulla calzada, la pedonale parallela alla strada, ho sentito un rumore di motore dietro di me e poi ho visto un'ombra strana che mi superava (andando verso ovest, ho il sole alle spalle fin verso mezzogiorno). Sulla strada non passava nessuno, ma in aria sì. Era un deltaplano a motore, seguito a breve distanza da altri quattro, diretti verso Leòn. Chissà se andavano anche loro a Santiago? E, in questo caso, avrebbero diritto anche loro alla Compostella, il certificato di pellegrinaggio che, come si legge sulla Credenziale, viene consegnato solamente a chi ha percorso in Cammino a piedi, in bicicletta o a cavallo?
Ben più divertente l'incontro con i cavalieri diretti a Santiago. Già ieri avevo notato una quantità insolita di cacca di cavallo fresca lungo il percorso, senza capire da dove venisse (cioè, veniva dal culo dei cavalli, questo è ovvio, ma non capivo dove fossero i cavalli e dove fossero diretti).
Invece stamattina, arrivato a Mansilla de las Mulas, me li sono trovati davanti uscendo dalla banca dove ero andato a ritirare un po' di soldi e a farmi dare un completo di monete spagnole per il nipote che sta collezionando le nuove monete dell'euro coniate nelle varie nazioni. Poi, durante la solita pausa-bocadillo ho letto sul giornale la notizia che ho provveduto a ritagliare.
L'articolo ha per titolo 'Il carro, la mula e a Santiago!'. Si vedono due fotografie: una dei cavalieri e l'altra di un carretto tirato da un asino. Nel testo dell'articolo si dice che uomini e bestie sono partiti da Sahagùn per 'cercare l'anima antica del Cammino'.
Poi li ho persi di vista perché andavano un po' più veloci di me, ma ho assistito al casino che hanno provocato quando, per attraversare un fiume, sono dovuti salire sulla carreggiata stradale: in breve si è formata una coda di camion e automobili che non finiva più!
Ho poi chiesto notizie di loro arrivando a Leòn, perché nell'articolo si diceva che anche loro si sarebbero fermati in città. All'Ufficio per l'Assistenza ai Pellegrini (ce n'è uno all'ingresso di ogni città importante e spesso anche all'ingresso dei centri minori) mi hanno detto che erano passati e che probabilmente li avevano dirottati all'ippodromo per la notte.
Una nota di colore: entrando a Leòn vedo un grande manifesto della McDonald: a tutti i pellegrini che andranno a mangiare qualcosa nei suoi due ristoranti della città, la Mc Donald offre gratis il dessert! Non so se siano in molti ad approfittarne, visto che il 'menù del pellegrino' disponibile in molti ristoranti offre un pasto più che dignitoso per 6 - 8 €, ma la cosa mi sembra indicativa dell'importanza dei pellegrini e del rispetto che li circonda. Non siamo degli straccioni rompiscatole che girano per la Spagna senza spendere una lira, insomma, ma degli ospiti da accogliere con amicizia e simpatia.
Dopo essermi sgrassato in un lussuoso albergo a tre stelle sulla via principale della città, vado a visitare la cattedrale, veramente bella, con una serie di vetrate spettacolari, ancorché sempre con quel dannato recinto messo in mezzo alla chiesa, quasi per impedire ai semplici fedeli di assistere alla messa.
Anche il chiostro è bello, sebbene un po' troppo arzigogolato per i miei gusti. La signorina incaricata di vendere i biglietti per il chiostro voleva a tutti i costi vendermi il biglietto combinato chiostro + museo (2 €, mentre il biglietto per il solo chiostro costava 1 €) sottolineando che, insomma, per 1 € in più avrei potuto visitare anche il museo; ma francamente non ne avevo voglia.
A Leòn sarei voluto andare alla Biblioteca Civica per trovare risposta alle curiosità su Carlo Magno, sul Cid e su altri argomenti, ma la Biblioteca era troppo lontana dal centro e così ci rinuncio perché quando sono uscito dalla cattedrale erano ormai le sei di sera.
Malgrado il basso consumo, temo di non avere abbastanza tabacco per arrivare fino a Santiago. Così cerco un tabaccaio e scopro che il tabacco Dunhill qui costa la metà rispetto all'Italia: 4,75 € contro 9,90 €. Forse varrà la pena di farne scorta a Santiago!
Anche stamattina faceva freddo. Quando sono partito c'erano 8° e il cielo era coperto, per cui il sole non è venuto a riscaldare l'aria come nei giorni scorsi.
Alle undici c'erano 15°, il cielo era ancora coperto e la giornata si annunciava veramente moscia. Forse per una sorta di meteoropatia collettiva, anche i pellegrini erano insolitamente silenziosi, sia i solitari che quelli a coppie o in gruppo.
Poi, a mezzogiorno, mi sono fermato a mangiare il solito panino. Miracolosamente, quando sono uscito dal bar, le nuvole erano scomparse e c'era un bel sole caldo. Adesso sono le sei ed è ancora tutto sereno - proprio una giornata a due facce!
Mentre stavo finendo il maxi-bocadillo al bar, chi vedo arrivare? Il quacchero che avevo incontrato due o tre giorni fa, un po' malandato a una gamba e intenzionato quindi a fermarsi al prossimo albergue. Peccato, sarebbe stato carino di passare la sera con lui!
A proposito di bar: forse dovrei smettere di lamentarmi per la musica spesso fastidiosa che si sente in quelli italiani. In quelli spagnoli c'è sempre un frastuono infernale dovuto in parte agli avventori che gridano invece di parlare e che quando giocano a carte o a domino accompagnano le giocate con grida di entusiasmo o di sconforto. Ma la causa principale del casino è la televisione, presente in tutti i bar e ristoranti (esclusi quelli di alto livello). Nessuno la guarda, ma va bene lo stesso, basta che faccia rumore. Il bar di oggi, poi, aveva addirittura due televisioni accese, sintonizzate su due canali diversi, con un effetto complessivo veramente demenziale. Però fuori faceva troppo freddo e così ho dovuto sorbirmi mezz'ora di rumore noiosissimo.
I bar, sono rumorosi, è vero, ma sono tutti forniti di servizi quasi impeccabili, puliti al mattino come nel tardo pomeriggio quando ci sono passati decine di pellegrini e pellegrine, evidentemente più rispettosi dell'igiene pubblica di quanto non sia l'italiano medio.
Stamattina, uscendo da Leòn, sono passato davanti a un edificio rinascimentale spettacoloso, con una facciata superbamente illuminata nel buio delle 7½. C'era un portone illuminato, per cui sono andato a vedere e ho scoperto che era un albergo, uno dei famosi parador, fiore all'occhiello della struttura alberghiera spagnola, di proprietà statale. (Ne avevo già incontrato un altro a Santo Domingo de la Calzada, ma questo lo batte dieci a uno.)
Ultima nota curiosa: appena fuori Leòn sono passato di fianco a certe strane costruzioni con una porta che dava in un sotterraneo coperto da terra ed erba. Avendo chiesto informazioni a un residente, ho scoperto che sono delle bodegas, ossia dei crotti nei quali si conserva il vino al fresco d'estate, come a Chiavenna: forse dovrei proporre un gemellaggio tra le due città...
Poi, alla fine della tappa, la sorpresa del ponte di Órbigo, bellissimo e ben restaurato: il più bello tra quelli incontrati finora; e l'albergo dei pellegrini, gestito dagli Ospitalieri, con un patio freschissimo e un frutteto dove sarebbe bello sdraiarsi sull'erba, se il sole non avesse portato con sé anche le mosche, evidentemente anche loro meteoropatiche, visto che stamattina non ce n'era nemmeno una.
Mentre stavo scrivendo sono passati i cavalieri incontrati ieri a Sahagùn: andavano ad Astorga, 15 chilometri più avanti, per cui temo di non rivederli più.
(Incredibile ma vero! Anche nell'albergue c'è la musica! Discreta, è vero, un'arpa solitaria, ma c'è.)
Siccome i piedi si sono rassegnati e non protestano più, ieri si sono fatti vivi un ginocchio e una spalla. Un po' di Lasonil al primo e la rinuncia ai bastoni (che obbligano a muovere le braccia in continuazione) dovrebbero aver sistemato anche loro. Almeno, oggi non ho avuto problemi, vedremo domani.
Domani è venerdì 17, speriamo che non porti male; il tempo si annuncia buono come è stato finora, salvo la mattina dell'altro martedì, e per il resto si vedrà domani sera.
La giornata è trascorsa senza che succedesse niente di grave, anzi!
L'arrivo ad Astorga, l'antica Augusta Asturica, sede del governatore romano incaricato di sfruttare le miniere d'oro delle Asturie, è stato allietato dall'incontro con un cantante e suonatore di chitarra gitano, così bravo che sono rimasto ad ascoltarlo per mezz'ora e ho poi finito per acquistare il suo CD per il modico prezzo di 12 €. Tra le altre, ci sono ben tre canzoni dedicate ai pellegrini; non ho resistito alla tentazione di telefonare alla mia amata sposa per fargliele ascoltare in diretta, ma purtroppo non era in casa e quindi le ho registrate sulla segreteria telefonica, in attesa di ascoltarle per intero a casa.
La canzone più bella del Cd si intitola 'Yo soy un peregrino'. Non potendo riprodurre qui il ritmo travolgente del flamenco, mi limito a riportare il testo della canzone, non senza segnalare che potrebbe esserci qualche imperfezione nella trascrizione e che alcuni verbi (mandar invece di enviar, dir invece di decir) sono così nell'originale.
Yo soy un peregrino
(testo, musica ed esecuzione di José Alleluya)
Yo soy un peregrino
Que voy por el Camino
Con una mochila y una guitarra
Donde vas peregrino
Con la mochila y la guitarra
Y la guitarra para el Camino
Ya llega la Cruz del Hierro
Tengo que dir a la tierra
Que es el costumbre del peregrino
Y a Santiago voy mi querido
Caminando
Por la carretera
Que en Compostela
Estan esperando
Yo soy un peregrino
Me voy por el Camino
Con una mochila y una guitarra
Desde Astorga te mando
Una postal
Porque estoy llegando
A Santiago de Compostela
Yo soy un peregrino
Me voy por el Camino
Con una mochila y una guitarra
Un peregrino gitano
Viene el desde Roncesvalles
Tiene ir caminando
Con una mochila
Donde vas peregrino
Con la mochila y la guitarra
Y la guitarra para el Camino
Y a Santiago voy mi querido
Caminando
Por la carretera
Que en Compostela
Estan esperando
Io sono un pellegrino
(testo, musica ed esecuzione di José Alleluya)
Io sono un pellegrino
Vado per il Cammino
Con lo zaino e una chitarra
Dove vai pellegrino
Con lo zaino e la chitarra
E la chitarra per il Cammino
Già arriva la Croce di Ferro
Devo annunciare alla Terra
Che è l'uso del pellegrino
E vado a Santiago, mio amato
Camminando
Per la strada
Che a Compostella
Stanno aspettando
Io sono un pellegrino
Vado per il Cammino
Con lo zaino e una chitarra
Da Astorga ti mando
Una cartolina
Perché sto arrivando
A Santiago di Compostella
Io sono un pellegrino
Vado per il Cammino
Con lo zaino e una chitarra
Un pellegrino gitano
Che viene da Roncisvalle
E deve camminare
Con lo zaino
Dove vai, pellegrino
Con lo zaino e la chitarra
E la chitarra per il Cammino
E vado a Santiago, mio amato
Camminando
Per la strada
Che a Compostella
Stanno aspettando
Astorga ha una bella cattedrale, con un retablo imponente e con il solito recinto per i potenti; a quanto pare tutte le cattedrali spagnole sono fatte così, con il risultato che si perde lo spettacolo d'insieme dell'interno.
A fianco della cattedrale c'è il bellissimo e curioso palazzo episcopale costruito da Antoni Gaudì in finto stile castellare, con la solita fantasia architettonica sfrenata che contraddistingue questo artista catalano.
Vista da lontano, questa cittadina fatta di case basse tra le quali svettano la cattedrale e il finto castello di Gaudì ma ha fatto venire in mente Avignone, con il Palazzo dei Papi che troneggia sopra il resto della città, quasi a simboleggiare il potere temporale dei papi.
Stamattina un bel leprotto ha attraversato il sentiero mentre passavo; a parte gli uccelli, è il primo animale selvatico che incontro.
(Non conto nel numero le mosche, oggi molto attive perché faceva caldo. In effetti, ormai potrei scrivere un trattato sui vari tipi di mosche e sul loro comportamento.
Ci sono le mosche da strada, che attendono i pellegrini lungo il sentiero. Le più fastidiose sono quelle che ballano davanti agli occhi mentre si cammina, distraendo l'attenzione del viandante, sempre pronte a posarsi sul naso, agli angoli della bocca o vicino agli occhi. Poi ci sono quelle che ronzano vicino alle orecchie, noiose anche loro per via del rumore e perché poi si posano sulle orecchie o sulla testa facendo un solletico fastidiosissimo. Infine, ci sono quelle che si posano sullo zaino e/o sui vestiti, del tutto innocue.
Poi ci sono le mosche stanziali, che entrano in azione negli albergue o durante le soste. Queste mosche prediligono le gambe e le braccia, soprattutto se sono esposte al sole, anche dopo la doccia che dovrebbe togliere ogni traccia di sudore. L'unica soluzione è mettere i calzoni lunghi e la giacca, oppure rintanarsi il luoghi freschi e poco illuminati come ho fatto poco fa.)
Oggi ho passato i 2/3 del Cammino: 489 chilometri sui 723 della guida che sto usando, qualcuno in più secondo la Credenziale e secondo l'altra guida che da' un totale di 752 chilometri.
Ancora due note su ieri sera. Una per segnalare che ho cenato ottimamente (prosciutto e melone, carne di maiale con patatine, gelato e vino) per 7 €, al suono discretissimo di valzer viennesi e del Valzer delle Candele, la 'Canzone dell'addio' degli scout che mi è tanto cara. Una cosa talmente insolita che merita la citazione.
L'altra è che, parlando con il gestore dell'albergue, ho saputo che quest'estate ci sono stati meno pellegrini di quanti se ne aspettassero per via dell'Anno Santo Compostelliano. Secondo il gestore è stato proprio l'annuncio delle folle previste sul Cammino a scoraggiare chi pensava di partire il luglio o in agosto.
L'ultima nota riguarda la Corsica. Di ritorno dall'escursione sui sentieri còrsi con Alessandro e Riccardo avevo scritto alla signora Morfino del Consolato Italiano di Bastia e a Ségolène Combe (l'allieva del professor Jehasse) proponendo un programma per la serata del 20 ottobre dedicata a Seneca e aggiungendo che mi aspettavo il rimborso delle spese di viaggio, senza alcun compenso personale.
La signorina Combe mi ha chiamato ieri sul cellulare lasciandomi un messaggio in segreteria per sapere a che ora sarebbe stato l'incontro, perché doveva incontrare lunedì il professore per parlargli di questa cosa. Così ho chiamato la signora Morfino e ho scoperto che il Consolato ha annullato l'incontro perché non può spendere 100 o 150 € per far venire un conferenziere dall'Italia... Bella figura per me e per l'Italia ufficiale! Pazienza, sarà per un'altra volta, se ne capiterà l'occasione.
Qualche anno fa ho scritto 'Lettera dalla Corsica', una lettera apocrifa attribuita a Lucio Anneo Seneca, che fu esiliato per otto anni in Corsica. La 'Lettera' è stata pubblicata nel 1996 da un editore còrso con una prefazione di Olivier Jehasse, professore di storia antica all'Università di Corte ed ha avuto un discreto successo. Durante un soggiorno a Bastia nel giugno di quest'anno avevo incontrato il console italiano, che mi aveva proposto di organizzare una serata al consolato per presentare la 'Lettera'. Evidentemente il console pensava che io avrei pagato le spese di viaggio solo per il piacere di presentare il mio libro, ma si sbagliava.
Eccomi a Ponferrada, ultima presenza templare lungo il Cammino. La città mi è sembrata complessivamente brutta, tutta di case moderne salvo poche eccezioni, tra le quali la più importante è il castello dei cavalieri templari, eretto nel XIII secolo.
Il castello sorge alto sulla collina, sopra un fiume miserello e sporco. Fu occupato dai templari per un secolo fino allo scioglimento dell'Ordine, poi passò a signorotti locali e infine al re di Spagna che ne fece una caserma. Dell'epoca templare rimane poco, ma i lavori di conservazione e restauro sono stati eseguiti con cura e un percorso guidato permette di seguire le varie età dei ruderi e delle mura imponenti - con qualche difficoltà per chi non parla bene lo spagnolo.
Visto dal basso, il castello è particolarmente suggestivo di sera quando le mura sono illuminate.
Prima di arrivare a Ponferrada, dove ho trovato una camera in un bell'albergo a tre stelle, ero passato dal Colle di Manjarìn, che segna il limite tra la Spagna mediterranea con le case a tetti rossi, e quella atlantica con i tetti di ardesia nera. Il primo villaggio dopo il colle, El Acebo, è un bel villaggio di case vecchie al quale sono arrivato dall'alto, ciò che mi ha permesso di notare questo cambio di stile architettonico.
Prima ancora ero passato dal piccolo borgo di Manjarìn che, nella fotografia della topoguida, sembrava un luogo alpino e desolato, addirittura innevato. In realtà è un piccolo gruppo di case graziose, assolato e caldo come il resto di questa montagna che arriva ai 1.500 metri ma è morbida e coperta di boschi e pascoli come i monti del triangolo Lariano; forse in inverno ci nevica pure, ma non certo in questa stagione.
Andando a ritroso nella giornata, sono passato dalla 'Croce di Ferro', luogo-simbolo del Cammino dove tutti i pellegrini buttano un sasso ai piedi della croce, un po' come al Tumulo del Pian delle Dame lungo il Giro del Monte Bianco.
Però qui passa molta più gente e ognuno, nessuno escluso, mette il suo sasso. Il cumulo è ormai un cono con una circonferenza di 70 metri e un'altezza di 5/6 metri. Se ho fatto bene i conti, sono circa 900 metri cubi di sassi!
Prima ancora, salendo verso il colle, ho assistito a un'alba spettacolare, la più bella vista finora, grazie al dislivello tra il mio punto di vista lungo la salita che porta al colle e la pianura ai miei piedi. Lo spettacolo era così bello che mi sono fermato più volte per girarmi ad ammirarlo, perché il Cammino va da est a ovest e quindi il sole sorge alle spalle dei pellegrini.
Il mutare dei colori nel cielo, dal nero al blu all'azzurro e nel paesaggio, dal nero punteggiato di luci al verde dei boschi e agli altri colori via via sempre più netti a mano a mano che il sole si preparava a spuntare, mi ha fatto venire in mente la pittura degli impressionisti e il ruolo della luce nelle loro tele; in particolare le varie versioni della Cattedrale di Reims (o era Rouen? O Strasburgo?) dipinte da Manet (o era qualcun altro? Ahi, ahi, perdiamo colpi a gran velocità...) e un quadro di non ricordo chi, intitolato 'Impression, soleil levant' che, se non ricordo male, ha poi dato il nome a tutto il movimento impressionista.
La cattedrale in questione è quella di Rouen, dipinta da Claude Monet, che è anche l'autore del quadro 'Impression. Soleil levant' esposto a Parigi nel 1874. Un critico benpensante ironizzò sul quadro definendolo 'impressionista'; nelle sue intenzioni, la definizione voleva essere spregiativa, ma ebbe fortuna ed è rimasta nella storia dell'arte.
Anche oggi ho avuto parecchi incontri durante le soste: un simpaticissimo francese di Pau con il quale ho parlato dei Pirenei, tre ciclisti italiani di Usmate, simpatici anche loro, e due italiane incontrate alla Croce di ferro, alquanto scorbutiche: sembrava quasi che aver trovato un compatriota desse loro fastidio.
Et voilà. Sono quasi le nove di sera e se va bene tra mezz'ora riuscirò a cenare, secondo gli orari spagnoli vigenti nell'albergo. (Invece, nei luoghi frequentati dai pellegrini si cena presto, alle 7½ o giù di lì, e si va a letto tra le nove e le dieci perché gli albergue vanno lasciati liberi entro le otto del mattino.)
Dunque, ieri sera ero nella hall dell'albergo, in attesa che il ristorante aprisse i battenti, insieme a una coppia di mezza età. Mi stavo chiedendo come mai nell'albergo deserto non avessero più camere doppie (la padrona mi aveva detto di avere solo più due camere singole quando era andato a chiedere ospitalità); ed ecco, arriva una pullmanata di pensionati spagnoli vocianti... Cosa siano venuti a fare da queste parti dove in un'ora hai visto tutto quello che c'è da vedere, non so; ma evidentemente il loro tour prevedeva una sosta a Ponferrada prima di dirigersi verso 'Gibraltar aux anciens parapets, car tel était leur itinéraire' come dice...
Vedi il diario di lunedì per la spiegazione dei puntini di sospensione.
Arrivati i turiglioni, si apre il ristorante. Io entro con la coppia, che si rivela essere composta di due pellegrini francesi con i quali finisco per sedermi allo stesso tavolo, in un frastuono incredibile che si placa soltanto quando le bocche sono piene.
I due sono partiti in maggio da Tours, sono arrivati a Pamplona in giugno, poi hanno interrotto il pellegrinaggio 'pour des raisons professionnelles' non meglio specificate e adesso sono ripartiti da Pamplona diretti a Santiago. Morale: qualunque cosa uno faccia, c'è sempre qualcuno che ha fatto di più...
Qualche accenno all'Irak, dove pare che i due giornalisti francesi siano stati liberati; io esprimo le mie opinioni sulle malefatte di Bush e sulle conseguenze di queste malefatte, incluso il sequestro delle due ragazze italiane, e il tipo si inalbera dicendo che il sequestro non è colpa di Bush ma dei terroristi. Cerco di spiegargli che un conto è l'atto del sequestro, ovviamente non imputabile a Bush o ai suoi gruppi di interesse, e un conto è la scelta politica che ha creato le condizioni per il sequestro; ma è tempo perso, complice anche il rumore di fondo che rende difficile una conversazione in lingua straniera.
Peccato, perché sembravano due tipi simpatici. Ma tanto non li vedrò più perché hanno ritmi di marcia inferiori ai miei.
La notizia della liberazione dei due giornalisti francesi si è rivelata falsa; alla metà di dicembre i due sono ancora nelle mani dei sequestratori.
Oggi ho attraversato la zona vinicola del Bierzo, della quale Ponferrada è il capoluogo. È giorno di vendemmia e i vigneti sono pieni di uomini, donne e ragazzi intenti a cogliere i grappoli, metterli in grandi ceste di plastica per poi portarli sulle sterrate dove stazionano decine di trattori con i rimorchi, che vanno e vengono dalle centrali di raccolta. Un bello spettacolo, che non avevo mai visto prima e che ha un sapore antico, soprattutto qui dove i filari sono stretti e le vigne basse, sicché i trattori non possono arrivare troppo vicini ai vigneti.
In uno dei paesi che ho attraversato c'era addirittura un vignaiolo che stava pestando l'uva nel rimorchio - evidentemente aveva una vigna troppo piccola per consegnare l'uva alla cantina sociale come gli altri.
Prima di Villafranca invece c'era un gruppo di ragazzini che incitava i passanti, per lo più pellegrini, a comprare l'uva. Non si fermava nessuno ma sicuramente per loro era comunque un divertimento.
Qualche giorno fa avevo visto due cicogne; tra ieri e oggi ho visto parecchi altri nidi in cima ai campanili o sul tetto delle chiese, ma erano ormai vuoti. Probabilmente le occupanti erano già partite, nonostante il caldo che anche oggi si è fatto sentire.
Alle 3½ ero a Trabadelo, dove avevo previsto di fermarmi. Avrei potuto anche proseguire fino al paese successivo, visto che ce n'era il tempo e la 'macchina' funzionava bene, ma ho deciso di fermarmi lo stesso perché faceva troppo caldo e qui l'ombra è un bene scarso e prezioso.
Curiosamente, stamani verso le dieci si sono sentiti dei colpi, come delle cannonate. Mi sono guardato in giro e ho visto in cielo delle specie di fuochi d'artificio stitici. Fuochi d'artificio? Alle dieci del mattino? Va bene che è domenica, ma mi sembrava proprio strano. Uno dei pellegrini, al quale ho chiesto che cosa ne pensasse, ha detto che potevano essere dei tiri antigrandine mirati a una nuvola di passaggio; forse era così, anche se le probabilità di una grandinata mi sembravano vicine allo zero.
Qui, come in Portogallo, si incontrano dei monumenti davvero strani. Ieri ne ho visto uno dedicato a un ciclista, probabilmente caduto lungo una discesa, perché oltre alla bicicletta stilizzata c'erano una croce e un nome (tedesco, tanto per cambiare...). A Ponferrada, nella piazza del municipio, c'era un monumento al distributore di bombole del gas, in bronzo, simile a quello del distributore di biglietti della lotteria visto a Lisbona (o era un postino?)
Era il monumento al distributore di biglietti della lotteria, eretto nella piazza davanti alla chiesa di San Roque nel Bairro Alto.
Stamani ne ho visto un altro, in legno, raffigurante una donna con la figlioletta al fianco e una cesta sul capo. Essendomi fermato al bar, ho chiesto spiegazioni al barista; secondo lui sul luogo dove sorge il monumento c'era un castagno, grande e ombroso. Un bel giorno il castagno è morto; invece di abbatterlo, il sindaco ha pensato di ricavarne una statua lignea in onore delle raccoglitrici di castagne. Carino, no?
L'ultimo monumento della giornata stava su un ponte di Villafranca: era un monumento al pellegrino, in pietra grezza, di fattura non ignobile. Pochi chilometri prima ce n'era un altro dedicato ai vignaioli: un cilindro di pietra con attaccati dei grappoli d'uva in metallo e, sempre in metallo, un vignaiolo tutto nudo nell'atto di cogliere i grappoli. Per evitare di mostrare le chiappe del vignaiolo, l'ignoto scultore aveva pensato bene di coprirle con una striscia di pietra che fuoriusciva dal cilindro nel punto opportuno. Chissà quanto studio gli ci sarà voluto per trovare la posizione giusta!
Voilà tout. Un'ultima nota a proposito dei pellegrini. Quando ci si supera o si incrocia un gruppo fermo, o si incrocia un pellegrino che torna a casa a piedi (eh, sì, ce ne sono anche di quelli che fanno andata e ritorno a piedi, come nel Medio Evo; oggi ne ho incontrati due) il saluto standard è 'Buen camino!'; dove 'camino' si può intendere come il cammino, con la 'ci' minuscola, ma anche come il Cammino, con la 'ci' maiuscola, ossia il Cammino di Santiago.
Anche molti residenti salutano così, e perfino alcuni automobilisti che rallentano appositamente per incoraggiare i pellegrini in marcia lungo la strada: un incitamento e un augurio che trovo molto bello.
Con la tappa di oggi ho percorso 553 chilometri, più di tre quarti del totale (calcolato su 723 chilometri). Ne mancano appena (appena?) 180 e poi è fatta!
Dimenticavo di segnalare che Villafranca è una bella cittadina con case, chiese e palazzi ben conservati. Ma oggi è domenica e tutto era chiuso e deserto, tanto che ho fatto fatica a trovare un bar aperto.
Secondo la topoguida, i pellegrini medievali infortunati potevano fermarsi e ottenere la stessa indulgenza senza bisogno di arrivare a Santiago, entrando nella chiesa principale di Villafranca e recitando le preghiere prescritte. Quasi quasi...
Ieri sera stavo scrivendo i miei commenti sui turiglioni e, naturalmente, mi è venuto in mente Fédor Balanovitch, uno dei più divertenti personaggi di 'Zazie dans le métro'. Ma, quando ho cercato di ricordare il nome dell'autore, ho avuto un vuoto di memoria. Neppure il ricorso al solito sistema di passare le lettere dell'alfabeto una a una ha funzionato. Disperato, stavo per ritelefonare a Milano per chiedere aiuto alla mia amatissima sposa, alla quale avevo già fatto la rituale telefonata della sera per informarla sull'andamento del pellegrinaggio; poi mi è venuto in mente il romanzo 'La versione di Barney' di Mordecai Richler (questo me lo ricordo...) nel quale il protagonista, affetto da un incipiente morbo di Alzheimer, telefona da Montréal a Londra nel cuore della notte per chiedere al figlio il nome dell'ultimo nano che gli manca all'appello. Così ho rinunciato a telefonare e, dopo un paio d'ore di ricerche mentali, quando ormai ero a letto, mi è finalmente venuto il nome di Raymond Queneau, che prima non avevo trovato perché nel passare le lettere dell'alfabeto avevo bellamente saltato la 'q'.
Insomma, da un lato perdiamo colpi, ma dall'altro qualcosa si recupera...
Dopo aver attraversato la Navarra (provincia di Pamplona), la Rioja (provincia di Logroño) e la regione di Castilla y Leòn (province di Burgos, Palencia e Leòn), oggi sono entrato nella Galizia e precisamente nella provincia di Lugo, cui seguirà quella della Coruña dove si trova anche Santiago di Compostella.
Il cambio di regione è avvenuto quasi alla fine della salita che porta a O Cebreiro, la temida subida, la salita temuta (dai pellegrini, suppongo; così si legge sulla topoguida) che poi in realtà è una normalissima salita di montagna.
Certo, a guardare la cartina con il profilo altimetrico si vede qualcosa di minaccioso, come quello che ho disegnato qui sotto:
ma è soltanto un'impressione dovuta al fatto che la scala delle distanze e quella delle altezze sono diverse, in rapporto di quasi 1:10. Se si mettessero distanza e dislivello sulla stessa scala, la pendenza sarebbe più o meno del 10%, una cosa del tutto accettabile, tanto più che la calzada, il sentiero, è larga e comoda.
Durante la salita ritrovo il francese di Pau con il quale ci incrociamo da due o tre giorni (ma lui si ferma al Cebreiro e quindi lo perdo di vista definitivamente) e i cavalieri, con i quali ci sorpassiamo a vicenda tre volte fino a Triacastela, dove si fermano anche loro.
La valle che culmina al Cebreiro si chiama Valcarce o Valcarcel a seconda dei cartelli; il nome poco invitante deriva in primo luogo dal fatto che, secondo gli standard locali, è una valle molto stretta. Certo, dopo gli spazi sterminati della Castiglia, la valle risulta chiusa, ma per i nostri standard alpini è una valle larga e comoda, nella quale passano il Cammino di Santiago, una strada nazionale e l'autostrada.
Altri sostengono che il nome derivi dal fatto che, alto sopra la valle, si vede ancora il rudere del castello di Sarracin, il cui nome non viene dai saraceni, ma da un nobile (poco) cristiano che taglieggiava i pellegrini in transito nella valle.
Nella parte alta, la Valcarce è molto bella, con grandi prati verdi sui quali pascolano tranquillamente decine di mucche grasse e paciose che apparentemente passano la notte all'aperto, giacché ne ho viste alcune comodamente sdraiate sull'erba con gli occhi chiusi alle otto di mattina.
Insomma, oggi mentre salivo verso O Cebreiro mi sono sentito 'a casa'.
Arrivato in paese, mi è sembrato di essere entrato in un altro film. O Cebreiro è famoso (non solo presso i pellegrini) perché ci sono alcune case rotonde con il tetto di paglia, residui amorosamente conservati di un antico villaggio celtico o, per meglio dire, celtibero. Qui arrivano turisti a frotte e mentre mangiavo il mio solito bocadillo c'era perfino una troupe televisiva che stava registrando un servizio per la televisione gallega.
Poco oltre questo alto luogo turistico c'è il monumento più famoso del Cammino, cattedrale di Santiago esclusa: il Monumento al peregrino eretto sull'Alto de San Roque, un passo ventoso come tutti i passi di montagna. Il pellegrino è chino in avanti per contrastare il vento dell'ovest; tiene con una mano il cappello mentre nell'altra ha il bordone con la tradizionale zucca per l'acqua. Mi è sembrato bello, o per lo meno realistico e simbolico al tempo stesso.
All'origine avevo pensato di fermarmi per la notte in un piccolo paese a 15 chilometri dal Cebreiro, dove ero arrivato intorno alle tre del pomeriggio.
Arrivato a Biduedo (così si chiama il posto), entro nel bar/ristorante/albergo e chiedo se c'è una stanza o un letto. La stanza c'è, mi dice la signora, senza bagno e al prezzo di 25 €, un prezzo decisamente alto per noi pellegrini. Ma a me va bene lo stesso. La signora mi chiede di aspettare un minuto e io mi accomodo al bar.
Un quarto d'ora dopo la signora è sempre latitante e il barista non ne sa nulla. Mi girano i cinque minuti, prendo lo zaino e mi avvio verso Triacastela dove arrivo alle 5½, dopo altri otto chilometri di cammino.
Sarà la tappa più lunga, 41 chilometri in quasi nove ore di cammino effettivo, con quasi 1.000 metri di dislivello, ma ormai sono ben rodato e lo sforzo non sembra avere conseguenze.
Trovo posto con qualche fatica in un bell'albergo per pellegrini al modico prezzo di 7 €, ceno in un buon ristorante e nel supermercato del paese trovo perfino il 'Corriere della Sera' di ieri, domenica, segno che ci sono pellegrini italiani in giro.
La sera, a letto presto, con un bel concerto di uno dei miei compagni di stanza, senza contare un altro che si è guardato per un'ora una televisione portatile (sono pellegrini in bicicletta) e un altro il cui telefono cellulare si è messo a suonare alle dieci, maledizione a lui!
Essendo andato a letto prestissimo, mi sveglio altrettanto presto, verso le sei. Il programma di oggi e di arrivare in una località chiamata Ferreiros, a metà strada tra Sarria e Portomarìn, dove c'è un piccolo albergue. Conviene quindi partire presto per arrivare presto e sperare di trovare un posto libero, altrimenti dovrei andare fino a Portomarìn con un'altra tappona da 38 chilometri invece dei 29 previsti.
In effetti, arrivo alle 2½ e l'albergue è già completo. Però ci sono dei divani e la gestrice mi propone di accomodarmi lì o in una tenda, per terra. Ovviamente scelgo il divano ma, mentre mi sto sistemando, arriva un tipo che mi propone di scambiare il mio posto-divano con il suo posto-letto perché, dice, nella camerata c'è troppo rumore. Affare fatto, ci scambiamo i posti e così anche stasera ho un comodo letto, per giunta gratis.
(Un'ora più tardi, la sala del divano era ancora più affollata della camerata; a occhio e croce il mio 'scambista' ha fatto un pessimo affare, ma ormai è troppo tardi per cambiare ancora idea.)
Per arrivare presto sono partito prestissimo: alle sette sono già fuori dopo aver bevuto un resto di caffè che qualcuno più mattiniero di me aveva lasciato nel bricco. Per fortuna il primo pezzo del percorso è su una stradina secondaria, perché oltre al buio c'è un nebbione così denso che non si vedrebbe niente oltre i 50 metri anche se non fosse buio. Così tiro fuori la lampada frontale, tanto per non uscire di strada, e proseguo nella nebbia fino a San Xil dove finalmente arriva un po' di luce, anche se la nebbia rimane - si dissolve soltanto dopo le dieci, lasciando il posto a un'altra bella giornata di sole.
Cammino svelto, ma senza esagerare. Mi fermo solo una volta per mangiare il solito panino (per meglio dire 'panone') e poi via, con qualche sosta rapida per bere, per mangiare un po' di more e a Sarria per comperare un quaderno di scorta, dato che questo sta ormai finendo.
Supero due o tre volte un gruppo di quattro ragazzi spagnoli che poi mi risorpassano perché vanno come schegge ma ogni tanto si fermano per tirare il fiato. Anche loro arrivano a Ferreiros verso le 2½, pochi minuti prima di me. Di fronte alla prospettiva di dormire per terra preferiscono proseguire per Portomarìn e quindi penso di non rivederli più. Peccato, perché erano tre giorni che ci vedevamo au gré des arrêts ed erano proprio simpatici; ma il Cammino di Santiago è fatto così, ognuno va al suo passo e percorre 15, 20, 30 chilometri al giorno, per cui è difficile avere rapporti prolungati.
Ogni pellegrino ha un suo stile di marcia: ci sono quelli che vanno via veloci, come i quattro ragazzi di cui sopra, però si fermano frequentemente a tirare il fiato; e altri, come me, che preferiscono camminare senza fretta, fermandosi il meno possibile per non interrompere il ritmo, come fanno i montanari.
I villaggi fra Triacastela e Ferreiros sono villaggi di contadini, con le strade piene di cacca delle mucche, che vanno e vengono dalle stalle ai pascoli; la puzza è veramente notevole, se riesco a percepirla anch'io che non ho un odorato fine. Chissà come reagirebbe Elena!
Mia figlia Elena è dotata di un olfatto sensibilissimo, leggendario in famiglia; non-fumatrice, è capace di percepire l'odore delle sigarette o della pipa a distanze siderali.
Ieri sera ho dimenticato di citare un episodio curioso. Scendendo verso Triacastela sono passato da un villaggio (chissà qual era, ormai l'ho dimenticato, con tutti questi nomi nuovi da assorbire in fretta) dove una gentile signora offriva ai pellegrini delle ottime crêpe in cambio di un obolo a discrezione. Mi sono fermato a fare due chiacchiere, ho gustato la crêpe, le ho dato 2 € e sono ripartito contento, come spero sia stata anche lei.
Oggi avrei voluto fare la stessa cosa con una signora che vendeva cestini di fragole, almeno stando al cartello che aveva messo in bella evidenza lungo il Cammino, ma purtroppo li aveva già finiti.
I pellegrini aumentano di numero a vista d'occhio ed è facile immaginare che le ultime tappe saranno affollate. Sarria è infatti l'ultimo centro importante che dista più di 100 chilometri da Santiago, e 100 chilometri sono la distanza minima da percorrere a piedi o a cavallo per ottenere la Compostella, il certificato che attesta l'effettuazione del pellegrinaggio.
Tra gli altri, sono partiti stamani da Sarria due italiani di Agrigento che passano la notte a Ferreiros.
Invece, per chi va in bicicletta ci vogliono almeno 200 chilometri per ottenere la Compostella. A proposito di biciclette, stamattina ho assistito a un incidente che avrebbe potuto avere conseguenze gravi: lungo una salitella di dieci metri, assai ripida, un ciclista ha rotto la catena per lo sforzo ed è rovinato a terra provocandosi graffi ed ematomi. Per fortuna eravamo alle porte di Sarria e quindi il malcapitato avrà potuto far sostituire la catena rotta e farsi medicare al Pronto Soccorso.
Oggi i cavalieri non si sono visti. Devono essere partiti dopo di me, e devono essersi fermati prima, perché quando sono davanti c'è sempre un'abbondante produzione di cacca fresca che segnala il loro passaggio.
Da ieri mattina, quando siamo entrati in Galizia, il sentiero è costellato da pietre miliari che segnalano la distanza decrescente per Santiago, una ogni 500 metri. I numeri sono quasi uguali a quelli che uso per i miei calcoli. Per esempio, stasera mancherebbero 100 chilometri secondo i miei conti e 98 secondo le pietre miliari: poco meno del 14% sul totale da Roncisvalle.
Fatti e rifatti i conti, tenuto conto dei posti dove potrei fermarmi, ho davanti due possibilità: quattro tappe da 25 chilometri (in realtà tre da 27 e una da 19) per arrivare sabato, oppure tre tappe da 34, 28 e 38 chilometri per arrivare venerdì sera. Si vedrà, anche in funzione della disponibilità di posti negli albergue e nelle altre strutture ricettive, ma non mi dispiacerebbe arrivare venerdì sera e avere tutta la giornata di sabato per visitare la città.
Eccomi qui, nella lussuosa camera di un albergo ancora in costruzione alle porte di Palas de Rei, proprio di fronte all'Ufficio Informazioni per i Pellegrini, dove avevo saputo che l'albergue era già pieno alle tre del pomeriggio.
D'altronde, me lo aspettavo. Palas de Rei è indicato su tutte le guide come un punto-tappa e quindi ci si fermano in tanti. Inoltre stamattina i pellegrini di Ferreiros hanno cominciato a muoversi alle cinque (!) di mattina, ben sapendo che solamente i primi avrebbero trovato un letto gratis. Infine, in certi punti del sentiero, il serpentone dei pellegrini era davvero imponente, simile a quello degli escursionisti sui sentieri più battuti delle Alpi o delle Dolomiti in una domenica estiva.
Per fortuna, come dicevo, c'è questo bell'albergo a forma di motel, con un'ala finita e l'altra ancora in costruzione, dove la signorina dell'Ufficio Informazioni mi ha suggerito di dirigermi e dove ho trovato una camera. Adesso, e sono soltanto le 6½, anche l'albergo ha l'aria di essere completo e non so dove andranno a finire i pellegrini che passano ancora con l'aria stanca e il passo scombinato di chi ha male ai piedi.
(Sembra strano che ci siano degli uffici Informazione che si occupano esclusivamente dei pellegrini; ma se si considera che nel 1999, ultimo Anno Santo Compostelliano, sono arrivati a Santiago 154.000 pellegrini a piedi, più quelli in bicicletta e a cavallo, si capisce come mai ce ne siano a decine, di questi uffici, in tutte le località importanti)
La cifra di 154.000 è ricavata da una pubblicazione ufficiale della Curia di Santiago, dalla quale risulta che il pellegrino può ottenere l'indulgenza plenaria per l'anima di un defunto se rispetta tre condizioni:
Nota bene: l'indulgenza plenaria si ottiene solamente per chi è già morto. Quindi, niente astuzie, non si può chiederla per chi è ancora in vita come usava un tempo in Sicilia, dove era possibile acquistare in anticipo l'assoluzione per peccati futuri: una prassi diffusa tra chi si preparava a compiere delitti di mafia, come racconta Andrea Camilleri nel suo libro 'La bolla di componenda'.
(Questa volta mi sono ricordato subito il nome dell'autore. E mi ricordo anche quello dei sette nani: Dotto, Brontolo, Pisolo, Eolo, Mammolo, Gongolo e Cucciolo - alla faccia del dottor Alzheimer!)
Ieri sera ho cenato con i due agrigentini incontrati lungo il cammino e arrivati a Ferreiros un bel po' dopo di me. Hanno dormito per terra o, per meglio dire, hanno cercato di dormire. Stamani infatti erano in piedi anche loro alle 6½ e mi hanno detto di aver passato una notte quasi insonne per via della scomodità di dormire sul pavimento senza neppure un materassino e per via di una colonia di mosche noiosissime, che si era piazzata nella sala dove avrei dovuto dormire anch'io se non avessi fatto il cambio del divano con un letto.
Anche nella camerata c'erano dei bei problemi con due russatori che si davano il cambio e che non hanno smesso un minuto, ma almeno ero sul morbido e comunque a un certo momento non li ho sentiti più (e magari ho contribuito anch'io al concerto...).
La signora di Agrigento è una ex-maestra, fresca di pensionamento, fuggita dalla scuola per via della riforma Moratti; ma non abbiamo approfondito l'argomento perché non sono molto al corrente della questione, anche se, a parere di mia moglie e di altre sue ex-colleghe, questa riforma è una vera schifezza.
Insieme a noi ha cenato un giovane spagnolo che, udite, udite! è riuscito a fare tappe di 60 chilometri. Per dire, ieri mattina era partito dal Cebreiro e aveva percorso 'appena' 50 chilometri, a conferma del fatto che c'è sempre qualcuno più bravo...
Stamattina sono partito alle sette, come ieri, ma ormai all'albergue non c'era più nessuno. Tutti partiti presto, in un nebbione che si è dissolto soltanto verso le dieci. Purtroppo il bar dove avevamo cenato ieri sera apriva solamente alle otto e così ho rischiato di partire a stomaco vuoto. Invece, nella cucinetta dell'albergue c'era anche stamattina un vasetto di Nescafè. Ne ho preso un po', ho fatto scaldare un po' d'acqua, ho bevuto un caffè amaro e via, nella nebbia, con la lampada frontale per trovare i segni del Cammino, le mitiche frecce gialle e le altrettanto mitiche conchiglie.
Strada facendo ho mangiato un bel po' di more, ma ho dovuto aspettare fino alle undici per trovare un bar dove mi sono regalato il solito bocadillo; intanto, avevo già percorso 17 chilometri con un caffè e qualche manciata di more.
Lungo il percorso di oggi c'era anche un gruppo di pellegrini spagnoli che camminava senza zaino. Avendo indagato, ho scoperto che viaggiavano da un hostal all'altro con furgone al seguito: un'astuzia simile a quella dei due francesi che avevo incrociato tempo fa con moglie motorizzata per il trasporto degli zaini.
L' hostal è una via di mezzo tra l'albergo normale e quello dei pellegrini, nel quale però si può prenotare, contrariamente agli albergue dove ciò non è possibile.
Tornando sul tema della tipologia dei pellegrini, credo di dover aumentare, e di molto, il peso percentuale di coloro che percorrono il Cammino con motivazioni religiose; in effetti, finora non ho trovato nessuno che dichiarasse apertamente di farlo per ragioni sportive o culturali, almeno tra chi va a piedi.
Et voilà: ormai mancano solo 66 chilometri alla meta e penso proprio di poter dire pubblicamente (anche alla mia amatissima sposa alla quale telefono ogni sera e alla quale finora ho detto che probabilmente sarei arrivato a Santiago sabato) che arriverò venerdì, dopodomani. In fondo, mancano solamente due tappe da 33 chilometri, sempre ammesso che trovi un albergue o un albergo al posto giusto.
Ma questo si vedrà domani. Quel che è certo è che tra ieri e oggi ho notato lungo il cammino molti luoghi di sosta non citati nella topoguida, ciò che mi fa ben sperare per la prossima serata.
P.S. Sono le 7½ e il sole è ancora alto in cielo - mi farà un certo effetto tornare a Milano e scoprire che alle otto di sera è già buio!
Penultima tappa del Cammino, salvo imprevisti, dato che mancano soltanto 35 chilometri a Santiago. La tappa di oggi è stata tranquilla, senza eventi di rilievo e senza incontri interessanti perché ieri sera ho dormito in albergo e stasera sono in un bell'agriturismo a tre chilometri da Arzùa, ultimo centro di qualche importanza prima di Santiago. Con me ci sono due tedeschi che parlano soltanto il tedesco, per cui le comunicazioni sono molto ridotte.
Quanto ai pellegrini che ho superato o mi hanno superato, mi è sembrato che fossero tutti o quasi di lingua spagnola. Idem ieri sera nel ristorante dove ho cenato, si sentiva parlare soltanto spagnolo e gallego, che è anche la lingua usata per cartelli, avvisi e comunicazioni ufficiali.
Si direbbe in effetti che nella Spagna settentrionale il castigliano o spagnolo che dir si voglia stia diventando una lingua straniera: tra baschi, catalani e galiziani ci sono tantissime persone per le quali lo spagnolo è una lingua che s'impara a scuola come il francese o l'inglese. Stasera, per esempio, ho chiesto informazioni per raggiungere l'agriturismo a una signora anzianotta che mi ha risposto in gallego e ha continuato a parlare nella sua lingua anche dopo che le avevo detto di non capirla: evidentemente non sapeva lo spagnolo.
Unica eccezione, i mezzi di comunicazione, tutti in spagnolo, tranne il telegiornale regionale, anche se mi dicono che a Barcellona la stampa in catalano sta guadagnando sempre più terreno.
Ieri sera la cena è stata a base di specialità galiziane: caldo gallego, ossia minestra di verdure, fagioli e patate, e poi pulpo gallego, polipo alla galiziana, bollito e quindi scottato con olio e aglio, veramente squisito.
Ultima nota a proposito dei bar e dei ristoranti: qui fumano tutti allegramente. I casi sono due: o le leggi restrittive introdotte in Italia e negli altri paesi dell'Unione Europea non sono ancora arrivate in Spagna, oppure ci sono ma sono ignorate, come accade in Corsica. Idem per le stanze d'albergo, hanno tutte il portacenere. Invece, negli alberghi dei pellegrini è severamente vietato fumare.
Stamattina sono partito presto, poco dopo le sette, ma curiosamente ho camminato da solo fino alle 8½. Non riuscivo a capire se ero davanti a tutti o se ero l'ultimo. Poi ho incominciato a superare qualcuno e quando verso le nove mi sono fermato a mangiare una fetta di torta ero già in buona compagnia.
Quando sono arrivato fra le due e le tre agli albergue di Ribadiso e di Arzùa e ho scoperto che erano già completi, ho capito che la seconda ipotesi era quella giusta: evidentemente il grosso era partito ancora prima delle sette per riuscire a trovare posto.
La Galizia è decisamente una bella terra, almeno nella parte che ho attraversato, ben diversa dalle pianure monotone della Castiglia nelle quali mi è capitato di camminare per due ore lungo una strada diritta in mezzo a campi di stoppie, tanto da avere l'impressione di essere sempre fermo nello stesso punto.
Qui invece è tutto un susseguirsi di colline verdeggianti, di grandi prati erbosi dove pascolano mucche opulente, di boschi nei quali si aprono le correidora, i 'corridoi' delle sterrate sulle quali camminano i pellegrini e di tanto in tanto passano mandrie di mucche e trattori.
Si vedono molte case coloniche, segno che i proprietari dei terreni ci vivono sopra, e probabilmente ne hanno maggior cura dei braccianti che andavano (vanno?) a lavorare nei latifondi dei baroni.
Conseguenza spiacevole di questa diffusione delle case coloniche è la presenza di un numero spropositato di cani da guardia, quasi del tutto assenti in Castiglia dove non c'è nulla da proteggere.
Questi cani abbaiano al primo segno di vita, e quindi nelle vicinanze del Cammino abbaiano in continuazione. Una vera piaga.
Cani a parte, il paesaggio è molto bello, verde e collinoso, simile a quello dell'Umbria e della Toscana, con alberi da frutta disseminati tra i coltivi e i pascoli, e una quantità di fiori viola e gialli nonostante la stagione autunnale. I primi sono fiori di erica, gli altri non li conosco, spuntano su cespugli spinosi che non sono riuscito a classificare.
Anche l'agriturismo nel quale mi sono fermato per la notte è assai gradevole, ricavato dall'ala di una fattoria in piena attività.
Si vedono anche molti campi di mais; per conservare il granoturco al riparo dai topi qui in Galizia si usano delle strane costruzioni lunghe e strette, con delle aperture per far passare l'aria, poggiate su pietre sporgenti per evitare che i topi riescano ad entrarci.
Quando ho visto la prima ho pensato che fosse un'edicola religiosa, perché aveva una croce sul tettuccio. Dopo averne visti a decine, ho concluso che dovevano essere dei granai e una signora cui ho chiesto lumi me lo ha confermato.
Bisognerebbe dire due parole anche sugli zaini dei pellegrini.
Come regola, quando si va in giro con lo zaino si dovrebbe mettere tutto all'interno e chiuderlo ben bene, tenendo le mani libere.
Qui invece si vedono zaini che sembrano dei bazar ambulanti, con tutta la mercanzia esposta: calze, sandali, asciugamani, magliette, calzoncini, maglioni, giacche a vento e ciondoli di ogni genere (dalle conchiglie e zucche regolamentari agli orsacchiotti di peluche, passando per le bandiere nazionali). Ho visto addirittura un ragazzo dal cui zaino pendeva un reggiseno (della sua compagna, suppongo).
Non stupisce quindi che il Cammino sia costellato di indumenti persi per un movimento brusco o perché erano mal assicurati: calze a gogò, magliette e perfino un pile in ottimo stato.
Non parliamo degli accessori, sacco a pelo e materassino arrotolato, che quasi tutti portano attaccati sotto lo zaino, spesso fissati in modo precario e ballonzolanti a ogni passo, né dei sacchetti con le provviste che molti tengono in mano, delle megaborse per fotografia che ballonzolano anche loro, però sulla pancia e non sulla schiena, o delle borracce che oscillano a ogni passo...
Insomma, non è un bel vedere, come non è bello vedere la posizione degli zaini, spesso sbilenchi e/o ammosciati fin quasi a toccare le ginocchia, ciò che non aiuta certo a camminare bene. Forse bisognerebbe tenere dei corsi agli aspiranti pellegrini per insegnare come si porta la mochila, lo zaino.
A proposito di pellegrini, ieri ho scritto che nel 1999 erano arrivati a Santiago 154.000 pellegrini a piedi. Ripensandoci oggi, mi sono reso conto che questa cifra equivale a 400 pellegrini al giorno per ogni giorno dell'anno, quindi probabilmente 1.000 e più al giorno nei mesi estivi. Dove andranno a dormire, visto che gli albergue più grandi possono ospitare al massimo 150 pellegrini? Un bel mistero. Nelle grandi città ci sono degli accampamenti (li ho visti a Burgos, a Leòn, a Castrojeriz e in qualche altro posto); ma qui, per esempio, a un tiro di schioppo dalla meta?
Mentre ero seduto a un bar con un ottimo bocadillo e un bicchiere di limonata, ho considerato che percorrere il Cammino di Santiago d'estate dev'essere veramente duro, con seri rischi di disidratazione, perché ancora oggi, 23 settembre, dopo l'una del pomeriggio fa veramente un caldo soffocante e di ombra ce n'è poca o nessuna.
Ultima nota semiseria: stando a quel che ho letto sul volantino della Curia, l'unica cosa che si può chiedere a San Giacomo una volta terminato il pellegrinaggio è l'indulgenza per l'anima di un defunto. Non mi sarà quindi possibile chiedergli di far scomparire il cavalier Banana dalla scena politica italiana, come avevo previsto di fare alla partenza. Peccato!
E così sono giunto alla meta, dopo un'ultima tappa percorsa a passo un po' più lento del solito, quasi per assaporare meglio gli ultimi chilometri di questa 'passeggiata' (come la definirebbe il Manzoni) da Roncisvalle a Santiago, 700 e passa chilometri in 22 giorni.
Quanti siano esattamente i chilometri che ho percorso non è dato sapere perché, come ho già scritto, fonti diverse danno cifre diverse, da 723 a 752.Tanti, in ogni modo, il Cammino di Santiago è l'escursione più lunga che ho compiuto fino ad ora, anche se la traversata dei Pirenei è stata certamente più impegnativa, con i suoi 700 chilometri circa in 26 giorni, accompagnati però da 29.000 metri di salita (e altrettanti di discesa), rispetto ai 9.500 del Cammino di Santiago.
Ma andiamo con ordine. Ieri sera, dopo essermi sistemato e aver fatto un buon bagno rilassante in vasca, ho scoperto che l'agriturismo aveva una cucina a disposizione degli ospiti, ma che questi avrebbero dovuto portare con sé i cibi da cucinare (come avevano fatto i due tedeschi, più previdenti o migliori conoscitori delle usanze in fatto di agriturismo). La padrona, cui espongo il mio problema, si offre di accompagnarmi ad Arzùa, che dista circa tre chilometri. Per il ritorno potrò prendere un taxi.
L'appuntamento è alle 8½, tardi per i nostri standard, ma quando la signora mi lascia davanti a quello che secondo lei è il miglior ristorante della città, scopro che il suddetto ristorante apre soltanto dopo le nove.
Però Arzùa pullula di pellegrini e non fatico a trovare un ristorante già aperto dove mi regalo un'altra cena a base di polipo e insalata. Poi vado alla fermata dei taxi e mi faccio riaccompagnare all'agriturismo; alle dieci sono già a letto, dopo aver considerato che queste due brevi corse in auto sono le prime che faccio da venerdì di tre settimane fa, quando ho preso il taxi da Baiona a Roncisvalle.
La padrona dell'agriturismo mi ha promesso la colazione (inclusa nel prezzo della camera, in totale 30 €) per le 7½. Un po' tardi per i miei standard attuali, negli ultimi giorni ero abituato a partire a quell'ora o anche prima; ma stasera non ci saranno problemi di alloggiamento. Mal che vada, a cinque chilometri dalla cattedrale c'è un enorme albergue, per meglio dire un vero e proprio villaggio dove si trova sicuramente posto, anche se in verità preferirei alloggiare in centro.
A proposito di alberghi, ieri sera mi era venuta l'idea malsana di concludere il pellegrinaggio passando l'ultima notte all'Hostal de los Reyes Catòlicos, che nonostante il nome è il più lussuoso albergo di Santiago, uno dei parador nacional, come quello di Leòn. L'Hostal si trova proprio di fianco alla cattedrale ed è ubicato in quello che un tempo era l'albergo dei pellegrini.
Bon, ieri ho preso il numero di telefono dell'Hostal e ho chiesto se avevano una camera singola. No, purtroppo restava libera soltanto una suite a 330 € più il 7% di imposta, in totale circa 350 € esclusa la prima colazione.
Mi è sembrato un po' troppo e così ho lasciato perdere. Però oggi, mentre camminavo immerso in ogni sorta di pensieri, mi sono detto che, insomma, dopo tante mezze pensioni a meno di 10 € avrei anche potuto fare una follia, memore di quello che diceva un mio ex-collega di lavoro: 'I soldi vanno e i ricordi restano'. Quando sono arrivato a Santiago sono andato per prima cosa all'Hostal per vedere se la suite c'era ancora. Ma, sia stato il mio aspetto, sia stato che tra ieri sera e oggi qualcuno l'aveva prenotata, mi hanno detto che di posto non ce n'era più e così ho dovuto cercare una soluzione alternativa.
Tornando alla tappa di oggi, l'unico evento di rilievo è stato il sopraggiungere alle mie spalle, verso le undici, di un pellegrino. Incredibile a dirsi, era Andy, il quacchero inglese con il quale avevo chiacchierato a proposito del Graal e di altri soggetti collegati una settimana fa (circa, ormai i ricordi si sono aggrovigliati in modo inestricabile) durante una sosta meridiana e che poi avevo ritrovato due o tre giorni dopo durante un'altra sosta, un po' malandato per via di una gamba dolorante. Guarito, aveva ripreso il cammino e ieri sera aveva dormito à la belle étoile, all'aperto, vicino ad Arzùa. Facciamo un bel pezzo di strada insieme, poi io mi fermo a mangiare il solito bocadillo mentre lui prosegue. Non lo rivedrò più, perché pensa di fermarsi all'albergo dei pellegrini sulle pendici del Monte del Gozo (il grande albergue cui accennavo prima) e di scendere a Santiago domani.
Lungo il cammino supero altre due targhe che ricordano pellegrini veramente sfigati, morti poco prima di arrivare alla meta: un altro tedesco, e fanno quattro, e uno spagnolo.
(Per la verità i tedeschi potrebbero anche essere austriaci o svizzeri, io li chiamo tedeschi solo per via del loro cognome dal suono teutonico.)
Più allegri gli incontri con due pellegrini speciali: una ragazzetta di otto o nove anni su una bicicletta attaccata a quella del padre, una specie di tandem; e un bimbetto di tre o quattro anni che camminava insieme ai genitori vestito da pellegrino: scarponcini, zainetto, cappellaccio e bastone. Erano partiti da Sarria muniti di un carrettino a due ruote sul quale trasportavano gli zaini e, all'occorrenza, il bambino quando era stanco di camminare. Però, quando li ho superati, il bambino camminava, tutto serio e di buona lena, compreso nel suo ruolo di pellegrino, sicuramente il pellegrino più giovane che sia arrivato a piedi a Santiago.
Essendo partito tardi, verso le otto, mi becco tutto il caldo del pomeriggio, anche perché tra Arzùa e Santiago la vegetazione è composta prevalentemente da eucalipti, importati quassù da qualche imbecille che pensava di fare chissà che cosa, come quell'altro che ha introdotto da noi la robinia (secondo il Gadda si tratterebbe del Manzoni, ma gli lascio tutta la responsabilità di questa affermazione).
L'eucalipto è un albero stupido, con un tronco altissimo e con foglie pendenti in verticale che offrono pochissimo riparo dai raggi del sole. Mi viene in mente che, quando leggevo i romanzi di Salgari sulle 'tigri della Malesia' (Sandokan, Yanez, Tremal Naik, la Perla di Labuan e compagnia) mi ero già imbattuto in questo albero strano, che laggiù cresce naturalmente e che Salgari definiva appunto 'l'albero senza ombra'. Allora la definizione mi era sembrata strana, ma l'eucalipto salgariano faceva parte dell'universo magico e pieno di cose insolite che i ragazzi di allora scoprivano sui libri di avventure; mentre oggi ne ho potuta verificare la realtà concreta.
(Oddio, non è che gli eucalipti siano proprio trasparenti, un po' d'ombra la fanno anche loro, ma rispetto a una quercia o a un castagno valgono proprio poco.)
Cammina, cammina, la meta è sempre più vicina ma rimane invisibile. Mentre avanzo lentamente verso Santiago mi ritrovo a canticchiare una bella canzone di Georges Brassens nella quale egli racconta della sua disperazione per non credere in Dio:
Est-il en notre temps
Rien de plus odieux
De plus désespérant
Que de n' pas croire en Dieu.
J' voudrais avoir la foi
La foi d' mon charbonnier
Qui est heureux comme un pape
Et con comme un panier.
L'allusione è a Blaise Pascal e alla 'fede del carbonaio', che crede in Dio senza farsi troppe domande. Lo stesso Pascal, gli da' il consiglio giusto per credere:
Mettez-vous à génoux,
Priez et implorez,
Faites semblant de croire
Et bientôt vous croirez.
Brassens trova dans les orties una veste talare, la indossa e parte alla ricerca della fede, con la chitarra in mano. Incontra un gruppo di beghine (punaises de sacristie, pulci di sacrestia, le chiama) che gli chiedono di cantare quelque sainte chanson dont vous avez l' secret. Brassens intona 'Le gorille' e Putain de toi', al che le beghine indignate criant à l'imposteur, au traître, au papelard vogliono fargli subire il supplizio di Abelardo. Lo salva da questa mutilazione una dama di carità che convince le beghine a lasciarlo libero. La conclusione è che
Sur le chemin du ciel
Je n' ferai plus un pas
La foi viendra-t-elle même
Ou elle ne viendra pas
Je n'ai jamais tué
Jamais violé non plus
Y'a déjà quelques temps
Que je ne vole plus
Si l'Eternel existe
En fin de comptes il voit
Qu' je m' conduis guère plus mal
Que si j'avais la foi
Tutto sommato, mentre mi avvicino alla meta, mi dico che neppure io ho ucciso (tranne qualche insetto particolarmente fastidioso; chi crede nella trasmigrazione delle anime avrebbe da ridire anche su questo), non ho mai usato violenza, né tanto meno violentato in senso sessuale, e in effetti è già molto tempo che non rubo più, se si escludono le boccette di shampoo degli alberghi.
Credo di aver fatto anche delle cose buone, perché non basta evitare il male, bisogna anche fare il bene; e quindi penso che l'ultima strofa della canzone di Brassens si possa applicare anche al mio caso.
Avanti, dunque, verso la meta sempre più vicina ma ancora invisibile. Le pietre miliari scandiscono il ritmo, una ogni sette minuti circa, un chilometro ogni quattordici minuti.
Passo Arca, ultimo posto-tappa prima di Santiago, e mi avvio verso il Monte del Gozo, il Monte del Godimento, così chiamato perché da lì si poteva vedere per la prima volta la cattedrale e i pellegrini medievali andavano in estasi su questa modesta collina.
Oggi qui sorge un monumento inaugurato qualche anno fa quando papa Wojtila venne a Santiago - bruttino anziché no; ma dal sentiero la cattedrale non si vede ancora, nascosta com'è da un bosco di eucalipti.
E allora, avanti, ormai mancano appena quattro o cinque chilometri... Passo di fianco al villaggio dei pellegrini e poi entro in città per la nuova Porta del Cammino, un grande arco sul quale figurano i nomi dei personaggi che hanno avuto a che fare con San Giacomo di Compostella.
A sorpresa, leggo tra gli altri il nome di Dante Alighieri; non capisco bene cosa c'entri, bisognerà controllare se parla di San Giacomo nella Divina Commedia.
In effetti, San Giacomo appare a Beatrice e Dante nel canto XXV del Paradiso:
E la mia donna, piena di letizia,
Mi disse: "Mira! Mira! Ecco il barone
Per cui laggiù si visita Galizia!"
(versi 16-18; l'incontro con San Giacomo prosegue anche nel resto del canto.)
Seguo per un bel po' le vie della città moderna e poi, finalmente, entro nella città vecchia per l'antica Puerta del Camino; ancora un chilometro ed ecco, arrivo nella piazza della cattedrale dove trovo una coda sterminata in attesa di entrare a vedere l'urna dove sono custodite le presunte ossa del santo.
Ognuno ha le sue priorità. Sono quasi le cinque e, trascurando la cattedrale, vado all'Hostal de los Reyes Catòlicos dove non c'è posto; allora vado all'ufficio dove consegnano le Compostelle.
La coda è corta, sì e no una trentina di persone; dopo una mezz'oretta ottengo finalmente il mio certificato, che non viene consegnato come pensavo a cani e porci.
La signorina incaricata esamina la mia Credenziale, osserva stupita la data di partenza da Roncisvalle (22 giorni fa; di solito se ne impiegano una trentina), mi chiede con tono inquisitorio se ho mai preso l'autobus (non sa che, per me, prendere un mezzo pubblico durante un'escursione equivale all'alto tradimento per un soldato), esprime dubbi sulla lunghezza di una tappa ('Son màs de cincuenta chilometros!' dice con aria di sospetto; 'Imposible; nunca hizo mas de cuarenta' le rispondo, sicuro del fatto mio. Lei prende da sotto il banco un foglio con le distanze tra le località e verifica che ho ragione).
Finalmente si decide a consegnarmi il prezioso documento, non senza avermi fatto firmare prima un formulario nel quale dichiaro di aver percorso il Cammino 'devotionis affectu, voti vel pietatis causa'; la terza motivazione, intendendo la 'pietas', come 'rettitudine, giustizia, virtù' mi va bene, anche se ammetto che la giustificazione è un po' stiracchiata...
Con la Compostela in mano vado all'Ufficio Viaggi, ma lì si occupano solo dei voli interni e mi spediscono a un'altra agenzia dove non soltanto mi prenotano il volo, ma mi trovano la camera in un lussuoso albergo a quattro stelle che sta lì a due passi. Sicché, alle 6½ sono in camera, sistemato per la notte.
Come penultimo atto della giornata prendo gli scarponi, vado sulla scalinata della cattedrale e li fotografo lì, davanti al portone principale, chiuso perché dentro si sta celebrando la messa. Poi, con qualche rimpianto, li butto in un cestino perché sono ormai inutilizzabili, hanno la suola liscia come il tappeto di un tavolo da bigliardo e anche le cuciture hanno cominciato a cedere.
Tornato in albergo, butto anche le magliette bianche (si fa per dire, dopo ventidue giorni di lavaggi sommari sono più grigie che bianche...), calze, mutande, il sacco-lenzuolo strappato et voilà, adesso il pellegrinaggio è proprio finito.
Ne celebro la conclusione con una superba cena al ristorante dell'albergo, silenzioso e discreto, senza televisione né musica e con pochi clienti. Com'è giusto, annaffio la cena con una bottiglia di Codornìu, il migliore spumante spagnolo, e poi vado a dormire soddisfatto.
Domani sera si torna a casa!
Ieri sera, prima di tornare in albergo, avevo chiesto a che ora apriva la cattedrale; alle sette, mi avevano detto.
D'altra parte, in albergo la colazione è servita a partire dalle otto.
Stamattina mi sono svegliato come al solito verso le sei. Dopo aver perso un po' di tempo per sistemare lo zaino, ho pensato che la cosa più intelligente era di andare a visitare la cattedrale e l'urna di San Giacomo prima di far colazione; così mi sono vestito e sono uscito sotto lo sguardo perplesso del portiere.
Naturalmente non c'era in giro nessuno e, soprattutto, non c'era quasi nessuno nella cattedrale, che ho potuto visitare nel più perfetto silenzio, insieme a qualche altro pellegrino mattiniero.
Sono sceso nella piccola cripta dove c'è una cassa in argento nella quale sono custodite le ossa del santo. Con mia grande sorpresa, subito dopo è arrivato un gruppetto di cinque o sei tedeschi accompagnati da un sacerdote e dal sagrestano che ha aperto la pesante grata ed ha permesso al gruppo (me compreso) di entrare nella cripta, cosa altrimenti impossibile.
Poi sono salito lungo una scaletta dietro l'altare maggiore, dove i pellegrini concludono formalmente il loro viaggio abbracciando da dietro la statua di San Giacomo che, vista di fronte, troneggia in mezzo al grande retablo. El abrazo del santo, così si chiama l'ultimo atto del pellegrinaggio che i quattro o cinque davanti a me compiono coscienziosamente recitando una preghiera.
Io mi limito a toccare la statua e poi rimango lì per un po' a meditare, tanto dietro di me non c'è nessuno. Poi scendo, faccio un altro giro per la cattedrale e mi imbatto nel famoso Santiago matamoros, del quale acquisto più tardi una riproduzione. Ce n'è uno anche sul frontone, ma questo mi sembra molto più espressivo.
Secondo informazioni riportate su una rivista della quale si parla più oltre, c'è un altro rito che il pellegrino deve compiere a conclusione del suo viaggio: appoggiare la mano destra sulla pietra della colonna sacra nel portico della gloria e toccare tre volte la colonna con la fronte. Però io non ne ero al corrente e quindi non ho compiuto questo gesto - del resto, probabilmente non l'avrei compiuto neppure se lo avessi saputo.
Molto soddisfatto di questa visita solitaria e mattutina, torno in albergo, chiudo lo zaino, faccio colazione e pago il conto. Poi lascio lo zaino in deposito e, verso le 9½, torno alla cattedrale per assistere alla messa del pellegrino, che inizia alle dieci in punto.
Infatti la cugina di mia moglie, che è stata a Santiago poco prima di me, mi ha detto che bisogna assolutamente assistere alla messa per vedere all'opera il botafumeiro o turibolario che dir si voglia: a sentir lei, è uno spettacolo straordinario.
In effetti, è stato uno spettacolo davvero straordinario ed emozionante, degna conclusione del mio pellegrinaggio laico.
Prima c'è stata la messa, affollatissima di pellegrini camminanti e non, poi le comunioni e infine lo spettacolo. Il turibolo di Santiago è enorme, alto circa un metro e appeso con un canapone al soffitto della chiesa. Quando arriva il momento, il botafumeiro con cinque aiutanti si avvicina al turibolo che viene abbassato per introdurvi l'incenso. Poi, mentre l'organo esplode in una serie di musiche mistiche, il botafumeiro aiutato dagli altri cinque addetti fa oscillare il turibolo in cerchi sempre più ampi, fino a che il turibolo stesso attraversa tutto il transetto fin quasi a toccare la volta della chiesa.
È uno spettacolo straordinariamente emozionante: tra il profumo dell'incenso, il turibolo che oscilla a una velocità impressionante sopra le teste dei fedeli e la musica... beh, mi sono talmente emozionato che mi è venuto da piangere, come se fossi un bambino; tanto che, alla fine, quando il botafumeiro ha fermato la corsa del turibolo afferrandolo tra le braccia come se fosse stato un torello, una ragazza incaricata di mantenere l'ordine mi ha battuto sulla spalla per confortarmi.
Vedi un po' che cosa succede a diventare vecchi!
Avessi potuto partire subito dopo questo momento di grandissima emozione, lo avrei fatto. Ma erano solo le undici e l'aereo partiva alle sei. Così sono uscito e ho visto la coda per visitare le ossa del santo: un serpentone lungo più di duecento metri.
Anche il resto della zona intorno alla cattedrale è affollato all'inverosimile. Perfino la coda davanti all'ufficio per il rilascio delle Compostelle è imponente, ci saranno cinquanta persone sulla strada più tutte quelle nell'atrio e sulle scale... veramente impressionante, e siamo al 25 di settembre!
Faccio qualche acquisto al negozio della cattedrale, poi giro un po' alla ricerca (vana) di un video sul Cammino, e così mi imbatto in un alloggiamento per pellegrini che si chiama 'Los Barbantes' - curioso, no?
Barbanti è il cognome di una famiglia di nostri amici.
Passo in albergo a prendere la macchina fotografica per immortalare l'insegna e poi esaurisco il tempo disponibile visitando l'Hostal de los Reyes Catòlicos con i suoi due bei chiostri, il Palazzo Jimenez, cupo e deprimente come gran parte dell'architettura spagnola del Seicento.
Anche la cattedrale mi sembra brutta, vista dall'esterno, grigia e carica di orpelli, pesante, minacciosa come un bestione accucciato. Però all'interno non ci sono recinti riservati ai nobili, e questo mi consola, ripensando ad altre cattedrali incontrate lungo il cammino, come quelle di Burgos e di Leòn, che da fuori promettevano molto più di quanto mantenessero all'interno.
L'ultima visita è al Museo dei Pellegrinaggi, deludente nel complesso, anche perché tutte le spiegazioni sono in lingua gallega e faccio fatica a capire qualcosa. In compenso, incontro un gruppo di trentine partite da Sarria con le quali scambio due chiacchiere.
C'è anche un'esposizione fotografica su Santiago ad Haiti che forse avrebbe interessato Anna, mia cognata, che ha vissuto per sette anni ad Haiti. ma che personalmente mi dice poco.
Poi viene l'ora di partire. Vado in taxi all'aeroporto con largo anticipo, così posso finire queste note. Tra poche ore sarò di ritorno a Milano, dopo ventitré giorni straordinari.
E, per finire, qualche numero...
Tappa | Ore 'on the road' | Ore effettive | Km. | Dislivello in salita |
---|---|---|---|---|
Roncisvalle - Larrasoaña | 6:00 | 5:45 | 27 | 515 |
Larrasoaña - Puente la Reina | 9:30 | 8:20 | 38 | 580 |
Puente la Reina - Monjardin | 8:15 | 6:40 | 28 | 740 |
Monjardin - Logroño | 10:30 | 9:15 | 38 | 500 |
Logroño - Azofra | 8:00 | 7:20 | 32 | 475 |
Azofra - Villamayor del Rìo | 8:30 | 7:20 | 32 | 460 |
Villamayor - San Juan de Ortega | 7:45 | 7:00 | 29 | 485 |
San Juan - Burgos - Tardajos | 9:30 | 7:30 | 32 | 135 |
Tardajos - Castrojeriz | 8:00 | 6:35 | 30 | 250 |
Castrojeriz - Villalcàzar | 10:00 | 8:30 | 38 | 240 |
Villalcàzar - Terradillos | 8:30 | 7:15 | 32 | 185 |
Terradillos - El Burgo Ranero | 7:45 | 6:50 | 30 | 170 |
El Burgo Ranero - Leòn | 8:30 | 7:30 | 35 | 175 |
Leòn -Hospital de Órbigo | 8:15 | 7:05 | 32 | 145 |
Hospital de Órbigo - Rabanal | 9:45 | 8:15 | 36 | 515 |
Rabanal del Camino - Ponferrada | 8:30 | 7:20 | 32 | 520 |
Ponferrada - Trabadelo | 8:00 | 7:10 | 32 | 340 |
Trabadelo - Triacastela | 10:15 | 8:50 | 41 | 985 |
Triacastela - Ferreiros | 7:15 | 6:45 | 29 | 665 |
Ferreiros - Palas de Rei | 8:00 | 7:10 | 34 | 595 |
Palas de Rei - Arzùa | 8:45 | 7:50 | 31 | 470 |
Arzùa - Santiago | 9:30 | 8:15 | 35 | 385 |
Totale | 189:00 | 164:30 | 723 | 9530 |
Mentre l'aereo compie a ritroso in poche ore il cammino che ho percorso all'andata in ventidue giorni, ho il tempo per qualche considerazione:
1. L'equipaggiamento.
Ho fatto uso di quasi tutto quel che avevo messo nello zaino, in modo più o meno intenso. Per esempio, la giacca a vento mi è servita due volte e l'ombrello una sola volta, e per poco tempo. Unica eccezione, le ghette (prese perché in caso di pioggia intensa rischiavo di trovarmi i piedi a mollo se avessi tenuto i calzoni corti o di bagnarmi il pile se lo avessi indossato).
Non mi è mancato niente d'importante (ho comperato strada facendo due paia di calze, ma era previsto). Forse avrei potuto portare un libro, oltre alla topoguida, ma i libri pesano... Ne ho comperato uno a Leòn: 'Il libraio di Kabul', ma era così noioso e insignificante che ho finito per buttarlo via dopo qualche giorno.
2. La salute.
Ho avuto una serie di piccoli problemi che però non mi hanno mai impedito di camminare secondo i programmi: problemi di piedi all'inizio, poi di ginocchia e di spalle.
In compenso ho visto numerosi pellegrini alle prese con problemi seri, per non parlare di quelli che sono morti tout court. Di alcuni ho fatto cenno nel diario, di altri no, perché ne ho saputo per via indiretta, magari ascoltando involontariamente una conversazione negli albergue o vedendo persone intente a medicare piedi che avrebbero richiesto un po' di requie. E poi, quante persone che camminavano adagio, tutte sbilenche o zoppicanti! Dalla ragazza italiana incontrata nella prima tappa (che per lei e il suo compagno sarà stata probabilmente anche l'ultima) a una signora arrivata a pochi chilometri da Santiago ma ormai quasi non più in grado di camminare.
Insomma, lungo il Cammino ne capitano di tutti i generi. Non a caso il numero di telefono più importante, segnalato dappertutto, è il 112, che qui corrisponde al pronto intervento sanitario.
3. Il morale.
Sempre alto, anche nelle due sere in cui sono andato a letto temendo che si fosse rotto qualcosa nei piedi (ad Azofra e a Villamayor del Rìò). Per il resto, scaramanzia a parte, ho sempre avuto fiducia di arrivare in fondo sano, salvo e quasi nei tempi stabiliti. Prima di partire avevo calcolato tre settimane, poi dopo le prime tappe avevo previsto ventitré giorni e alla fine ce ne sono voluti ventidue.
4. Lost & found.
Ho perso la strada una sola volta, durante la prima tappa, senza conseguenze.
Ho perso la pazienza una sola volta, a Biduedo, quando me ne sono andato dopo aver aspettato un quarto d'ora inutilmente.
Ho perso uno dei due copripuntali dei bastoni - e mi sembra che questo sia tutto.
In compenso, ho trovato un ferro di cavallo; sarà per quello che tutto è andato bene? O per intercessione di San Giacomo? Ah, saperlo, saperlo...
5. Ma ne valeva la pena, poi?
Salvo ripensamenti, direi di sì. A parte il finale di stamattina, che valeva da solo tutta la fatica del pellegrinaggio, il Cammino è stata davvero una bella esperienza.
Sul piano sportivo, a dimostrazione che a 65 anni si possono ancora compiere grandi imprese (almeno, imprese che a me sembrano grandi).
Sul piano culturale, perché mi sono fatto un'idea, sia pur vaga, di come ci si muoveva in Europa nel Medio evo, e sicuramente le mie lezioni a Sesto ne guadagneranno.
Sul piano umano, perché ho incontrato persone e luoghi interessanti, soprattutto quando ho passato la notte negli alberghi dei pellegrini.
Infine, quando si cammina da soli rimane tanto tempo per pensare, e in questi giorni ho pensato tanto. A volte cose stupide, a volte cose pratiche, a volte cose più elevate; per esempio ho considerato che dovrei ritenermi un uomo fortunato, per tanti motivi che non starò qui a elencare più uno speciale: quello di avere una moglie straordinaria, alla quale è dedicato questo diario.
6. Quattro grandi viaggi. Qual è stato il più bello?
Finora ho compiuto quattro grandi escursioni durate più di tre settimane: in Nepal, sui Pirenei, in Patagonia e lungo il Cammino di Santiago.
Quella in Nepal è stata un'esperienza unica, una specie di viaggio alla Mecca, e per molti versi è stata la più entusiasmante, non fosse stato per quel maledetto Island Peak che non sono riuscito a salire e che mi ha bruciato a lungo...
Quella sui Pirenei è stata essenzialmente un'impresa sportiva, direi quasi una prova di forza contro le avversità (il maltempo che mi ha accompagnato per giorni e giorni...) e contro la fatica di salire e scendere ogni giorno per più di 1.000 metri.
Quella in Patagonia è stata un misto tra escursione e turismo, con paesaggi straordinari e la visita alla tomba di Allende; ma non gli darei la palma, abbiamo passato troppo tempo in autobus.
E questa di Santiago? Facile dal punto di vista escursionistico, impegnativa per la lunghezza, dato che mi ero posto un limite di tempo, modesta quanto ai paesaggi ma ricca di incontri e carica di contenuti, ancorché non sempre condivisi. Insomma, la metterei al secondo posto dopo il Nepal. Quanto agli altri due, darei la medaglia di bronzo ai Pirenei e lascerei al quarto posto la Patagonia.
FINE DEI COMMENTI
(anche perché l'aereo sta per atterrare, con l'ultimo thrilling: dopo il cambio di aereo a Madrid, ci sarà o no il mio zaino?)
Finalino a sorpresa. Lo zaino c'è, e c'è anche sul mio stesso volo, ma la vedo solo all'arrivo, la direttrice della Biblioteca dell'Università di Pavia, con la quale ho avuto dei rapporti quando mi occupavo del professor Giuseppe Frank, quello della piramide sul Lago di Como. Era anche lei a Santiago per un convegno, e alloggiava nel mio stesso albergo!
Secondo finalino a sorpresa. Trovo ad attendermi a Linate un comité d'accueil composto dal mia moglie Bianca, da mio nipote Marcello e da mio genero Orlando; proprio un bel ritorno a casa!
Terzo finalino a sorpresa. Al mio ritorno trovo sui muri della città i manifesti della Timberland sui quali compare una fotografia dei loro scarponcini. La fotografia assomiglia molto a quella che ho scattato ai miei scarponi sulla soglia della cattedrale di Santiago. Chiedo una copia del manifesto e la responsabile della pubblicità, gentilissima, me la fa avere. Ora la fotografia fa bella mostra di sé in garage, in attesa di trovare una collocazione più dignitosa.
Quarto finalino a sorpresa. Un mese dopo il mio ritorno, esce un numero di 'Meridiani' dedicato... ma sì, dedicato proprio al Cammino di Santiago! Un'occasione in più per rivivere quei ventidue giorni gloriosi di cammino lungo il Camino.
c Il materiale pubblicato è frutto dell'opera di intelletto dell'autore Giovanni Galli. Il materiale è liberamente scaricabile, fruibile, condivisibile, con l'unica avvertenza che nel caso di pubblicazione e/o divulgazione totale o parziale, se ne deve citare l'autore.